Cinema

“Barbara adesso”, una figlia in bilico

Nel lungometraggio Barbara adesso della regista ticinese Alessandra Gavin-Müller (anteprima ticinese ieri al LUX di Lugano ndr) non c’è giudizio, condanna, o assoluzione nei confronti delle madri che abbandonano i propri figli.

Barbara (interpretata con bravura da Cristina Zamboni) è del tutto consapevole del suo gesto ma non per questo è privo di sofferenza, così come Barbara non vive insensibilmente la sua decisione, che ripercorre in un suo personale dialogo introspettivo. Sembra esserci indifferenza che però viene smentita in più occasioni, nei lunghi e imbarazzanti silenzi, carichi di significati: quando Barbara esprime, sul suo volto che si contrae, nei suoi occhi, il suo stato d’animo, il disagio, la rimozione del problema, il senso di colpa che le ricordano di aver lasciato sua figlia Anna (Anna Gavin) al padre Giuliano (Giuliano Gavin) che accudisce la figlia da solo. Oppure nei momenti in cui Roberto, il collega di lavoro (Roberto Molo), o l’amica Amalia (Margherita Coldesina) sollecitano Barbara con domande esistenziali sul senso dell’essere genitori e avere dei figli. È in questi frangenti che emergono le contraddizioni e l’incoerenza di chi ha figli, di chi li mette al mondo ma poi non se ne occupa, e li vive come zavorre. La regista ci parla di quelle donne che rimangono incinte, come succede ad Amalia, che incontra Jack in discoteca (Roberto Albin) con il quale Amalia ha una relazione occasionale, denotando così la leggerezza di una scelta che dovrebbe coinvolgere entrambi, scelta che però, allo stesso tempo, la donna può fare in assoluta autonomia.

La storia di Barbara è la storia di una donna alla quale è stato negato l’amore materno, da una madre (Margherita Schoch) che ha rifiutato a Barbara qualsiasi relazione e contatto. Siccome chi ha la sindrome abbandonica spesso abbandona, Barbara reimpagina lo stesso comportamento con sua figlia Anna, mettendo in atto la stessa dinamica, che Barbara vive nelle sue nevrosi, quando insistentemente bussa alla porta della madre, supplicandola di poterla incontrare. Barbara porta a termine la gravidanza e quindi non nega la maternità mentre vive la negazione dell’essere madre, sviscerando nella sofferenza il fatto di non essere stata accettata, innanzitutto come figlia. Il suo vissuto di figlia rifiutata fa da contraltare perché inconsciamente la condiziona nella decisione di abbandonare Anna. La scena in cui Barbara esplode in un grido disperato, accasciata davanti alla porta di casa della madre, che rimane inamovibile, è drammaticamente coinvolgente e molto toccante.

La trama del film si alterna nelle scene della piccola figlia che cresce insieme al padre; di Barbara che cerca insistentemente di incontrare sua madre; e del mondo lavorativo come architetta (che non determina la scelta di Barbara di abbandonare la figlia per fare carriera). I dialoghi tra i protagonisti rientrano nella quotidianità dei gesti, si dilatano in sequenze ritmicamente molto lente, mentre è il monologo interiore e la voce riflessiva fuori campo di Barbara, che si esprimono in un flusso di coscienza, e la portano a interrogarsi sulle sue mancanze, non di donna ma di madre, negando l’esistenza della figlia non per egoismo ma perché crede di essere sbagliata, di non essere in grado di condividere parti di lei con la figlia, riconoscendo i suoi limiti ma non sapendoli accettare. L’istinto materno non appartiene a Barbara ma viene mitigato dallo sguardo amorevole che lei stessa ha sui figli degli amici. Gli innumerevoli tentativi di Barbara di ricongiungersi con sua madre si aprono alla speranza che un giorno succederà anche a sua figlia. Barbara aprirà quella porta anche se Anna la dovesse cercare solo per dirle che non è come lei. La scena in cui Barbara si sdraia in una posizione fetale, nel bosco di betulle (molte scene sono girate nei nostri luoghi), evoca il suo desiderio di ritornare nel grembo materno, nel grembo di madre terra, che è la madre simbolo di tutte le madri per eccellenza.

Il lungometraggio è prodotto dalla Amka Films Productions, in collaborazione con la RSI ed è stato presentato alle Giornate Cinematografiche di Soletta.

Nicoletta Barazzoni

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