Per Wole Soyinka, classe 1934, sembra che il tempo non sia passato. Lo ricordiamo a Lugano nel 1988, in un affollato Palacongressi, quando, non annunciato, a sorpresa, buttando giù dal letto rappresentanti dei media e addetti ai lavori vari, arrivò una mattina per onorare un piccolo Festival, lo Speciale Africa, organizzato dalla compagnia Pan, e fino ad allora ignorato dalle autorità. E poi ancora nel 2010 ad inaugurare il progetto “Immagina la pace!” della rete internazionale “Cité des cultures de la paix” . E oggi eccolo a Chiasso, in transito per Torino e il Salone del libro. Questa mattina la conferenza stampa collettiva, questa sera l’incontro con il pubblico ad aprire il Festival letterario. Stessa faccia, stessa capigliatura. Un altro regalo alla Svizzera di lingua italiana. Marco Galli, responsabile della manifestazione, lo ha subito sollecitato a parlare di uno dei suoi libri in uscita fra pochi giorni nella versione italiana: Ode umanista per Chibok.
Lo scrittore, saggista, drammaturgo, attivista… esprimendosi in inglese e affiancato dalla sua traduttrice, Alessandra Di Maio, ha spiegato intanto che la scelta di quella forma poetica antica, appunto “ode”, vuole essere anche un omaggio a quel tipo di poesia, illuminista, discorsiva, che in forma poetica affronta argomenti di indagine umana, di riflessione sociale, ma ha anche le sue radici in un’antica tradizione orale, che si rivolge al popolo, che racconta del popolo, nelle diverse forme comunicative, proverbi, enigmi, e attive come recitazione rituale, coadiuvata dalla musica, comune alle regioni dell’Africa occidentale. In quanto all’argomento, che si riferisce ad un devastante fatto di cronaca della Nigeria, la cui notizia ha fatto il giro del mondo, il rapimento delle studentesse, egli ha affermato di non averlo scelto lui: “è l’argomento che ha scelto me”. È stato un fatto che ha colpito la coscienza di una intera nazione. Si è domandato: “se fosse capitato ad una delle mie figlie un simile trattamento, cosa avrei fatto, come avrei reagito?”, questo si è chiesto da padre e questo lo ha spinto a scrivere quei versi. Inoltre, ha anche raccontato come il rapimento sia avvenuto in diverse fasi e più volte, perché i fanatici si sono anche divisi tra loro. Tra chi si è arreso e che, dopo il pagamento del riscatto, ha restituito un gruppo di ragazze e chi invece non lo ha fatto. E che usa i soldi per continuare a commettere altri crimini, in un circolo che non finisce mai. Tra l’altro ha narrato l’aneddoto di quella vittima che di fronte alla richiesta di convertirsi ha opposto un “no!” che per Soyinka ha lo stesso valore di ribellione e giustizia del no pronunciato da Mandela, in altre circostanze. Un fatto triste ma allo stesso tempo incoraggiante (uno dei testi dell’Ode è proprio dedicato a questo “no”: Mandela incontra Leah, “No disse lei, no, disse lui…”).
E poi sul concetto di esilio, quando è stato costretto ad attraversare un fiume, a fuggire in un altro paese, a lasciare la Nigeria… l’ha sempre considerato come un periodo transitorio, di passaggio, una sorta, afferma ironicamente, di “Sabbatico politico”… Senza contare che non ha mai sentito di aver voltato le spalle alla sua casa con la quale è sempre stato, anche da lontano, in relazione, ha mantenuto sempre la stessa passione per gli eventi orrendi che succedevano nel suo paese: “non c’è differenza se si è a casa o in esilio, la qualità della reazione è la stessa”. Il senso di appartenenza ad un luogo non cambia.
E poi il discorso è caduto sulla rielezione di Buhari, che aveva fatto delle promesse, come combattere la corruzione. Ma Soyinka pensa che non meritasse questa rinnovata fiducia perché non ha fatto molto per la sua nazione: ex militare, ha lasciato che i gruppi di criminali armati crescessero, come quello che viene chiamato dei “pastori” che continua a fare incursioni, incendiando e uccidendo, a fronte dell’indifferenza del governo. Tutto questo a Soyinka ricorda il periodo dell’Apartheid sudafricana.
Un ultimo argomento di questo incontro ha riguardato il teatro che ha una grande importanza nel suo ambito creativo. Ed egli ha spiegato come faccia parte della sua cultura e tradizioni, un teatro che si ritrova ad ogni angolo di strada, radicato nella gente, popolare, che coinvolge tutti, un mezzo di comunicazione, sociale e artistico, che si esprime attraverso danza, musica, maschere, in forme dinamiche, è alla radice della ispirazione e di un continuo rinnovamento espressivo, perché portare in scena un’opera teatrale, dirigerla, vuol dire darle un altro tipo di vita.
Aggiungiamo che oltre all’”Ode”, in uscita da Jaca Book c’è anche una raccolta di saggi politici su attualità internazionale, senso della storia, rilevanza di Mandela.
Manuela Camponovo