Anche il più piccolo dei felini, il gatto, è un capolavoro (Leonardo da Vinci)
Da otto giorni a Barcellona e ormai sono quasi alla fine, questa volta niente Rambla, procedo verso sud in esplorazione di un quartiere che ha un concentrato interessante di strutture culturali, alcune le scarterò volentieri, altre a malincuore. Giunta agli spazi larghi dell’Av del Paral-lel, dove fiancheggio anche un albergo che si chiama Lugano (ma ce n’è sempre qualcuno, in molte città del mondo) eccomi nella trafficata Plaça d’Espanya, riconoscibilissima per le due svettanti torri veneziane (un altro retaggio dell’Esposizione Universale), una brutta copia del campanile di San Marco (che comunque, anch’esso, è una ricostruzione che risale agli inizi del ‘900 e nonostante sia uno dei simboli di Venezia, appare piuttosto incongruente rispetto alla piazza e soprattutto alla Basilica, una tozza riproduzione dell’originale crollato nel 1902).
Andando un po’ più avanti, in Carrer de Tarragona, raggiungo in pochi minuti il Parc de Joan Mirò che mi sembra piuttosto un cantiere, ma dominato dalla coloratissima scultura fallica dell’artista, Dona i Ocell. Tornando indietro, di nuovo alla piazza e percorrendo il lato opposto imbocco l’Avinguda de la Reina Maria Cristina alla cui fine si trova la famosa Font Màgica che però io non vedrò mai in funzione, con l’acqua che crea l’illusione di un fuoco d’artificio, anche questa un’opera che si deve all’Esposizione, rilanciata poi come attrazione per le Olimpiadi del ’92, ma adesso è giorno e quindi niente giochi d’acqua e di luci. Sono ai piedi dello spettacolare Palazzo Nazionale, ma ci salirò domani, adesso ho altri programmi. Svoltando a destra e percorrendo l’Avinguda de Francesc Ferrer i Guàrdia arrivo al Pavellò Mies Van Der Rohe, per scoprire che oggi, in seguito ad un evento particolare, è chiuso alle visite, ma sarà aperto domani e quindi ve ne parlerò la prossima volta. Poco più avanti, sulla stessa via, si trova il Poble Espanyol, ricostruzione della Spagna, dall’Andalusia alle Baleari… Quartieri, monasteri, edifici, potrei dire una Swissminiatur… monumentale. Che la mia guida mi presenta così: “Questo ‘villaggio spagnolo’ è al contempo un posto un po’ kitsch per turisti a caccia di souvenir e una specie di album ricordo delle principali opere architettoniche spagnole realizzate in occasione (ma no, davvero?) dell’Esposizione Universale del 1929 per il ‘settore artigianato’”. Non amando questo genere di falso disneyano, mi guardo bene dall’entrare e torno indietro.
E dove passerò tutta la mattinata? Al famoso centro espositivo barcellonese, il Caixaforum, una poderosa struttura che ospitava il primo squadrone del corpo di polizia a cavallo, come testimoniano i suoi vasti ambienti, anche all’aperto. E sono fortunata perché nel mio periodo di visita si tengono due straordinarie esposizioni, una era dedicata a Velázquez e il secolo d’oro (appena conclusa, ad inizio marzo), in una suggestiva cornice di penombra, dove si stagliano le opere tormentate e, diciamo, poche sono quelle dell’artista eponimo, il cui nome, come spesso capita, è utilizzato per attirare pubblico, però è concepita e curata con estrema attenzione per aree tematiche, dalla religione ai costumi, la vita e la società e i vari generi di ritrattistica, passando attraverso tutta la più rappresentativa pittura coeva, non solo spagnola naturalmente, tra gli altri, Tiziano, Rubens, Brueghel… Numerose sono le attività per famiglie e studenti organizzate da questo centro che appartiene all’istituto di credito Caixa, appunto.
L’altra mostra è più “leggera”, allegra, se si vuole e ho fatto bene a tenerla per seconda, dopo quella impegnativa. Accompagnata da musiche di cancan in sottofondo, ecco Toulouse Lautrec e lo spirito di Montmartre, espresso in tutti i suoi aspetti, non solo dipinti, ma grafica, stampe e incisioni, fumetti, illustrazioni, manifesti, caricature, giornali, pubblicazioni differenti, canzoni e partiture, rappresentazioni teatrali, il circo che viene rivalutato, e iniziative, come cabaret, anticipazioni delle successive avanguardie (esiste qui il primo quadro monocromatico), uno “spirito” che si snoda sala dopo sala. Un posto davvero di rilievo se lo conquista lo svizzero Théophile-Alexandre Steinlen e in particolare il suo soggetto preferito, ma anche amato dalle atmosfere parigine, perché simbolo di seduzione provocatoria, spregiudicata, associato alla femminilità maliarda e sensuale come alle doti notturne e demoniache, del tutto profane, da Ginevra è arrivata la sua impressionante Apoteosi dei gatti. E poi: gatti e luna, gatti e poeti squattrinati, un po’ sbronzi, randagi, gli irregolari dell’esistenza. E non dimentichiamo che a lui si deve il manifesto per il locale di Salis, Chat Noir, diventato uno dei più celebri di Montmartre.
E così si è fatta l’ora avanzata di pranzo. In una traversa della Paral-lel, trovo posto ad un banco della Bodega 1900, atmosfera vintage, locale dei fratelli Adrià. Ho sentito recentemente da un’esperta che non bisogna mai raccontare quello che si mangia, quando si fa un resoconto del proprio viaggio. Eppure è una delle domande più frequenti che ti fanno al tuo ritorno dall’estero. Comunque anche in questo caso mi sono divertita con una serie di tapas e questa volta ho tenuto lo scontrino, perché figuriamoci se mi ricordo i nomi curiosi, ecco la lista: Cp vina escarlata, La aceituna-S.Gordal, c/piparra, Boquerones en vinagre, Navajas en escabeche, Huevo frito c/erizo, Mollete de Papada, Coca escalivada, Extra Trufa… E voi divertitevi a scoprire di che si tratta…!
Ritornando, rigorosamente a piedi, sui miei passi, finisco di nuovo alla Rambla e ora ci vado, essendoci passata davanti varie volte senza entrare, in quella nota famosa Escribà, uno degli emblemi del modernismo catalano. Qui c’è solo l’imbarazzo della scelta, per gli amanti dei dolci, El conserva per esempio, cremoso, si chiama così perché il contenitore ha la forma di una scatoletta di sardine. Bene. Come vedete il nutrimento dello spirito va sempre di pari passo con quello del corpo.
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