Commento

Turchia e Siria: ferite due volte

Le macerie di un edificio distrutto dal sisma a Diyarbakır, in Turchia

Presi dalla preoccupazione per gli ultimi sviluppi della guerra in Ucraina, tendiamo a dimenticare l’emergenza umanitaria alle porte dell’Europa a seguito del terremoto del 6 febbraio in Siria e Turchia – magnitudo 7.8 sulla scala Richter –, che ha causato 55 mila vittime, due milioni di sfollati, e una distruzione stimata di 100 miliardi di dollari. Siccome negli aiuti internazionali si sono verificati importanti ritardi, alla popolazione colpita mancano ancora risorse essenziali come acqua, cibo e riparo – e tutto ciò nel momento più freddo dell’anno con temperature sotto lo zero. Mentre in questi giorni la squadra svizzera di esperti è rientrata, l’Alto Commissario ONU Filippo Grandi rivela di non aver mai visto negli ultimi vent’anni «tali livelli di privazione e disperazione» in Siria. In Turchia ci saranno 200.000 case da ricostruire.

Scosse di assestamento, come quella che il 21 febbraio ha raggiunto la magnitudo 6.4, si sono verificate nel frattempo anche a livello politico. Se l’interruzione delle preparazioni per le elezioni anticipate del 14 maggio inizialmente ha favorito Erdogan, impedendo all’opposizione di nominare i propri candidati, si delinea ora sempre di più un esito negativo per la sua rielezione. La popolazione accusa infatti il governo di non aver agito prontamente nella gestione dell’emergenza: anziché spedire le sue tende in Anatolia, la Mezzaluna Rossa turca le ha vendute ad organizzazioni estere. Molti denunciano le responsabilità del governo che con l’amnistia edilizia del 2018, nonché favoritismi e pratiche corrotte, avrebbe vanificato gli effetti preventivi delle severe leggi edilizie. La promessa di ricostruire le case entro un anno è comunemente ritenuta un atto di propaganda. Temendo un ulteriore peggioramento della situazione economica, Erdogan ha comunque confermato la data delle elezioni.

In Siria, invece, il terremoto ha aggravato di molto una situazione segnata da 12 anni di guerra civile e povertà: nella regione già prima 1.8 milioni vivevano in tende. Assad, contrariamente alla sua controparte turca, riesce a strumentalizzare la situazione, sfruttandola per ristabilire la sua autorità nel Paese – e, in particolare, nella regione settentrionale, attualmente sotto il controllo dei curdi –, dando la responsabilità per la catastrofe umanitaria alla comunità internazionale che non toglie le sanzioni. Data la gravità dell’attuale crisi in Siria, tuttavia, alcuni Stati si stanno già muovendo per cambiare la situazione. Lo scorso 10 marzo la Svizzera, in particolare, ha modificato in modo temporaneo le sanzioni nei confronti di Damasco, proprio per facilitare la fornitura di aiuti umanitari. Alcuni Paesi, tra i quali la Francia e gli USA, non partecipano agli aiuti che giungono – comunque con ritardo – nel Paese e di cui non si sa precisamente come vengano utilizzati.

Queste due facce così differenti della stessa catastrofe, ma espressioni identiche di una politica nemica dei più deboli, sono campanelli d’allarme per il futuro ordine politico internazionale.

Markus Krienke

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