Hollywood non riparte
La situazione dell’industria cinematografica a Hollywood è critica: gli effetti degli scioperi, la competizione internazionale, la contrazione delle produzioni e la fuga degli spettatori dai cinema stanno mettendo a dura prova un settore che sembra lontano dal ritrovare la sua stabilità.
Nel 2024 Hollywood non è ancora ripartita dopo gli scioperi di sceneggiatori e attori che hanno paralizzato le produzioni per sei mesi nel 2023. Il settore cinematografico registra la più drammatica contrazione degli ultimi trent’anni. Michele Greco, un produttore romano di 55 anni che vive a Los Angeles da due decenni, spiega: “Girare a Hollywood è diventato un salasso: tra le paghe della troupe e gli affitti di materiali, macchinari, location e teatri, un giorno di riprese a LA costa quasi il doppio che in Georgia”.
Questa crisi è accentuata dalle disparità nei tax credit offerti dalle varie regioni. La California offre 330 milioni di dollari all’anno, New York 700 milioni e la Georgia non ha limiti. Paesi stranieri come il Regno Unito, la Nuova Zelanda, l’Ungheria e il Canada offrono incentivi fiscali vantaggiosi e stipendi molto più bassi per le troupe, rendendo difficile per Hollywood competere sul piano dei costi.
Susie Mancini, una scenografa milanese con una candidatura agli Emmy, racconta: “Dopo mesi di stanca, ho cominciato una serie prodotta da una Major. Mi trovo a lavorare con gente che ha fatto una decina di film da Oscar, che da mesi è senza impiego e deve accettare paghe o mansioni ridotte”. Questo riflette la situazione disperata in cui molti professionisti del settore si trovano, costretti ad accettare lavori mal pagati o in posizioni inferiori rispetto alle loro qualifiche.
Secondo Michele Greco, “Gli Studios hanno finito i soldi, devono tagliare e tagliare. Hanno approfittato dello sciopero per rescindere senza penale alcuni contratti onerosi e chiudere progetti poco remunerativi. Se prima producevano 10 film, ora ne producono 5”. I numeri confermano questa contrazione: nel 2024 usciranno 90 film, contro i 100 del 2023. Le serie prodotte saranno circa 300, rispetto alle 481 del 2023 e alle 633 del 2022, secondo dati di Ampere Analysis.
La crisi è aggravata dalla fuga degli spettatori dai cinema e dal calo degli abbonamenti alle piattaforme di streaming. Le previsioni indicano che gli incassi del 2024 in Nordamerica saranno pari a 8 miliardi di dollari, con una diminuzione del 10% rispetto al 2023 e del 30% rispetto al 2019. Walter Volpatto, esperto di color correction, afferma: “È cambiato tutto. Non si torna indietro. Le Major ormai devono compiacere la Borsa più che produrre buon cinema”.
Le ripercussioni si sentono anche tra i professionisti del settore, come Stefania Rosini, fotografa di scena: “È un disastro. Tra i miei amici c’è chi ha perso l’assicurazione medica, chi la casa. È difficile restare sereni”. Rosini, come molti altri italiani a Hollywood, è costretta a cercare lavoro in Europa per sopravvivere economicamente.
Secondo lo U.S. Bureau of Labor Statistics, ad aprile 2024 il livello di occupazione sui set e negli studi di registrazione ha segnato una contrazione del 20% rispetto a prima della pandemia. L’ente FilmLa ha calcolato che nel primo trimestre dell’anno le riprese sono diminuite dell’8,7% rispetto al 2023, con un calo del 16,2% per le serie TV.
Coxy, una costumista milanese, descrive la situazione come “peggio della pandemia: quattro anni fa, avevamo ancora dei risparmi. Siamo entrati in questa crisi già troppo acciaccati”. Il calo delle produzioni era iniziato prima dello sciopero, e molti progetti sono stati posticipati in attesa della risoluzione delle vertenze sindacali.
Uno dei fattori che tiene l’industria con il freno tirato è l’eventualità che salti la contrattazione in corso tra i produttori e IATSE, la confederazione che riunisce i sindacati delle maestranze di set e post produzione. I contratti di 170.000 tra costumisti, scenografi, cameraman, elettricisti, montatori, esperti di effetti speciali e fornitori del catering scadono il 31 luglio, e l’incertezza su questi accordi contribuisce a mantenere l’industria in uno stato di stallo. (Fonte: ANSA)