È la risposta all’incontro della presidente taiwanese Tsai Ing-wen con lo speaker della Camera dei rappresentanti statunitense Kevin McCarthy, ma simbolicamente l’esercitazione cinese nelle vicinanze di Taiwan si colloca esattamente tra le partenze di Macron e von der Leyen dalla Cina, e l’annullamento del viaggio della Meloni a Taiwan. Da un lato, un presidente francese che lancia la sua ennesima iniziativa “europeista”, mentre rafforza i legami economici e militari della Francia con la Cina, e dall’altro una premier italiana che si è giocata con il suo annuncio – anch’esso non concertato con l’Europa – di uscire dalla Via della seta la sua credibilità nei confronti del Dragone. In mezzo una presidente della Commissione europea apparentemente sconfitta, ma l’unica capace a dar filo da torcere a Xi Jinping, perché presenta una visione per l’Europa identificata con i valori europei stessi, benché priva di forza politica.
Parla da sé il fatto che non è tanto avvenuto un confronto tra la Cina e l’Europa, quanto tra due visioni per l’Europa. «La cosa peggiore sarebbe pensare che noi europei dobbiamo diventare seguaci di questo argomento [Taiwan] e prendere spunto dall’agenda degli Stati Uniti», così Macron. Per lui, l’Europa non deve più essere il «vassallo» degli USA e dunque non dovrebbe più farsi coinvolgere in missioni che non sono strategicamente le proprie (posizione poi relativizzata nel suo discorso a l’Aia di martedì). Così, il presidente francese ha di fatto disinnescato il discorso coraggioso e inaspettatamente chiaro sui diritti umani che von der Leyen ha fatto ancora prima della sua partenza: «Il modo in cui la Cina rispetterà i suoi obblighi internazionali in materia di diritti umani sarà un altro criterio per stabilire come e in che misura potremo cooperare con la Cina». E mentre la proposta cinese per la pace in Ucraina risulta «interessante» per Macron, essa è «non praticabile» per von der Leyen.
Due voci quasi inconciliabili, che si basano entrambe su un presupposto che non esiste, ossia quello di una maggiore integrazione politica, e ormai bisogna anche aggiungere militare, dell’Europa. Altrimenti non nasce un “terzo polo” tra gli Stati Uniti e la Cina, nella visione di Macron, o un partner autonomo degli USA per von der Leyen, garante della pace e di una maggiore stabilità nel mondo. La differenza tra le due proposte è rappresentata dalla posizione della Cina, per la quale un “terzo polo”, come lo intende Macron, non esiste – e anche per gli USA sarebbe sempre e solo di secondaria importanza. Non a caso, la guerra in Ucraina, che doveva essere il tema centrale per l’Europa da trattare in Cina, nei colloqui tra Macron e Xi Jinping è diventata marginale.
Al di là dell’esito ambiguo della Realpolitik di Macron, il discorso di von der Leyen indica un effettivo nuovo orientamento dell’Europa nei confronti della Cina. Resta da vedere se esso sarà più forte dell’effetto “nazionalista” che la guerra in Ucraina sta avendo su molti Paesi europei, dove partiti di identità nazionale hanno potuto approfittare della minaccia della guerra. Sarebbe la realizzazione della visione espressa sessant’anni fa nell’enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII, ossia che è solo la giustizia realizzata tramite la garanzia dei diritti e un ordine politico internazionale a poter assicurare davvero la pace nel mondo.
Markus Krienke
La sfida cinese all’Europa dei valori
È la risposta all’incontro della presidente taiwanese Tsai Ing-wen con lo speaker della Camera dei rappresentanti statunitense Kevin McCarthy, ma simbolicamente l’esercitazione cinese nelle vicinanze di Taiwan si colloca esattamente tra le partenze di Macron e von der Leyen dalla Cina, e l’annullamento del viaggio della Meloni a Taiwan. Da un lato, un presidente francese che lancia la sua ennesima iniziativa “europeista”, mentre rafforza i legami economici e militari della Francia con la Cina, e dall’altro una premier italiana che si è giocata con il suo annuncio – anch’esso non concertato con l’Europa – di uscire dalla Via della seta la sua credibilità nei confronti del Dragone. In mezzo una presidente della Commissione europea apparentemente sconfitta, ma l’unica capace a dar filo da torcere a Xi Jinping, perché presenta una visione per l’Europa identificata con i valori europei stessi, benché priva di forza politica.
Parla da sé il fatto che non è tanto avvenuto un confronto tra la Cina e l’Europa, quanto tra due visioni per l’Europa. «La cosa peggiore sarebbe pensare che noi europei dobbiamo diventare seguaci di questo argomento [Taiwan] e prendere spunto dall’agenda degli Stati Uniti», così Macron. Per lui, l’Europa non deve più essere il «vassallo» degli USA e dunque non dovrebbe più farsi coinvolgere in missioni che non sono strategicamente le proprie (posizione poi relativizzata nel suo discorso a l’Aia di martedì). Così, il presidente francese ha di fatto disinnescato il discorso coraggioso e inaspettatamente chiaro sui diritti umani che von der Leyen ha fatto ancora prima della sua partenza: «Il modo in cui la Cina rispetterà i suoi obblighi internazionali in materia di diritti umani sarà un altro criterio per stabilire come e in che misura potremo cooperare con la Cina». E mentre la proposta cinese per la pace in Ucraina risulta «interessante» per Macron, essa è «non praticabile» per von der Leyen.
Due voci quasi inconciliabili, che si basano entrambe su un presupposto che non esiste, ossia quello di una maggiore integrazione politica, e ormai bisogna anche aggiungere militare, dell’Europa. Altrimenti non nasce un “terzo polo” tra gli Stati Uniti e la Cina, nella visione di Macron, o un partner autonomo degli USA per von der Leyen, garante della pace e di una maggiore stabilità nel mondo. La differenza tra le due proposte è rappresentata dalla posizione della Cina, per la quale un “terzo polo”, come lo intende Macron, non esiste – e anche per gli USA sarebbe sempre e solo di secondaria importanza. Non a caso, la guerra in Ucraina, che doveva essere il tema centrale per l’Europa da trattare in Cina, nei colloqui tra Macron e Xi Jinping è diventata marginale.
Al di là dell’esito ambiguo della Realpolitik di Macron, il discorso di von der Leyen indica un effettivo nuovo orientamento dell’Europa nei confronti della Cina. Resta da vedere se esso sarà più forte dell’effetto “nazionalista” che la guerra in Ucraina sta avendo su molti Paesi europei, dove partiti di identità nazionale hanno potuto approfittare della minaccia della guerra. Sarebbe la realizzazione della visione espressa sessant’anni fa nell’enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII, ossia che è solo la giustizia realizzata tramite la garanzia dei diritti e un ordine politico internazionale a poter assicurare davvero la pace nel mondo.
Markus Krienke