Nel suo Il governo Goebbels (Lindau 2023), Giovanni Mari analizza gli ultimi giorni del Terzo Reich – «trenta ore di morte e menzogne» – e ripercorre le ultime ore ai vertici della Germania nazista. Nel suo testamento politico, Adolf Hitler addossava la colpa della disfatta al “giudaismo internazionale” e spogliò di tutte le cariche i due ex fedelissimi Hermann Göring e Heinrich Himmler, accusati di alto tradimento. Ripristinando le funzioni di Presidente e Cancelliere, nominò l’Ammiraglio Karl Dönitz alla testa del Reich, mentre il ministro della Propaganda Joseph Goebbels (Gauleiter di Berlino dal 1926, plenipotenziario per la guerra totale dal 1944, commissario per la difesa di Berlino dal 1945), capo dell’esecutivo. Hitler si uccise il 30 aprile, tra le 15:15 e le 15:30. Ne constatò il decesso il cameriere personale, Heinz Lange. Nacque dunque il governo Goebbels, tra il fumo del corpo in fiamme del Führer nel cortile della Cancelleria.
Dönitz fu informato in ritardo della morte di Hitler. I pochi gerarchi rimasti a Berlino cercavano di capire il da farsi. Sul tavolo c’erano la capitolazione della capitale (2 maggio) e della Germania (7-8 maggio). Il Reich si stava sciogliendo a vista d’occhio. Il commissario nei Paesi Bassi Arthur Seyss-Inquart aveva già disposto una politica di sostegno della popolazione locale, mentre il commissario in Norvegia, Josef Terboven, abbandonava l’idea di Himmler di trasformare il paese in un rifugio per un’ultima resistenza. Mari descrive per filo e per segno la sofferenza di Berlino quei giorni. Nel marzo 1945 la popolazione era dimezzata. Mancavano cibo e acqua. Il debito pubblico era fuori controllo. Le esplosioni e gli incendi si moltiplicarono. Già a fine luglio del 1944 erano morti 2,7 milioni di soldati tedeschi. Quando la Germania capitolò il numero era 5,3 milioni.
Mari sottolinea come la battaglia di Berlino fu infernale e che i nazisti non avevano preparato un piano di difesa della città. La linea di difesa era stata fissata sull’Oder, ma venne presto abbandonata. Il 28 aprile 1945 il generale Alfred Jodl diede per persa la capitale e tra lo stato maggiore di Hitler si sparse la voce che era meglio continuare la guerra finché i tedeschi cadessero prigionieri degli angloamericani. Ma Goebbels era di un altro avviso: bisognava trattare con i russi. Martin Bormann (che sperò fino all’ultimo di entrare nel governo Goebbels) si schierò su questo con il neocancelliere contro Göring e Himmler. Il quale aveva avviato delle trattative con gli inglesi, attraverso l’ambasciata svedese. Goebbels vagava in stadio confusionale nel bunker. Pensava che la notizia della morte di Hitler avrebbe moderato l’ostilità dei sovietici aumentando così le frizioni tra gli alleati a vantaggio dei russi.
Così non fu. Fu Hans Krebs, Capo di Stato Maggiore, a incontrare la delegazione sovietica di Vasilij Čujkov, che premeva per una capitolazione immediata di Berlino – cosa che avrebbe determinato un vantaggio sovietico sugli angloamericani. Goebbels era contro la resa incondizionata. E Bormann organizzava la sua fuga – al suo gruppo si unirono anche il comandante della Hitlersjugend, Artur Axmann e il medico personale di Hitler, Ludwig Stumpfegger. Goebbels scrisse la sua ultima parola sul diario: “Ausbruchversuch”, tentativo di fuga. Teneva quelle memorie dal 1923, dedicandovi quasi un’ora al giorno. Helmut Kunz, dentista delle SS, suggerì al Cancelliere di consegnare i bambini alla Croce Rossa, ma Goebbels rimase irremovibile e gli chiese di aiutarlo a narcotizzarli. Si tolse la vita poco dopo, assieme alla moglie – Magda Goebbels – con la capsula di cianuro che aveva dato loro Hitler.
Amedeo Gasparini
www.amedeogasparini.com
Il governo Goebbels e le ultime ore del Terzo Reich
Nel suo Il governo Goebbels (Lindau 2023), Giovanni Mari analizza gli ultimi giorni del Terzo Reich – «trenta ore di morte e menzogne» – e ripercorre le ultime ore ai vertici della Germania nazista. Nel suo testamento politico, Adolf Hitler addossava la colpa della disfatta al “giudaismo internazionale” e spogliò di tutte le cariche i due ex fedelissimi Hermann Göring e Heinrich Himmler, accusati di alto tradimento. Ripristinando le funzioni di Presidente e Cancelliere, nominò l’Ammiraglio Karl Dönitz alla testa del Reich, mentre il ministro della Propaganda Joseph Goebbels (Gauleiter di Berlino dal 1926, plenipotenziario per la guerra totale dal 1944, commissario per la difesa di Berlino dal 1945), capo dell’esecutivo. Hitler si uccise il 30 aprile, tra le 15:15 e le 15:30. Ne constatò il decesso il cameriere personale, Heinz Lange. Nacque dunque il governo Goebbels, tra il fumo del corpo in fiamme del Führer nel cortile della Cancelleria.
Dönitz fu informato in ritardo della morte di Hitler. I pochi gerarchi rimasti a Berlino cercavano di capire il da farsi. Sul tavolo c’erano la capitolazione della capitale (2 maggio) e della Germania (7-8 maggio). Il Reich si stava sciogliendo a vista d’occhio. Il commissario nei Paesi Bassi Arthur Seyss-Inquart aveva già disposto una politica di sostegno della popolazione locale, mentre il commissario in Norvegia, Josef Terboven, abbandonava l’idea di Himmler di trasformare il paese in un rifugio per un’ultima resistenza. Mari descrive per filo e per segno la sofferenza di Berlino quei giorni. Nel marzo 1945 la popolazione era dimezzata. Mancavano cibo e acqua. Il debito pubblico era fuori controllo. Le esplosioni e gli incendi si moltiplicarono. Già a fine luglio del 1944 erano morti 2,7 milioni di soldati tedeschi. Quando la Germania capitolò il numero era 5,3 milioni.
Mari sottolinea come la battaglia di Berlino fu infernale e che i nazisti non avevano preparato un piano di difesa della città. La linea di difesa era stata fissata sull’Oder, ma venne presto abbandonata. Il 28 aprile 1945 il generale Alfred Jodl diede per persa la capitale e tra lo stato maggiore di Hitler si sparse la voce che era meglio continuare la guerra finché i tedeschi cadessero prigionieri degli angloamericani. Ma Goebbels era di un altro avviso: bisognava trattare con i russi. Martin Bormann (che sperò fino all’ultimo di entrare nel governo Goebbels) si schierò su questo con il neocancelliere contro Göring e Himmler. Il quale aveva avviato delle trattative con gli inglesi, attraverso l’ambasciata svedese. Goebbels vagava in stadio confusionale nel bunker. Pensava che la notizia della morte di Hitler avrebbe moderato l’ostilità dei sovietici aumentando così le frizioni tra gli alleati a vantaggio dei russi.
Così non fu. Fu Hans Krebs, Capo di Stato Maggiore, a incontrare la delegazione sovietica di Vasilij Čujkov, che premeva per una capitolazione immediata di Berlino – cosa che avrebbe determinato un vantaggio sovietico sugli angloamericani. Goebbels era contro la resa incondizionata. E Bormann organizzava la sua fuga – al suo gruppo si unirono anche il comandante della Hitlersjugend, Artur Axmann e il medico personale di Hitler, Ludwig Stumpfegger. Goebbels scrisse la sua ultima parola sul diario: “Ausbruchversuch”, tentativo di fuga. Teneva quelle memorie dal 1923, dedicandovi quasi un’ora al giorno. Helmut Kunz, dentista delle SS, suggerì al Cancelliere di consegnare i bambini alla Croce Rossa, ma Goebbels rimase irremovibile e gli chiese di aiutarlo a narcotizzarli. Si tolse la vita poco dopo, assieme alla moglie – Magda Goebbels – con la capsula di cianuro che aveva dato loro Hitler.
Amedeo Gasparini
www.amedeogasparini.com