Sara Flaadt, regista, ama creare spettacoli collettivi e in divenire che facciano emergere figure in ombra e che s’interroghino su tematiche anche sociali. Con la Compagnia Supergiù Teatro ha portato al Foce, martedì e ieri, anche come interprete, lo “studio” come viene definito, Una Emilie Kempin-Spyri. Tutte Emilie. Chi era costei? Una parte del cognome dirà qualcosa, in effetti con l’autrice, molto più famosa, di Heidi era imparentata. Ma fu una personalità di suo, per quanto non notissima oggi ai più. La chiave è femminista, lei è eletta a simbolo delle donne che hanno lottato nel passato e di quelle che si sono sacrificate e delle donne di oggi che ancora non riescono ad ottenere una piena parità. La rappresentazione, esprimendosi a volte come cronaca giornalistica, dibattito, documento e analisi dell’attualità (anche con l’ausilio di un video), mette in dialogo ricercatrici “moderne” con la vita, le vite e le diverse personalità, nel tempo, della protagonista. Il confronto comunque ci dice che, se la situazione è migliorata, c’è ancora molto da fare.
Emilie ha dovuto combattere contro i pregiudizi della sua famiglia di origine, ma nella battaglia sarà poi aiutata dal marito. La Svizzera dell’epoca risulta una nazione arretrata per quanto riguarda l’emancipazione femminile (non c’è da stupirsi, visto il ritardo con il quale ha poi concesso il voto alle donne). La seguiamo, sul palco, nello sdoppiamento tra la lei ancora piena di speranze e quella ormai disillusa. Sarà la prima donna svizzera a laurearsi in giurisprudenza ma non le servirà nel suo paese, dato che non le sarà permesso di praticare, proprio in quanto donna. Emigra allora negli USA dove addirittura riesce ad aprire una scuola di legge per sole donne. Continuerà poi a battersi, una volta rientrata, riuscirà ad insegnare, ma prostrata dalle molte sconfitte (apre una scuola anche qui ma sarà disertata, erano le donne le prime a voler rifiutare di mettersi contro una società che le avrebbe stigmatizzate a priori), finirà in una clinica psichiatrica dove morirà un paio di anni dopo. Una sconfitta che però resta esemplare. Sulla scena si avvicendano o coesistono, anche con voci fuori campo, le diverse Emilie che chiamano a riflettere (in senso reale e metaforico) anche le spettatrici su questo destino, uno per milioni di altre. Sviluppo coerente, forse c’è da sottolineare che ai ruoli “moderni” sono attribuiti una certa parodistica petulanza e un manierismo comico che alla fine possono anche risultare stucchevoli. Applausi per tutte: oltre alla regista, Lucia Donadio, Jasmin Mattei, Camilla Parini, Margherita Saltamacchia, Laura Zeolla, Margherita Coldesina, Roberta Fossile.
Manuela Camponovo