Commento

“Indroverso”: Montanelli all’attacco contro la censura

Indro Montanelli torna postumo in libreria con Contro ogni censura (Rizzoli 2023), in un volume che raggruppa diversi testi sulla censura in Italia nell’arco di oltre mezzo secolo. Introduce Marcello Veneziani, che fa un imperdibile ritratto del liberale, libertario, anarchico e conservatore “Indroverso”. Incorreggibile solista, svettava solitario rispetto alle ideologie e ai partiti. Non ebbe eredi e rifiutò appartenenze, chiese e famiglie. Soprattutto era allergico alla censura, una camicia di forza, un rimedio peggiore del male. «Era un direttore d’orchestra, non sopportava i violini e soprattutto i tromboni». Nel volume Montanelli fustiga a più riprese l’esposizione dei partiti e della lottizzazione di tv e giornali, ma anche del cinema. Egli la censura l’ha velatamente subita (si veda l’estromissione dal Corriere della Sera nel 1973) e mai promossa (il Giornale ospitava molte firme di orientamento politico diverso).

«Re scontroso della stampa italiana», Montanelli «maltrattò l’Italia e mostrò disgusto per gli italiani, fustigò i loro vizi e i loro vezzi, non sopportò le loro smancerie e la loro retorica pomposa. Fu di destra, ma non adorò né Dio, né la patria, né la famiglia. Fu arcitaliano nei gusti e nei disgusti, oltre che arcitoscano […]; arcitaliano pure nello stile, nell’umorismo e nell’improvvisazione, negli umori e malumori, lievemente qualunquista e ondivago […], sempre all’opposizione, ma poi governativo per fatalismo […], intransigente per tigna, ma non accomodante per pessimismo. […] Individualista e anarchico come tutti gli italiani, ma conservatore e centrista come loro». Il primo articolo della raccolta è del 1956. Qui il giornalista scriveva a Clare Boothe Luce, allora ambasciatrice americana in Italia, che i film prodotti dal paese erano sottoposti a una rigida censura.

Montanelli auspicava un’autonomia che si accompagnasse all’autocontrollo del settore cinematografico. In quegli anni “La dolce vita” di Federico Fellini fece scandalo. I censori si espressero en masse contro il film. Il suo articolo sul Corriere (22 gennaio 1960) contribuì all’ottenimento del visto della censura, tanto che Fellini ringraziò personalmente Montanelli. In un altro articolo (L’Europeo, 21 febbraio 1960) spiegava che il film «non prende a bersaglio la società milanese e nemmeno quella italiana in genere. Prende a bersaglio soltanto certa società romana» – evidentemente alcuni lettori o politici si erano sentiti chiamati in causa nell’opera di Fellini. Il caso de “La dolce vita” arrivò fin sul tavolo del senatore dc Umberto Tapini, ministro del Turismo e dello Spettacolo che aveva annunciato un inasprimento della censura.

«I censori sono sempre, in tutti i paesi e in tutti i regimi, almeno degli stupidi […]. Sono dei funzionari, hanno paura delle responsabilità, interpretano tutte le norme nel senso più restrittivo. Ma soprattutto sono stupidi per destino costituzionale e perché la nostra borbonica burocrazia non può produrre che degli stupidi» (Corriere della Sera, 3 luglio 1960). Anche “Rocco e i suoi fratelli”, di Luchino Visconti, fece scandalo. Montanelli ancora difendeva le scelte del regista. «I film da condannare sono quelli che offendono il gusto, non la morale» (L’Europeo, 6 novembre 1960). Lustri dopo il problema della censura si sarebbe ripresentato, con “I racconti di Canterbury” di Pier Paolo Pasolini e “Ultimo tango a Parigi” di Bernardo Bertolucci. Nel gennaio 1976, la Cassazione stabilì che tutte le copie del film di Bertolucci dovessero essere distrutte.

Montanelli si appellò alla responsabilità personale. «Considero la censura governativa come un grosso malanno e una costante insidia contro la libertà […]. Ma considero anche l’irresponsabilità di certi produttori e gli eccessi di certi registi una continua provocazione” (L’Europeo, 11 dicembre 1960). «Perché accusare, sempre e di tutto, il governo, è molto facile; ma non è altrettanto onesto. Noi non avremmo tanti sbirri, se non avessimo anche tanti ladri. E non avremmo censura, se avessimo un’autocensura» (ibid.). Nel maggio 1964 attaccò la gestione della tv pubblica, riferendosi alle correnti dc che si spartivano le posizioni di potere in RAI. Infine, oggi come allora, in materia di censura, occorre difendersi da due pericoli: «quello di chi, in nome dell’ordine e della morale, vuol sopprimere la libertà, e quello di chi, con la scusa di difenderla, ne abusa» (Oggi, 2 giugno 1975).

Amedeo Gasparini

www.amedeogasparini.com

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