Il poema del nostos, del ritorno a casa del mitico eroe dell’Odissea, viene modificato e riattualizzato nello spettacolo di Mario Perrotta che, facendo approdare la vicenda da Itaca al Salento, pone l’accento sull’assenza di Ulisse e sui sentimenti del figlio e della moglie del leggendario navigatore dal multiforme ingegno.
L’aedo di questa nuova Odissea è Telemaco, che ricostruisce la storia del padre dai racconti di Antonio, il matto del paese, che trascorrendo la sua intera esistenza contemplando il mare, ascolta le leggende da esso tramandate. Lo spettacolo si apre proprio su questa bizzarra figura, “l’Antonio delle cozze”, capace di “addomesticare” il mare, avido di storie, di vita e… di cozze. Su questa divertente immagine – che ha da subito conquistato e divertito gli spettatori del Teatro Foce di Lugano – si innesta la tragicomica vicenda di Telemaco, che può attingere ai frammenti di esistenza dal padre solo tramite i racconti di un folle che impiega il suo tempo “imboccando” il mare, capace di divorare intere città, ma non di aprire il guscio del prelibato mollusco.
La narrazione omerica diviene nello spettacolo più “terrena” e “umana”: al centro non vi sono le eroiche imprese di Ulisse, che domina il mare approdando in isole incantate, ma Telemaco, con la sua rabbia salentina, che deve affrontare l’assenza del padre e la malignità delle chiacchiere di paese sulla madre, reclusasi in casa aspettando inutilmente il ritorno dell’amato marito. La moderna Penelope, ribattezzata nello spettacolo donna “Speranza”, cuce e scuce la tela per ingannare e vincere il tempo, e non per sfuggire ai Proci. Per Telemaco, invece, il tempo dell’attesa è finito, non spera e non crede in un ritorno del padre; se difende il valore di lui nel colloquio che ha con un bambino salentino, in cuor suo non lo considera un eroe (come invece lo ritengono tutti i compaesani) ma un padre assente e un marito ingrato. Al ragazzino, che si vanta di avere un padre che ha combattuto in guerra, che si è arricchito tanto da avere una barca e vestire classico, Telemaco ribatte che il suo ha vinto la guerra da solo, ha comandato un’intera flotta, e suo padre… è un classico! A uscirne vincitore è però il dispettoso salentino; in effetti, quando questi afferma che suo padre “c’è” e quindi condivide con Telemaco le piccole gioie che prova trascorrendo con lui il suo tempo, il figlio di Ulisse ripete poco convinto “mio padre è un eroe”.
A questo punto Telemaco ricorda le leggendarie imprese del padre: quando sfugge al canto ammaliante delle sirene, quando vince con l’ingegno il mostruoso Polifemo e quando abbandona la maga Circe. I dubbi, però, prendono il sopravvento: si chiede perché il padre si intrattenne ben un anno presso l’incantatrice maga, e perché, una volta lasciata, non fece ritorno. Il finale è amaro: si chiude infatti sulle parole di Telemaco che riporta una leggenda del paese: Ulisse è tornato in patria, è giunto fino alla soglia di casa ma, lo si lascia intendere, non la varca e preferisce salpare nuovamente in cerca di avventure.
L’interpretazione magistrale di Perrotta, che ha impersonato tutti i personaggi della vicenda, sapendone cogliere e restituire la loro più intima natura, ha convinto decisamente il folto pubblico presente ieri al Foce. L’abile cantore, muovendosi sulle note (eseguite dal vivo) di Mario Arcari (oboe, clarinetto, batteria) e Maurizio Pellizzari (chitarra, tromba), ha saputo divertire e coinvolgere il pubblico con i canti popolari del Salento, la sua gestualità e la sua abilità di narratore (anche al testo, scritto dallo stesso Perrotta, va fatto un plauso).
Un solo dubbio rimane: ripensando anche allo spettacolo di Andrea Baracco, Itaca per sempre (andato in scena al Teatro Foce questa stagione, in cui anche si metteva in discussione l’etica di Ulisse), il protagonista dell’Odissea sarebbe stato ugualmente capace di affascinare i contemporanei di Omero, fino ai lettori odierni, se fosse stato un buon padre di famiglia? Se non avesse intrapreso le sue innumerevoli avventure, dove dà mostra del suo vivace ingegno e del suo coraggio?
Lucrezia Greppi