Vicino Oriente: una domanda s’impone
Seguendo i nostri dibattiti pubblici, si capisce che ponderare gli argomenti pro o contro la “guerra giusta” risulta ancora più difficile nel caso di Israele rispetto all’Ucraina. Anche se in nessuno dei due casi viene negato il diritto a difendersi, si sollevano molti dubbi circa la proporzionalità dei contrattacchi di Israele contro Hamas – lo stesso teorico della “guerra giusta” Michael Walzer ne denuncia lo spirito di «vendetta», in qualche modo “personificato” in Netanyahu. Anche l’ONU e varie organizzazioni internazionali vedono leso lo ius in bello (“diritto in guerra”). Un motivo che giustifica Israele è però il fatto che Hamas usa la popolazione civile come scudo e luoghi come scuole ed ospedali per scopi militari e che i suoi attacchi del 7 ottobre sono da leggere nella luce di ciò che dichiara nei propri statuti, ossia «la cancellazione dello Stato d’Israele», nonché il fatto che sin dall’instaurazione dello Stato d’Israele le ostilità del mondo arabo si sono materializzate nelle regioni confinanti, occupate di conseguenza da Israele.
Anche se prima del conflitto il consenso popolare palestinese verso la stessa Hamas era basso – come del resto lo è per Netanyahu in Israele – non bisogna dimenticare che nel Consiglio legislativo palestinese Hamas ha ottenuto, alle ultime elezioni del 2006 (sic!), la maggioranza assoluta con 74 su 132 seggi. Dunque, la situazione è davvero “risolta” distinguendo – del resto giustamente! – tra Hamas e Palestina? Non dovremmo sottoporre ad un’analisi critica anche i 4’000 ricercatori e docenti italiani firmatari degli appelli pro Palestina? Oppure Greta Thunberg, che ha basato il movimento globale più efficace per la salvaguardia del clima proprio sull’idea che questa preoccupazione debba riunire l’umanità al di là delle divisioni politiche, ma che ora manifesta ad Amsterdam in favore della Palestina e accusa Israele, dal palco, di «genocidio»? Oppure la risoluzione ONU del 27 ottobre, che non menziona Hamas nemmeno una volta? La stessa Germania, che pure considera l’esistenza dello Stato d’Israele come propria «ragion di Stato» e il 12 ottobre ha dichiarato all’unanimità nel Bundestag la solidarietà incondizionata ad Israele e la protezione della vita ebraica sul territorio tedesco, si è astenuta durante la votazione della risoluzione anziché votare contro insieme ad Israele, USA e altri dodici Stati. Allo stesso momento osserva, però, come nella penombra dei dibattiti pubblici, purtroppo, rifiorisce l’antisemitismo (che non è da confondere con la – legittima – critica ad Israele). Ora, non dovrebbe questa situazione suscitare la domanda stringente se combattere l’antisemitismo nelle nostre società, anziché tollerarlo, sia lo stesso dovere nei confronti della democrazia di quello che abbiamo assunto sostenendo l’Ucraina nel difendersi dall’aggressione del regime autocratico russo?
Markus Krienke