Conduce al Teatro Foce di Lugano l’ultimo viaggio di Ulisse, l’eroe multiforme di Omero che, dopo tanto errare, assume nello spettacolo Itaca per sempre, adattamento dell’omonimo romanzo di Luigi Malerba (Mondadori, 1979), nuovi aspetti e inedite sfaccettature. Il regista Andrea Baracco e la drammaturga Maria Teresa Berardelli, rielaborano gli ultimi eventi dell’Odissea (precisamente, dal tredicesimo al ventiquattresimo libro), privando il poema epico dell’elemento leggendario e soprannaturale, e rendendolo più moderno e realistico.
L’Ulisse interpretato da Woody Neri, giunto ad Itaca, non riconosce la meta tanto agognata, trovandosi di fronte a quella che immaginava una terra fertile e rigogliosa e che in realtà è sterile e desertica. Si preannuncia così che dalla sua partenza molte cose sono cambiate, così come lo è lui, e, lo scoprirà ben presto anche la sua sposa. Se l’eroe omerico è reso irriconoscibile da un incantesimo di Atena, che lo trasforma in un anonimo mendicante, e cela il suo aspetto a chiunque, il nuovo avventuriero intimamente spera di essere riconosciuto dai suoi cari, ma così non avverrà. Il fedele porcaio Eumeo non lo identifica, così come il figlio Telemaco e il padre Laerte; l’unica che lo riconosce sin dal primo istante è Penelope, la quale, tuttavia, finge di credere che sia un impostore perché – e in questo lo scarto con l’originale è evidente – vuole vendicarsi del marito che l’ha abbandonata per venti lunghi anni.
Nello spettacolo non si accenna al fatto che Ulisse si è allontanato da casa per fedeltà alla sua patria, e quindi per andare in guerra, che porterà per altro a risoluzione, ma viene presentato piuttosto come un uomo egoista che ha posto nell’avventura la sua ragione di vita. Meschino si rivela quando vede il suo cane Argo, e, lungi da essere emozionato (nell’Odissea, allo scodinzolare del cane, l’uomo è tradito da una lacrima), è piuttosto inorgoglito dal fatto che l’animale muore non appena lo vede. Il nuovo Ulisse si rivela sleale anche quando vede la bellissima sposa che, confessa egli stesso, avrebbe preferito vedere consumata dal dolore (nel poema epico è Atena a ridonare a Penelope la bellezza originaria, sfiorita a causa delle pene subite).
Come preannunciato, la Penelope impersonata da Maura Pettoruso, stanca delle continue menzogne del marito, finge di non riconoscerlo, e cerca, riuscendoci, di farlo ingelosire. A tal fine indice una gara di arco tra i Proci: chi fosse riuscito a far passare una freccia attraverso dodici asce bipenni allineate, la avrebbe avuta come sposa. Ulisse, come nel poema epico, è l’unico a saper scoccare la freccia dal pesante arco e, vinta la gara, uccide tutti i Proci. Questo avventuriero non è pero mosso dal desiderio di liberare la moglie da quei pretendenti che la avevano a lungo infastidita, quanto da una furia omicida; è un delirante che alla vista del sangue si eccita. La carica dell’episodio, accentuato dalla musica dagli alti accenti (di Giacomo Vezzani), dalle vele che si gonfiano dietro il protagonista e dallo stesso Ulisse che nel furore si spoglia fino a presentarsi a petto nudo (ricoperto da numerosi tatuaggi) è bruscamente spezzato dalla reazione inorridita di Penelope. La donna, che nell’Odissea si era a più riprese augurata la morte di quei volgari pretendenti, che avevano ordito un omicidio ai danni di suo figlio e indotto alla perdizione le sue ancelle, è qui sconvolta dal marito, che non riconosce più.
È a questo punto che Ulisse si manifesta e presenta alla moglie tutte le prove necessarie per il suo riconoscimento: le mostra la ferita procuratagli in gioventù da un cinghiale e dimostra di sapere che il loro letto nuziale lo aveva costruito lui stesso con un tronco di ulivo. Penelope non è però più mossa dal desiderio di vendetta, semplicemente è scioccata nel vedere così mutato il proprio amato. Continuando nella finzione, lo esorta a lasciare la sua casa, per poi richiedergli di tornare, e quindi, accettando il mutamento del marito, compresi quei nuovi aspetti del suo carattere che non apprezza, dichiara di amarlo. I due coroneranno quindi il loro amore, in veste di nuovi sposi.
Il finale dello spettacolo non è però propriamente a lieto fine se Ulisse sembra voler restare ad Itaca per una sorta di pavida accettazione del suo destino; questi, infatti, non appare mosso da un sincero desiderio di condividere la sua vita con la moglie e il figlio. Vedendo in lontananza una nave, con a bordo dei marinai, lancia istintivamente un richiamo, per poi ritrarre la sua mano. Questo Ulisse proverà sempre nostalgia per l’erranza, per il mare, temuto quanto amato, e così ben rappresentato da quelle teche colme d’acqua (opera di Luca Brinchi e Daniele Spanò) presenti sulla scena, e contenenti gli oggetti-simbolo di questo nuovo racconto: le collane di perle della moglie, le scarpe di cuoio che Penelope voleva donargli prima della sua partenza, e, tra le altre, una piccola barchetta che, nel finale, lo sconsolato protagonista “affoga”.
Quella di Baracco è stata una scommessa: un riadattamento originale che, tradendo programmaticamente l’Odissea in alcuni punti cruciali, ha riscosso un discreto apprezzamento da parte del pubblico presente al Teatro Foce nella serata di ieri.
Lucrezia Greppi