Soldato di terracotta dell’antica Cina, rappresentanza millenaria di difesa (Foto: R.Ratti)
In caso di attacco l’esercito svizzero resisterebbe non molto di più di una decina di settimane. Parola del comandante di corpo Thomas Süssli. Ce n’è a sufficienza per far vacillare qualche certezza sulla nostra effettiva autonomia e sovranità. Colpa delle nuove modalità della guerra ibrida – tradizionale e tecnologica – che stiamo vivendo in Ucraina e in tante parti del mondo?
Tuttavia, la situazione non è nuova. La strategia del “ridotto nazionale” adottata nella Seconda guerra mondiale non dava per implicito il sacrificio di buona parte del Paese? Se ne siamo usciti, appellandoci alla allora “difesa spirituale del Paese”, è soprattutto per una serie di circostanze e di politiche che vanno oltre la mera forza di un esercito. Riproponiamo allora la nostra chiave di lettura: l’essenza del nostro essere Svizzera sta nella capacità di posizionarci in un campo di forze, tra dipendenze esterne e intraprendenze interne.
Bene ha fatto “Coscienza svizzera” (CS), il settantacinquenne gruppo di studio e d’informazione, ad organizzare lo scorso 21 giugno a Bellinzona una serata pubblica sul tema; dopo quella su Neutralità al bivio, con Sacha Zala (12.11.22) e l’incontro con l’ambasciatore Ernst Iten (6.3.23). Tutti i video delle serate sono ritrovabili nel sito di CS.
Quali sono le nostre reali capacità di difesa? Quali i settori da rafforzare per fronteggiare le nuove possibili forme di attacco? Stimolati dagli interventi dei divisionari Jean-Daniel Mudry e Maurizio Dattrino, da oggi 1° luglio comandante della Divisione territoriale III, intravvediamo tre orientamenti, non esclusivi l’uno dell’altro.
Il primo scenario è quello della difesa autonoma, meglio, del suo rafforzamento. Necessario, specie di fronte ai cyberattacchi. Le spese militari, oggi inferiori all’1% del Prodotto interno lordo svizzero (PIL) forse raggiungeranno questa cifra – la metà dell’obiettivo dei paesi NATO. Ma, per onesta trasparenza degli stessi divisionari, la sicurezza non può essere delegata ai soli militari. Il problema coinvolge l’assieme della sfera politica.
Un secondo scenario, indicato nel Rapporto del Consiglio federale sulla politica di sicurezza del 24.11.2021, integra il primo ed è quello della collaborazione con altri Stati, in particolare con i Paesi confinanti; non necessariamente nella stretta sfera militare interpretando la nostra neutralità nel nome del diritto/dovere alla nostra difesa e alla salvaguardia dei diritti umani.
Infine, resta aperto un terzo scenario cogliendo, alla luce della neutralità attiva e della tradizione umanitaria, le vere sfide geopolitiche e di sviluppo del XXI secolo; in particolare, con quella climatico-ambientale, quella degli squilibri demografico/sociali e delle migrazioni di massa da affrontare aiutando questi Paesi nel loro riscatto.
Remigio Ratti
Neutralità e difesa: Scenari per il nuovo contesto geopolitico
Soldato di terracotta dell’antica Cina, rappresentanza millenaria di difesa (Foto: R.Ratti)
In caso di attacco l’esercito svizzero resisterebbe non molto di più di una decina di settimane. Parola del comandante di corpo Thomas Süssli. Ce n’è a sufficienza per far vacillare qualche certezza sulla nostra effettiva autonomia e sovranità. Colpa delle nuove modalità della guerra ibrida – tradizionale e tecnologica – che stiamo vivendo in Ucraina e in tante parti del mondo?
Tuttavia, la situazione non è nuova. La strategia del “ridotto nazionale” adottata nella Seconda guerra mondiale non dava per implicito il sacrificio di buona parte del Paese? Se ne siamo usciti, appellandoci alla allora “difesa spirituale del Paese”, è soprattutto per una serie di circostanze e di politiche che vanno oltre la mera forza di un esercito. Riproponiamo allora la nostra chiave di lettura: l’essenza del nostro essere Svizzera sta nella capacità di posizionarci in un campo di forze, tra dipendenze esterne e intraprendenze interne.
Bene ha fatto “Coscienza svizzera” (CS), il settantacinquenne gruppo di studio e d’informazione, ad organizzare lo scorso 21 giugno a Bellinzona una serata pubblica sul tema; dopo quella su Neutralità al bivio, con Sacha Zala (12.11.22) e l’incontro con l’ambasciatore Ernst Iten (6.3.23). Tutti i video delle serate sono ritrovabili nel sito di CS.
Quali sono le nostre reali capacità di difesa? Quali i settori da rafforzare per fronteggiare le nuove possibili forme di attacco? Stimolati dagli interventi dei divisionari Jean-Daniel Mudry e Maurizio Dattrino, da oggi 1° luglio comandante della Divisione territoriale III, intravvediamo tre orientamenti, non esclusivi l’uno dell’altro.
Il primo scenario è quello della difesa autonoma, meglio, del suo rafforzamento. Necessario, specie di fronte ai cyberattacchi. Le spese militari, oggi inferiori all’1% del Prodotto interno lordo svizzero (PIL) forse raggiungeranno questa cifra – la metà dell’obiettivo dei paesi NATO. Ma, per onesta trasparenza degli stessi divisionari, la sicurezza non può essere delegata ai soli militari. Il problema coinvolge l’assieme della sfera politica.
Un secondo scenario, indicato nel Rapporto del Consiglio federale sulla politica di sicurezza del 24.11.2021, integra il primo ed è quello della collaborazione con altri Stati, in particolare con i Paesi confinanti; non necessariamente nella stretta sfera militare interpretando la nostra neutralità nel nome del diritto/dovere alla nostra difesa e alla salvaguardia dei diritti umani.
Infine, resta aperto un terzo scenario cogliendo, alla luce della neutralità attiva e della tradizione umanitaria, le vere sfide geopolitiche e di sviluppo del XXI secolo; in particolare, con quella climatico-ambientale, quella degli squilibri demografico/sociali e delle migrazioni di massa da affrontare aiutando questi Paesi nel loro riscatto.
Remigio Ratti