De Gasperi: l’Europa brucia. È il titolo della pièce teatrale andata in scena al LAC di Lugano venerdì 8 marzo; una creativa vera lezione di storia e di civica dell’immediato secondo dopoguerra, ma anche un monito per il drammatico scenario geopolitico odierno. Sempre quel giorno usciva la notizia ufficiale del via al mandato di negoziazione CH-UE, da noi preannunciato con il sottotitolo tra Accordo Quadro e Bilaterali III (L’Osservatore, 17.2.24). La concomitanza mostra bene, ma ne siamo poco coscienti, come si sia di fronte a sfide che pur su piani diversi vanno tenute ben presenti.
Il continente europeo si trova di nuovo fragile e diviso tra una Russia che vuol ritrovare un suo retaggio storico, invadendo l’Ucraina e scostandosi da quel disegno di cooperazione dall’Atlantico agli Urali che sembrava potersi costruire con la caduta del muro di Berlino e il disfacimento dell’Unione Sovietica. Invece si presenta minacciosa; essenzialmente per potere autocratico, senza più nemmeno il riferimento ideologico al comunismo; dove l’Occidente è considerato il diavolo. D’altro lato, l’Alleanza Atlantica, data per moribonda dal Presidente francese solo qualche anno fa, diventa cruciale per la difesa dei confini orientali, con Svezia e Finlandia ad abbandonare la neutralità. Tuttavia, gli Stati europei, membri della NATO o no come la Svizzera, stanno subendo anche il prezzo della loro dipendenza dagli interessi, dalle logiche strategiche e da qualche delirio politico degli Stati Uniti.
Il mondo si sta ormai da tempo affrancando dall’Occidente e persino dai suoi valori; con Cina e i Paesi emergenti (BRICS+) a definire nuove polarità; vi è bisogno di un nuovo ordine mondiale che ancora non si intravvede, dopo quello di Bretton Woods di ottant’anni fa. E qui il discorso di De Gaspari e dei padri dell’Europa, a salvaguardia di una Europa democratica e basata sui suoi valori di libertà individuale e sul bene comune, riporta con forza alla necessità di ritrovare, rinnovandolo, il processo di costruzione europea. Certo legato all’UE, ma non solo; con formule già trovate con l’OSCE, l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, purtroppo oggi paralizzata ad est, e nuovi tentativi di dialogo politico europeo.
Non dobbiamo commettere l’errore di esacerbare – con linee rosse isolazioniste o declamatorie – quei punti che ancora potrebbero ostacolare la conclusione dei negoziati. L’incontro presidenziale di dopo domani tra Viola Amherd e Ursula von der Leyen è un buon segnale. Gli osservatori più attenti apprezzano il lavoro preliminare svolto, in parte superando le critiche al Dipartimento del Consigliere federale Ignazio Cassis susseguenti alla sconcertante uscita unilaterale del maggio 2021 dalle trattative, quasi decennali, sull’Accordo quadro.
Remigio Ratti
CH-UE: negoziati bilaterali in un quadro di sfide epocali
De Gasperi: l’Europa brucia. È il titolo della pièce teatrale andata in scena al LAC di Lugano venerdì 8 marzo; una creativa vera lezione di storia e di civica dell’immediato secondo dopoguerra, ma anche un monito per il drammatico scenario geopolitico odierno. Sempre quel giorno usciva la notizia ufficiale del via al mandato di negoziazione CH-UE, da noi preannunciato con il sottotitolo tra Accordo Quadro e Bilaterali III (L’Osservatore, 17.2.24). La concomitanza mostra bene, ma ne siamo poco coscienti, come si sia di fronte a sfide che pur su piani diversi vanno tenute ben presenti.
Il continente europeo si trova di nuovo fragile e diviso tra una Russia che vuol ritrovare un suo retaggio storico, invadendo l’Ucraina e scostandosi da quel disegno di cooperazione dall’Atlantico agli Urali che sembrava potersi costruire con la caduta del muro di Berlino e il disfacimento dell’Unione Sovietica. Invece si presenta minacciosa; essenzialmente per potere autocratico, senza più nemmeno il riferimento ideologico al comunismo; dove l’Occidente è considerato il diavolo. D’altro lato, l’Alleanza Atlantica, data per moribonda dal Presidente francese solo qualche anno fa, diventa cruciale per la difesa dei confini orientali, con Svezia e Finlandia ad abbandonare la neutralità. Tuttavia, gli Stati europei, membri della NATO o no come la Svizzera, stanno subendo anche il prezzo della loro dipendenza dagli interessi, dalle logiche strategiche e da qualche delirio politico degli Stati Uniti.
Il mondo si sta ormai da tempo affrancando dall’Occidente e persino dai suoi valori; con Cina e i Paesi emergenti (BRICS+) a definire nuove polarità; vi è bisogno di un nuovo ordine mondiale che ancora non si intravvede, dopo quello di Bretton Woods di ottant’anni fa. E qui il discorso di De Gaspari e dei padri dell’Europa, a salvaguardia di una Europa democratica e basata sui suoi valori di libertà individuale e sul bene comune, riporta con forza alla necessità di ritrovare, rinnovandolo, il processo di costruzione europea. Certo legato all’UE, ma non solo; con formule già trovate con l’OSCE, l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, purtroppo oggi paralizzata ad est, e nuovi tentativi di dialogo politico europeo.
Non dobbiamo commettere l’errore di esacerbare – con linee rosse isolazioniste o declamatorie – quei punti che ancora potrebbero ostacolare la conclusione dei negoziati. L’incontro presidenziale di dopo domani tra Viola Amherd e Ursula von der Leyen è un buon segnale. Gli osservatori più attenti apprezzano il lavoro preliminare svolto, in parte superando le critiche al Dipartimento del Consigliere federale Ignazio Cassis susseguenti alla sconcertante uscita unilaterale del maggio 2021 dalle trattative, quasi decennali, sull’Accordo quadro.
Remigio Ratti