Mons. Carlo Maria Viganò a Venezia nel 2021
La recente scomunica del vescovo Carlo Maria Viganò è un caso isolato o è l’inizio di una rinascita del movimento tradizionalista nella Chiesa? Ci sono infatti diversi segnali che indicano un rigurgito prepotente di tendenze anticonciliari, con una sempre più virulenta opposizione a papa Francesco e al suo magistero.
Del caso di mons. Viganò ne hanno parlato ampiamente i mass media. Già nunzio apostolico negli Stati Uniti, e prima ancora ai vertici di un dicastero vaticano, è un simpatizzante della prima ora del vescovo francese Marcel Lefebvre, feroce oppositore del Concilio Vaticano II, che rifiutò di accogliere, arrivando a creare una Fraternità sacerdotale e un seminario nella località svizzera di Ecône, formando numerosi giovani seminaristi e ordinando preti e vescovi scismatici. Lefebvre fu poi scomunicato da Giovanni Paolo II, ma la sua Fraternità continuò a diffondersi.
Mons. Viganò, che è nato a Varese e mantiene alcuni legami col Ticino, rientrò nei ranghi della Chiesa e fece carriera, ma continuò a simpatizzare per i tradizionalisti lefebvriani. Non mancò di manifestare una certa insofferenza già con Benedetto XVI, dal quale sperava di ricevere una carica prestigiosa in Vaticano, con tanto di berretta cardinalizia. Ma la rottura si manifesta con Francesco, del quale arrivò prima a chiedere le dimissioni, poi addirittura a rifiutare di riconoscerlo come legittimo successore alla cattedra di san Pietro, considerando Jorge Bergoglio un usurpatore e la Chiesa cattolica in sede vacante. Farneticazioni che si allargarono anche sul fronte della pandemia, aderendo alle teorie del complotto e al sostegno ai “no vax”. Ora la scomunica, che Viganò accoglie con orgoglio disobbedendo all’imposizione di non più celebrare messa.
Sostenuto pubblicamente dal seguitissimo blog Duc in altum del giornalista Aldo Maria Valli, già vaticanista per la RAI e vicino all’Opus Dei, le posizioni di Viganò non sono isolate. Un altro caso è quello di Alessandro Minutella, già prete siciliano pure lui sotto scomunica e ridotto allo stato laicale, accusato di scisma ed eresia. La sua popolarità è letteralmente esplosa attraverso il canale YouTube, rilanciato da suoi seguaci, compresi alcuni ticinesi. Pure Minutella attacca violentemente papa Francesco, accusandolo di essere mosso da Satana e dalla massoneria.
Alimentando il suo movimento scissionista e predicando l’illegittimità dell’elezione di Francesco, questo personaggio è recentemente sbarcato in Ticino, prima a Lugano, poi a Riva San Vitale sostenuto da uno sparuto gruppo di adepti locali. Gli incontri, animati da un professore delle medie di Barbengo e da un giornalista già addetto stampa dell’UDC, licenziato dal partito per una serie di post razzisti pubblicati sui social network, hanno visto comunque la partecipazione entusiasta di simpatizzanti ticinesi.
Tradizionalisti in Ticino
Al di là degli eccessi e degli estremismi scismatici, occorre però riconoscere che il movimento tradizionalista è comunque in espansione, anche in casa nostra. Parroci che celebrano la messa con le spalle rivolte ai fedeli. Preti che impongono nelle loro parrocchie riti in latino. Ragazze che assistono col velo in testa e giovani che si inginocchiano con le mani giunte per ricevere la Comunione in bocca. Scene ormai ricorrenti, che i più anziani non vedevano da sessant’anni e che si ripresentano con maggiore frequenza nelle chiese e nelle cappelle ticinesi.
Si potrebbe liquidare come un nostalgico ritorno al passato, se protagoniste fossero persone anziane che non hanno mai accettato le riforme liturgiche del Concilio Vaticano II. Invece ci si accorge che a ripescare antiche liturgie o addobbi impolverati riposti nei depositi parrocchiali sono preti di fresca ordinazione e giovanissimi fedeli. È una nuova generazione di cattolici che avanza sia pure guardando al passato.
È un fenomeno non organizzato in strutture definite, ma piuttosto spontaneo e informale. Un fenomeno che però si sta diffondendo in modo crescente. Non tanto per il numero di persone che vi aderisce, quanto per diffusione sul territorio. Sono infatti sempre più numerosi i preti che reintroducono gesti, culti, pratiche, suppellettili, vesti e ornamenti sacri preconciliari, che il Vaticano II aveva raccomandato di eliminare. Così come sono sempre più numerose le persone che – pur non frequentando le messe tridentine – si comportano in chiesa secondo norme liturgiche ormai in disuso o addirittura abolite.
La Fraternità Sacerdotale di San Pietro in Ticino
A promuovere e diffondere in Ticino la liturgia preconciliare è soprattutto la Fraternità Sacerdotale di San Pietro (FSSP), una “società clericale di vita apostolica” di diritto pontificio, istituita da Giovanni Paolo II che volle riconoscere le «giuste aspirazioni» dei fedeli legati al rito antico. In Svizzera è presente in una dozzina di località nelle tre diocesi di Lugano, Sion e Friburgo-Losanna-Ginevra. Vi aderiscono fedeli di ogni età che vogliono assistere a messe e sacramenti celebrati secondo il rito romano antico (il cosiddetto vetus ordo), conosciuto anche come rito tridentino, perché utilizza il messale romano promulgato dopo il Concilio di Trento.
Papa Francesco, a causa dell’uso distorto che ne era stato fatto, aveva stabilito nel 2021 nuove e più stringenti regole per le messe celebrate con questo messale. Affidava al vescovo la responsabilità di autorizzare l’uso del messale; vietava l’erezione di nuove parrocchie personali per questo scopo; indicava di scegliere chiese non parrocchiali per queste celebrazioni; designava un sacerdote per la cura pastorale di questi gruppi e il divieto di costituirne di nuovi.
In Ticino, la Fraternità di San Pietro, dal settembre 2023 assicura un ministero regolare nell’oratorio della Madonna di Fatima a Gordemo, sopra Gordola (messe tutte le domeniche e tutte le feste infrasettimanali, non necessariamente di precetto, sacramenti e catechesi comprese) diventando di fatto una “parrocchia” tra le parrocchie, con tanto di autorizzazione della diocesi di Lugano.
Già attiva dal 2016, non è però l’unica realtà a proporre queste vecchie messe. Già da diversi anni, altri preti tradizionalisti, celebrano almeno due volte al mese nella chiesa di Santa Marta a Carona (alla quale spesso partecipano anche seminaristi residenti a Lugano). Così come almeno una volta al mese, la messa preconciliare viene celebrata nella chiesa di San Carlo, in via Nassa a Lugano. Altri riti tridentini sono avvenuti, senza autorizzazione del vescovo e spesso senza che la diocesi ne sia a conoscenza, in altre località del Sottoceneri, come per esempio a Canobbio o nella chiesetta della Madonna della Salute a Massagno.
Insomma, il movimento tradizionalista va ben oltre la realtà organizzata e riconosciuta della Fraternità di San Pietro, e raccoglie intorno a sé un certo numero di preti piuttosto giovani, che non mancano di proporre celebrazioni vetus ordo anche in occasione di incontri formativi con bambini e ragazzi, imponendo loro di inginocchiarsi e ricevere la Comunione sulla lingua, o estemporanee ricorrenze e riti locali (c’è chi a Mendrisio è rimasto impressionato da alcuni funerali celebrati con lugubri e tenebrosi paramenti neri, anziché con gli ordinari paramenti violacei).
Oltre il folclore, il rischio di dividere
Ora, non è di per sé molto importante se qualche nostalgico celebra in privato messe preconciliari rimpiangendo ciò che magari non ha mai vissuto perché nato molti anni dopo il Concilio. Sono gusti personali, così come può essere semplicemente liquidato come folclore religioso il riproporre riti, vesti, inni e paramenti, tendaggi e drappi decorativi nelle chiese, scomparsi da oltre mezzo secolo.
Ciò che invece preoccupa è quando tutto ciò viene imposto da un singolo prete, senza informare il vescovo, a un’intera comunità parrocchiale, creando sorpresa, sconcerto, divisione, abbandono e dispersione. Una cosa è infatti offrire una messa in una località precisa della diocesi dove alcune persone possono usufruire di un rito secondo il vecchio canone liturgico. Altra cosa è imporre queste forme a un’intera comunità locale, provocando un vero e proprio esodo di fedeli che dalle loro parrocchie di origine si vedono costretti a migrare in altre parrocchie per prendere parte a messe normali, dove si partecipa pienamente, e il prete non è l’unico protagonista che impone formule incomprensibili all’assemblea dei fedeli.
È una visione di Chiesa che preoccupa perché rompe la comunione e incrina l’unità della Chiesa stessa, in nome di una tradizione che è interpretata nel senso deteriore del termine. Viganò e Minutella insegnano.
Per dirla con Gustav Mahler, «fedeltà alla tradizione è custodia del fuoco, non adorazione delle ceneri». Di fronte a questi rigurgiti del movimento tradizionalista sembra si sia arrivati invece ad adorare ciò che è morto, piuttosto che tener vivo ciò che è risorto.
Luigi Maffezzoli
Tradizionalisti e scomunicati, tra Roma e il Ticino
Mons. Carlo Maria Viganò a Venezia nel 2021
La recente scomunica del vescovo Carlo Maria Viganò è un caso isolato o è l’inizio di una rinascita del movimento tradizionalista nella Chiesa? Ci sono infatti diversi segnali che indicano un rigurgito prepotente di tendenze anticonciliari, con una sempre più virulenta opposizione a papa Francesco e al suo magistero.
Del caso di mons. Viganò ne hanno parlato ampiamente i mass media. Già nunzio apostolico negli Stati Uniti, e prima ancora ai vertici di un dicastero vaticano, è un simpatizzante della prima ora del vescovo francese Marcel Lefebvre, feroce oppositore del Concilio Vaticano II, che rifiutò di accogliere, arrivando a creare una Fraternità sacerdotale e un seminario nella località svizzera di Ecône, formando numerosi giovani seminaristi e ordinando preti e vescovi scismatici. Lefebvre fu poi scomunicato da Giovanni Paolo II, ma la sua Fraternità continuò a diffondersi.
Mons. Viganò, che è nato a Varese e mantiene alcuni legami col Ticino, rientrò nei ranghi della Chiesa e fece carriera, ma continuò a simpatizzare per i tradizionalisti lefebvriani. Non mancò di manifestare una certa insofferenza già con Benedetto XVI, dal quale sperava di ricevere una carica prestigiosa in Vaticano, con tanto di berretta cardinalizia. Ma la rottura si manifesta con Francesco, del quale arrivò prima a chiedere le dimissioni, poi addirittura a rifiutare di riconoscerlo come legittimo successore alla cattedra di san Pietro, considerando Jorge Bergoglio un usurpatore e la Chiesa cattolica in sede vacante. Farneticazioni che si allargarono anche sul fronte della pandemia, aderendo alle teorie del complotto e al sostegno ai “no vax”. Ora la scomunica, che Viganò accoglie con orgoglio disobbedendo all’imposizione di non più celebrare messa.
Sostenuto pubblicamente dal seguitissimo blog Duc in altum del giornalista Aldo Maria Valli, già vaticanista per la RAI e vicino all’Opus Dei, le posizioni di Viganò non sono isolate. Un altro caso è quello di Alessandro Minutella, già prete siciliano pure lui sotto scomunica e ridotto allo stato laicale, accusato di scisma ed eresia. La sua popolarità è letteralmente esplosa attraverso il canale YouTube, rilanciato da suoi seguaci, compresi alcuni ticinesi. Pure Minutella attacca violentemente papa Francesco, accusandolo di essere mosso da Satana e dalla massoneria.
Alimentando il suo movimento scissionista e predicando l’illegittimità dell’elezione di Francesco, questo personaggio è recentemente sbarcato in Ticino, prima a Lugano, poi a Riva San Vitale sostenuto da uno sparuto gruppo di adepti locali. Gli incontri, animati da un professore delle medie di Barbengo e da un giornalista già addetto stampa dell’UDC, licenziato dal partito per una serie di post razzisti pubblicati sui social network, hanno visto comunque la partecipazione entusiasta di simpatizzanti ticinesi.
Tradizionalisti in Ticino
Al di là degli eccessi e degli estremismi scismatici, occorre però riconoscere che il movimento tradizionalista è comunque in espansione, anche in casa nostra. Parroci che celebrano la messa con le spalle rivolte ai fedeli. Preti che impongono nelle loro parrocchie riti in latino. Ragazze che assistono col velo in testa e giovani che si inginocchiano con le mani giunte per ricevere la Comunione in bocca. Scene ormai ricorrenti, che i più anziani non vedevano da sessant’anni e che si ripresentano con maggiore frequenza nelle chiese e nelle cappelle ticinesi.
Si potrebbe liquidare come un nostalgico ritorno al passato, se protagoniste fossero persone anziane che non hanno mai accettato le riforme liturgiche del Concilio Vaticano II. Invece ci si accorge che a ripescare antiche liturgie o addobbi impolverati riposti nei depositi parrocchiali sono preti di fresca ordinazione e giovanissimi fedeli. È una nuova generazione di cattolici che avanza sia pure guardando al passato.
È un fenomeno non organizzato in strutture definite, ma piuttosto spontaneo e informale. Un fenomeno che però si sta diffondendo in modo crescente. Non tanto per il numero di persone che vi aderisce, quanto per diffusione sul territorio. Sono infatti sempre più numerosi i preti che reintroducono gesti, culti, pratiche, suppellettili, vesti e ornamenti sacri preconciliari, che il Vaticano II aveva raccomandato di eliminare. Così come sono sempre più numerose le persone che – pur non frequentando le messe tridentine – si comportano in chiesa secondo norme liturgiche ormai in disuso o addirittura abolite.
La Fraternità Sacerdotale di San Pietro in Ticino
A promuovere e diffondere in Ticino la liturgia preconciliare è soprattutto la Fraternità Sacerdotale di San Pietro (FSSP), una “società clericale di vita apostolica” di diritto pontificio, istituita da Giovanni Paolo II che volle riconoscere le «giuste aspirazioni» dei fedeli legati al rito antico. In Svizzera è presente in una dozzina di località nelle tre diocesi di Lugano, Sion e Friburgo-Losanna-Ginevra. Vi aderiscono fedeli di ogni età che vogliono assistere a messe e sacramenti celebrati secondo il rito romano antico (il cosiddetto vetus ordo), conosciuto anche come rito tridentino, perché utilizza il messale romano promulgato dopo il Concilio di Trento.
Papa Francesco, a causa dell’uso distorto che ne era stato fatto, aveva stabilito nel 2021 nuove e più stringenti regole per le messe celebrate con questo messale. Affidava al vescovo la responsabilità di autorizzare l’uso del messale; vietava l’erezione di nuove parrocchie personali per questo scopo; indicava di scegliere chiese non parrocchiali per queste celebrazioni; designava un sacerdote per la cura pastorale di questi gruppi e il divieto di costituirne di nuovi.
In Ticino, la Fraternità di San Pietro, dal settembre 2023 assicura un ministero regolare nell’oratorio della Madonna di Fatima a Gordemo, sopra Gordola (messe tutte le domeniche e tutte le feste infrasettimanali, non necessariamente di precetto, sacramenti e catechesi comprese) diventando di fatto una “parrocchia” tra le parrocchie, con tanto di autorizzazione della diocesi di Lugano.
Già attiva dal 2016, non è però l’unica realtà a proporre queste vecchie messe. Già da diversi anni, altri preti tradizionalisti, celebrano almeno due volte al mese nella chiesa di Santa Marta a Carona (alla quale spesso partecipano anche seminaristi residenti a Lugano). Così come almeno una volta al mese, la messa preconciliare viene celebrata nella chiesa di San Carlo, in via Nassa a Lugano. Altri riti tridentini sono avvenuti, senza autorizzazione del vescovo e spesso senza che la diocesi ne sia a conoscenza, in altre località del Sottoceneri, come per esempio a Canobbio o nella chiesetta della Madonna della Salute a Massagno.
Insomma, il movimento tradizionalista va ben oltre la realtà organizzata e riconosciuta della Fraternità di San Pietro, e raccoglie intorno a sé un certo numero di preti piuttosto giovani, che non mancano di proporre celebrazioni vetus ordo anche in occasione di incontri formativi con bambini e ragazzi, imponendo loro di inginocchiarsi e ricevere la Comunione sulla lingua, o estemporanee ricorrenze e riti locali (c’è chi a Mendrisio è rimasto impressionato da alcuni funerali celebrati con lugubri e tenebrosi paramenti neri, anziché con gli ordinari paramenti violacei).
Oltre il folclore, il rischio di dividere
Ora, non è di per sé molto importante se qualche nostalgico celebra in privato messe preconciliari rimpiangendo ciò che magari non ha mai vissuto perché nato molti anni dopo il Concilio. Sono gusti personali, così come può essere semplicemente liquidato come folclore religioso il riproporre riti, vesti, inni e paramenti, tendaggi e drappi decorativi nelle chiese, scomparsi da oltre mezzo secolo.
Ciò che invece preoccupa è quando tutto ciò viene imposto da un singolo prete, senza informare il vescovo, a un’intera comunità parrocchiale, creando sorpresa, sconcerto, divisione, abbandono e dispersione. Una cosa è infatti offrire una messa in una località precisa della diocesi dove alcune persone possono usufruire di un rito secondo il vecchio canone liturgico. Altra cosa è imporre queste forme a un’intera comunità locale, provocando un vero e proprio esodo di fedeli che dalle loro parrocchie di origine si vedono costretti a migrare in altre parrocchie per prendere parte a messe normali, dove si partecipa pienamente, e il prete non è l’unico protagonista che impone formule incomprensibili all’assemblea dei fedeli.
È una visione di Chiesa che preoccupa perché rompe la comunione e incrina l’unità della Chiesa stessa, in nome di una tradizione che è interpretata nel senso deteriore del termine. Viganò e Minutella insegnano.
Per dirla con Gustav Mahler, «fedeltà alla tradizione è custodia del fuoco, non adorazione delle ceneri». Di fronte a questi rigurgiti del movimento tradizionalista sembra si sia arrivati invece ad adorare ciò che è morto, piuttosto che tener vivo ciò che è risorto.
Luigi Maffezzoli