Locarno Film Festival confrontato con una nuova sfida.
Colti di sorpresa, si è partiti con le illazioni. Bene, male, forse, chissà. Ma la scelta di Maja Hoffmann quale presidente del Locarno Film Festival è davvero un “colpaccio”. Mentre impazzava il totofestival pronosticando per lo più politici, o ex, locarnesi, ecco al momento giusto la notizia giusta. Giusta ad una condizione. Che il Festival sappia reggere l’impatto (prima donna presidente, prima non locarnese né ticinese, prima con un’allure davvero internazionale, un amplissimo raggio di promozione culturale) e, soprattutto, sia disposto ed in grado di rimodellare i suoi programmi su prospettive sinora nemmeno immaginate. Tra i suoi immediati predecessori, Raimondo Rezzonico ha fatto amare il Festival persino ai locarnesi ed ha gestito il travolgente successo di pubblico. Marco Solari l’ha fatto crescere sul piano finanziario, organizzativo e direi sociologico, ancorando nel suo DNA il concetto di libertà. Adesso con una personalità così pronunciata è lecito pensare ad una dimensione “globale” del Festival sia sul piano geografico che culturale. Locarno sarà all’altezza? La sua storia dice di sì, vista la determinazione con cui in tre quarti di secolo e passa ha saputo reagire a frangenti difficili, a volte (vedi 1968-70) ritenuti insuperabili.
La proposta, è chiaro, viene da Mario Timbal, che ha presieduto la cosiddetta commissione-cerca. L’attuale direttore della RSI è stato prima direttore operativo del Festival e poi della Fondazione culturale Luma ad Arles, creata proprio da Maja Hoffmann. Tra i due evidentemente corrono feeling e stima. Timbal-Del Ponte è un decisionista, anche qui è riuscito a far passare la sua idea e forse anche la sua visione.
Tra le osservazioni leggermente risentite ed un po’ anche capziose c’è quella che la futura presidente non sa l’italiano. A parte che lo conosce abbastanza per capire, si dimentica che per decenni, più di mezzo secolo, la lingua ufficiale del “nostro” Festival è stata il francese. In francese conferenze stampa, dibattiti, catalogo, buona parte delle pubblicazioni, per anni persino gli annunci in piazza. In francese erano sottotitolati i film e c’è stato pure chi se l’è presa quando si è passati all’inglese. Era la logica conseguenza delle dinamiche svizzere in fatto di cinema e audiovisivi. Ma anche la conferma che i progenitori non hanno inteso il Festival come prodotto “locale”, tra da nüm. Hanno sempre guardato oltre cogliendo appunto sul fronte internazionale i riconoscimenti: cinema giovane, cinema indipendente, nuovi autori, nuove cinematografie ecc. Hanno osato ragionevolmente, come l’arch. Vacchini inventando piazza Grande. Con Maja Hoffmann si tratta di rilanciare in termini aggiornati quella vocazione iniziale, del resto mai abbandonata, che ha fatto le fortune di Locarno. Adesso si aprono nuovi orizzonti. Un’occasione da non perdere nel Cantone e nell’epoca del provincialismo.
Dalmazio Ambrosioni
Quel propellente chiamato Maja
Locarno Film Festival confrontato con una nuova sfida.
Colti di sorpresa, si è partiti con le illazioni. Bene, male, forse, chissà. Ma la scelta di Maja Hoffmann quale presidente del Locarno Film Festival è davvero un “colpaccio”. Mentre impazzava il totofestival pronosticando per lo più politici, o ex, locarnesi, ecco al momento giusto la notizia giusta. Giusta ad una condizione. Che il Festival sappia reggere l’impatto (prima donna presidente, prima non locarnese né ticinese, prima con un’allure davvero internazionale, un amplissimo raggio di promozione culturale) e, soprattutto, sia disposto ed in grado di rimodellare i suoi programmi su prospettive sinora nemmeno immaginate. Tra i suoi immediati predecessori, Raimondo Rezzonico ha fatto amare il Festival persino ai locarnesi ed ha gestito il travolgente successo di pubblico. Marco Solari l’ha fatto crescere sul piano finanziario, organizzativo e direi sociologico, ancorando nel suo DNA il concetto di libertà. Adesso con una personalità così pronunciata è lecito pensare ad una dimensione “globale” del Festival sia sul piano geografico che culturale. Locarno sarà all’altezza? La sua storia dice di sì, vista la determinazione con cui in tre quarti di secolo e passa ha saputo reagire a frangenti difficili, a volte (vedi 1968-70) ritenuti insuperabili.
La proposta, è chiaro, viene da Mario Timbal, che ha presieduto la cosiddetta commissione-cerca. L’attuale direttore della RSI è stato prima direttore operativo del Festival e poi della Fondazione culturale Luma ad Arles, creata proprio da Maja Hoffmann. Tra i due evidentemente corrono feeling e stima. Timbal-Del Ponte è un decisionista, anche qui è riuscito a far passare la sua idea e forse anche la sua visione.
Tra le osservazioni leggermente risentite ed un po’ anche capziose c’è quella che la futura presidente non sa l’italiano. A parte che lo conosce abbastanza per capire, si dimentica che per decenni, più di mezzo secolo, la lingua ufficiale del “nostro” Festival è stata il francese. In francese conferenze stampa, dibattiti, catalogo, buona parte delle pubblicazioni, per anni persino gli annunci in piazza. In francese erano sottotitolati i film e c’è stato pure chi se l’è presa quando si è passati all’inglese. Era la logica conseguenza delle dinamiche svizzere in fatto di cinema e audiovisivi. Ma anche la conferma che i progenitori non hanno inteso il Festival come prodotto “locale”, tra da nüm. Hanno sempre guardato oltre cogliendo appunto sul fronte internazionale i riconoscimenti: cinema giovane, cinema indipendente, nuovi autori, nuove cinematografie ecc. Hanno osato ragionevolmente, come l’arch. Vacchini inventando piazza Grande. Con Maja Hoffmann si tratta di rilanciare in termini aggiornati quella vocazione iniziale, del resto mai abbandonata, che ha fatto le fortune di Locarno. Adesso si aprono nuovi orizzonti. Un’occasione da non perdere nel Cantone e nell’epoca del provincialismo.
Dalmazio Ambrosioni