Dal Baltico al Mar Nero (il Mulino 2024) di Beda Romano è un viaggio affascinante alla scoperta della cosiddetta altra Europa, quella “dell’Est”. L’autore ha ragione quando argomenta che da una prospettiva occidentale si ritiene che i paesi entrati nell’UE nel 2004 siano ancora estranei. Forse perché hanno vissuto secoli di ombra negli imperi – chi asburgico, chi ottomano, chi russo-sovietico. A portare l’attenzione su questo fu Milan Kundera nel 1983 con un articolo su Le Débat (“Un Occident kidnappé ou la tragédie de l’Europe centrale”). Il volume contempla una tappa in tutte le capitali. Si inizia dalla Slovenia, sulle strade disegnate da Napoleone Bonaparte. La Slovenia è caratterizzata da un’eco austriaco – fu una provincia dell’impero asburgico per cinque secoli. L’autore si spinge a dire che l’aria di Lubiana è come quella di Praga o Vienna, impregnata di Belle époque e giuseppinismo.
È vero che i palazzi ricordano quelli di Innsbruck, ma il carico di storia della capitale slovena non è paragonabile a quello della capitale austriaca o ceca. Tuttavia, Lubiana conserva uno stile italiano che si mischia con il rococò bavarese. Nel 1918 la Slovenia faceva parte del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Re Alessandro I, poi re del Regno di Jugoslavia, abolì il carattere federale del paese. Che poi sopportò l’occupazione nazista e poi fu governata da Tito Broz fino al 1980. Beda Romano ha visitato anche Bled, dove il mestiere di vogatore fu regolamentato da Maria Teresa d’Austria nel 1740. Tuttora la professione è protetta. Qui il medico svizzero Arnold Rikli propose ai facoltosi turisti varie terapie naturali e basate su bagni e passeggiate.
Qualche parola anche sulla Trieste di Stendhal, Rainer Maria Rilke, Umberto Saba, Italo Svevo e James Joyce. A Trieste il regime fascista aveva proibito l’uso della lingua slovena per annacquare il multiculturalismo della città. Anche i nomi sulle lapidi dei cimiteri furono italianizzati. Inevitabile non parlare dello scrittore Boris Pahor, di nazionalità italiana, ma di lingua slovena, che raccontò come il paese abbia sofferto le deportazioni nazifasciste. Ci si sposta nel paese del fratello, la Croazia, dove l’alta città di Zagabria è un mosaico di stradine che riporta al Medioevo. La Croazia è un Paese di frontiera tra l’Europa occidentale ed orientale, tra la Chiesa cattolica e quella ortodossa, tra cultura cristiana e musulmana. Tutto sommato, scrive Beda Romano, non ha mai vissuto la sudditanza di Lubiana che dipendeva da Vienna. C’è stata una Croazia ottomana, veneziana e asburgica.
Il paese soffre ancora nel ricordare gli ustascia di Ante Pavelić – antisemita, antiserbo e antiturco responsabile del massacro 32mila ebrei e 40mila zingari. Romano si concentra sulle antiche città italiane di Pola, Fiume, Spalato e Ragusa, di chiaro imprinting veneziano. Terzo capitolo: la Lettonia. Si inizia dalla catena umana del 23 agosto 1989 – il giorno del cinquantesimo anniversario del patto Molotov-von Ribbentrop. La Lettonia è il paese di mezzo dei Baltici ed ha forte influenza tedesca. Nel 1282, Riga fu parte della Lega anseatica ed è rimasta un emporio commerciale e centro industriale. Beda Romano narra dell’architettura Art nouveau di Michail Osipovič Ėjzenštejn. Terza metropoli della Russia zarista dopo Mosca e San Pietroburgo, è anche famosa per aver dato i natali al filosofo Isaiah Berlin, uno dei maggiori esponenti del liberalismo del XX secolo.
Da Vilnius (la “Gerusalemme del Nord”) si parte dalla torre di Gediminas, che dà sui campanili barocchi. La Lituania ha sempre avuto legami storici con la Polonia. Dal 1569 al 1772 Vilnius, Varsavia e Kiev erano nello stesso impero multinazionale: la Confederazione polacco-lituana. Adam Mickiewicz, il più grande poeta polacco, aveva studiato e vissuto a Vilnius, che nell’Ottocento fu assorbita nell’impero zarista. Durante la Grande Guerra la Germania occupò la regione. Gli ebrei resero le terre fertili, sebbene la povertà trasudasse da ogni dove. A Vilnius nacque anche un grande scrittore che poi avrebbe adottato il nome di Roman Gary, naturalizzato francese e che si rifugiò poi a Londra. Diplomatico in Bulgaria, Svizzera, Gran Bretagna e Stati Uniti, scrisse quaranta libri e si suicidò nel 1980. Delle tre repubbliche, la Lituania è l’economia portante.
L’Estonia vanta radici tedesche ed ospita la più antica delle capitali baltiche. Il paese è tecnologicamente avanzato ed è leader in Europa nell’e-government. Qui la carta d’identità è un documento per l’espatrio, una patente, una carta di debito, una tessera sanitaria, un abbonamento ferroviario. Da anni il paese sta insistendo su questo e fa anche uso dell’AI per assistere magistrati nelle aule di giustizia. A differenza delle altre due repubbliche sorelle, l’Estonia ha vissuto una transizione economica di mercato senza scossoni. Qui Pietro il Grande acquistò la sua abitazione nel 1734. Ma l’influenza nel paese è di matrice tedesca. I “Deutsch-Balten” arrivarono nella regione nel Medioevo per convertire i locali alla cristianità. Il sesto capitolo è dedicato alla Polonia, che nei secoli fu invasa spietatamente. Da qui che si comprende l’angoscia odierna per il futuro del paese.
La posizione geografica era ed è tuttora ambigua tra due potenze ostili che l’hanno invasa più volte. Il paese ha dato i natali a Niccolò Copernico che aveva studiato a Cracovia e poi a Bologna, dunque a Ferrara. Rilevanti sono gli Jagelloni, che avevano origini tedesche, tartare e armene. La Polonia ha ospitato per anni la comunità ebraica più importante dell’Occidente. Dal Seicento si assistette all’ineluttabile declino della Repubblica fino alle spartizioni. Alla Prussia andò l’Ovest, all’impero asburgico il Sud e alla Russia l’Est. Per tutto l’Ottocento la Polonia scomparve. Il paese diede i natali a personalità come Rosa Luxemburg, Isaac Singer, Bruno Schulz, Ryszard Kapuściński, Fryderyk Chopin, Joseph Conrad, Marie Curie. Il Trattato di Versailles sancì le nuove frontiere del paese e gli diede accesso al Baltico nonché alla Slesia tedesca.
Nel 1926 Józef Piłsudski attuò un colpo di Stato che durò fino al 1935. La Polonia, dunque, firmò accordi di un’aggressione sia con la Germania che con l’URSS. Ma la Seconda Repubblica fu un’illusione. Ridisegnata ancora dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale il paese si era spostato più verso Ovest e recuperò molte terre. Beda Romano parla della bellissima Breslavia – tedesca per due secoli. Nel 1977 agli scioperi a Danzica, Stettino e Gdynia furono repressi. Insieme con Solidarność di Lech Wałęsa, Papa Giovanni Paolo II aiutò lo smantellamento del comunismo. Capitolo Ungheria, il paese della lingua ignota. Budapest è scandita dal maestoso Danubio che è il simbolo della città. La capitale ungherese è tappezzata di scritte che ricordano dove hanno abitato le celebrità. Alla vigilia della Grande Guerra, scrive Beda Romano, l’Ungheria pubblicava più libri della Francia. Il paese ha radici millenarie.
Per cinque secoli l’Ungheria fu una potenza cruciale dell’Europa centrale anche per il suo approccio alla religione cattolica. Pure l’Ungheria e finì sotto la dominazione degli Asburgo. Il 1848 fu il teatro di rivolte nazionaliste. Lajos Kossuth proclamò l’indipendenza del paese, ma Francesco Giuseppe riuscì a domare la rivolta. Nel 1867 modificò controvoglia l’assetto giuridico dell’impero e creò una doppia monarchia per cui la Ungheria si sarebbe autogovernata godendo di maggiore autonomia. Il governo ungherese decise di costruire un nuovo Parlamento. Sulla somiglianza voluta rispetto al palazzo di Westminster a Londra, oggi l’edificio ospita l’assemblea nazionale, il capo del governo e il Presidente della Repubblica. Ha una cupola di 96 metri, esattamente quanto la basilica di Santo Stefano per equiparare il potere temporale con quello religioso. Nel 1818 a Buda nacque Ignác Semmelweis, pioniere dell’igiene in medicina.
Considerato dai colleghi malato, nel 1865 fu internato in un manicomio. Fu anche l’oggetto di tesi di laurea di Louis-Ferdinand Céline, che ne fece un esempio della lotta contro il conformismo. Qualche parola anche su Sándor Márai, nato a Kassa nel 1900, narratore della Belle époque decadente ungherese. Il Trattato di Trianon decise lo smantellamento della grande Ungheria. La Slovacchia fu unita alla Boemia diventando Cecoslovacchia, la Transilvania fu incorporata nella Romania e la Croazia e la Slavonia finirono per formare la Jugoslavia. Infatti, il paese perse due terzi del territorio e un terzo della popolazione. Franz Listz nacque a Raiding, oggi Austria, mentre János Kádár a Fiume e Béla Kun a Cehu Silvaniei, oggi Romania. La fine della Grande Ungheria stuzzica lo spirito nazionalista di molti ancora oggi sull’eredità di Miklós Horthy, che impose una politica autoritaria e nazionalista.
Theodore Herzl, fondatore del sionismo, fu uno dei tre grandi ebrei famosi ungheresi assieme con Robert Capa e Harry Houdini. I pogrom si verificarono sotto il Partito delle Croci Frecciate di Ferenc Szálasi. In questo contesto furono famosi Giorgio Perlasca e Raul Wallenberg. Dopo la guerra Budapest fu protagonista dell’insurrezione del 1956 guidata da Imre Nagy che formò un governo pluripartitico e decise l’uscita della Ungheria dal patto di Varsavia. Poco prima del crollo del muro di Berlino, 200mila ungheresi scapparono in Austria. Si passa poi alla Repubblica Ceca, denominata da Beda Romano “l’altra Germania”. Si parte dalla piazza più famosa di Praga, che ospita la statua di Jan Hus, inaugurata nel 1915. Hus studiò all’università Carolina dove fu professore di filosofia. Predicava in latino, non in ceco – all’epoca la Boemia era una regione del Sacro Romano Impero.
Quando perse l’appoggio di Venceslao IV per via delle sue critiche alla vendita delle indulgenze fu condannato al rogo dal Concilio di Costanza nel 1415. Le sue ossa furono gettate nel Reno perché non diventassero oggetto di culto. Hus era più un politico che un religioso. In Repubblica Ceca l’ateismo comunista ha lasciato più segni rispetto ad altri paesi. La Guerra dei Trent’anni scoppiò nel 1618 a Praga, che nell’impero asburgico fu sempre una città di provincia. «Praga rivaleggia con Vienna per i suoi palazzi, con Dresda per i suoi giardini, con Cracovia per il suo ghetto», ha scritto Paul Morand nel 1932. Debitore dell’impero fu Franz Kafka, che optò di scrivere in lingua tedesca. Il suo diario rimane incompleto e sconclusionato secondo Beda Romano. Ma offre una sua visione sull’esistenza, contraddittoria e misteriosa, angosciante e ironica.
Famoso per Bata e Škoda, i vetri e la porcellana, il paese fu oggetto degli accordi di Monaco. Qualche parola anche su Reinhard Heydrich, appassionato di scherma e violino che partecipò alla notte dei lunghi coltelli. Poi protettore di Boemia Moravia fu target dell’Operazione Anthropoid. In Repubblica Ceca Albert Göring, fratello del più noto Hermann Göring, incitava gli operai della Škoda ai sabotaggi contro i nazisti. Nel 1948 ci fu un colpo di Stato organizzato con l’aiuto di Mosca. Vent’anni dopo fu la primavera di Praga, quando Alexander Dubček introdusse alcune riforme in senso liberale propugnando il tentativo di perseguire il socialismo dal volto umano. La resistenza anticomunista cecoslovacca fu minuta. Charta 77 radunava pochi intellettuali uniti nel dissenso – Václav Havel, Jan Patočka e Zdeněk Mlynář. Dalla rivoluzione di velluto nacquero due paesi.
Oggi la Repubblica Ceca cresce e ha riscoperto le sue radici industriali e germaniche, il cui influsso nel paese permane, nonostante la decisione di Edvard Beneš di espellere circa tre milioni di tedeschi dopo la guerra. Si passa dunque alla Slovacchia. Un tempo Bratislava era collegata a Vienna con il tram. Il Danubio è la frontiera naturale del paese che lo separa dall’Austria e dall’Ungheria. Era parte della grande Moravia nel 833, ma poi il Regno di Ungheria prese il sopravvento nel 997. Da quel momento la Slovacchia fu per nove secoli ungherese. E Bratislava fu la piazzaforte degli ungheresi per resistere e combattere Costantinopoli, scrive Beda Romano. Risale proprio a quel periodo la costruzione dei tanti castelli e fortezze in tutto il paese. La vittoria della coalizione cristiana a Lepanto nel 1571 fu una battuta d’arresto per i turchi.
Accenni alla battaglia di Austerlitz in cui l’armata napoleonica sconfisse nel 1805 la coalizione di Inghilterra e Russia, impero asburgico e Svezia. La pace tra i contendenti fu sancita proprio a Bratislava nel Palazzo Primaziale, in cui si decretò la fine dell’impero Sacro Romano Impero. In Moravia arrivò anche Giacomo Casanova che nel castello di Duchcov, non lontano da Brno, scrisse le sue memorie che lo resero famoso. La regione Moravia è celebre anche per avere visto in prigione Silvio Pellico allo Spielberg. Durante la Grande Guerra morirono 70mila soldati slovacchi. Il paese diede i natali a Milan Rastislav Štefánik, fautore della Cecoslovacchia. Ma anche alla famiglia di Andy Warhol. Beda Romano consacra qualche pagina ai paesaggi slovacchi che stimolarono l’immaginazione di Bram Stoker e Jules Verne. Con gli accordi di Monaco il territorio divenne indipendente sotto la dittatura di Jozef Tiso.
Nel 1946 le elezioni furono vinte dai comunisti in Cechia, mentre in Slovacchia ad avere la meglio furono i democratici. Giunti al potere a Praga i comunisti abolirono il carattere federale del paese ed imposero la centralizzazione. Oggi gli slovacchi hanno sentimenti contrastanti nei confronti dei russi che li hanno liberati dei nazisti al prezzo di una nuova dittatura. La Slovacchia è uno dei paesi europei più refrattari ad accogliere i migranti. La paura dello straniero è dovuta al fatto che gli slovacchi non vorrebbero condividere la prosperità economica raggiunta con l’ingresso nell’UE nel 2004, grazie tra l’altro all’arrivo di molti stabilimenti automobilistici che ne fanno la “Detroit d’Europa”. Seguendo i Carpazi si arriva in Romania. Bucarest è soprannominata la Parigi dei Balcani. I boulevard richiamano la ville Lumière. Il castello reale che oggi ospita il museo nazionale in Calea Victoriei fu progettato da Paul Gottereau.
Ovidio, caduto in disgrazia fu mandato in esilio a Costanza. Ma personaggi della Romania figurano anche Mattia Corvino e Vlad III, l’Impalatore, considerato un eroe per aver protetto i romeni dai turchi. Nel 1877 la Romania divenne indipendente. Il paese poi dopo la Prima Guerra Mondiale avrebbe approfittato della disintegrazione dell’impero asburgico e della rivoluzione bolscevica per occupare la Transilvania Bessarabia e Bucovina così da far nascere la Grande Romania sancita dal Trianon. Tra il 1930 e il 1940 vi succedettero 25 governi. Il regime di Ion Antonescu fu caratterizzato dall’antisemitismo, come si legge nel diario di Mihail Sebastian. Mentre Eugène Ionesco faceva carte false per scappare in Europa occidentale altri illustri scrittori come Mircea Eliade, Nae Ionescu, Camil Petrescu ed Emil Cioran omaggiavano il Conducător. Dopo la guerra, il paese cadde sotto l’influenza sovietica e perse la Bessarabia, poi Moldavia.
Beda Romano discute molto di Nicolae Ceaușescu, dittatore dal 1965 al 1989. La sua impronta negativa è indiscutibile nella Romania di oggi. Cresciuto in una famiglia poverissima, nel 1944 fu segretario generale della gioventù comunista. Mantenne relazioni con Israele e non mandò le sue truppe e sedare la primavera di Praga. La sua popolarità calò negli anni Ottanta a causa delle scelte economiche disastrose e il carattere poliziesco del regime. Citato nel capitolo anche lo scultore Constantin Brâncuși, che studiò con Auguste Rodin. Ma poi anche diverse pagine sulla Transilvania. Ermeticamente chiusa, rigidamente elitista, ospitava la gran parte della casta magiara che tuttavia non è mai riuscita a conquistare il territorio. La Transilvania assomiglia un po’ alla Baviera con i palazzi barocchi. La capitale Sibiu è antica e la cultura è germanica. I primi tedeschi arrivarono in Transilvania intorno al 1150, attirati da una terra ricca e generosa.
La ragione è da sempre al centro delle mire dei turchi, ungheresi, austriaci e russi. Hermannstadt è un incrocio di imperi defunti secondo lo storico Lucien Romier. Negli anni Settanta e Ottanta il regime permise a centinaia di tedeschi di lasciare il paese in cambio di un tributo versato dal governo federale tedesco. L’ultimo paese del libro di Beda Romano è quello sulle rive del Mar Nero, dove sfocia il Danubio. Il Congresso di Berlino organizzato da Otto von Bismarck nel 1878 garantì alla Bulgaria l’indipendenza, mentre i russi – che puntavano all’annessione – non ottennero nulla. Il paese tentò più volte di allargarsi recuperando la Macedonia, ma senza successo. Nella Grande Guerra la Bulgaria si alleò con la Germania e ne uscì sconfitta. Il regime fascista che si stabilì si alleò con il Terzo Reich.
Tzvetan Todorov, ha fatto notare che gli ebrei bulgari non parteciparono attivamente al movimento comunista. Dopo la guerra, i comunisti installarono un regime monopartitico. Nel 1953 Vălko Červenkov fu sostituito da Todor Živkov. Il paese si specializzò nella produzione di navi e carrelli elevatori, ma rimase poverissimo. Živkov Si dimise alla caduta del Muro, lasciando il campo a un regime democratico, ma instabile. Oggi è uno dei paesi più poveri dell’UE. Beda Romano conclude il volume con un colloquio con Ivan Krastev. Che rimprovera alla democrazia liberale di non avere capito che a indebolire il sistema democratico non è solo la diseguaglianza sociale, bensì la crisi migratoria. I confini aperti sono visti non più come segno di libertà, ma come una minaccia. Allo stesso modo in cui il cosmopolitismo tedesco è una reazione al nazionalismo nazista, il nazionalismo dell’Europa centrorientale è una reazione al nazionalismo comunista.
Amedeo Gasparini
www.amedeogasparini.com
Dal Baltico al Mar Nero (il Mulino 2024) di Beda Romano è un viaggio affascinante alla scoperta della cosiddetta altra Europa, quella “dell’Est”. L’autore ha ragione quando argomenta che da una prospettiva occidentale si ritiene che i paesi entrati nell’UE nel 2004 siano ancora estranei. Forse perché hanno vissuto secoli di ombra negli imperi – chi asburgico, chi ottomano, chi russo-sovietico. A portare l’attenzione su questo fu Milan Kundera nel 1983 con un articolo su Le Débat (“Un Occident kidnappé ou la tragédie de l’Europe centrale”). Il volume contempla una tappa in tutte le capitali. Si inizia dalla Slovenia, sulle strade disegnate da Napoleone Bonaparte. La Slovenia è caratterizzata da un’eco austriaco – fu una provincia dell’impero asburgico per cinque secoli. L’autore si spinge a dire che l’aria di Lubiana è come quella di Praga o Vienna, impregnata di Belle époque e giuseppinismo.
È vero che i palazzi ricordano quelli di Innsbruck, ma il carico di storia della capitale slovena non è paragonabile a quello della capitale austriaca o ceca. Tuttavia, Lubiana conserva uno stile italiano che si mischia con il rococò bavarese. Nel 1918 la Slovenia faceva parte del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Re Alessandro I, poi re del Regno di Jugoslavia, abolì il carattere federale del paese. Che poi sopportò l’occupazione nazista e poi fu governata da Tito Broz fino al 1980. Beda Romano ha visitato anche Bled, dove il mestiere di vogatore fu regolamentato da Maria Teresa d’Austria nel 1740. Tuttora la professione è protetta. Qui il medico svizzero Arnold Rikli propose ai facoltosi turisti varie terapie naturali e basate su bagni e passeggiate.
Qualche parola anche sulla Trieste di Stendhal, Rainer Maria Rilke, Umberto Saba, Italo Svevo e James Joyce. A Trieste il regime fascista aveva proibito l’uso della lingua slovena per annacquare il multiculturalismo della città. Anche i nomi sulle lapidi dei cimiteri furono italianizzati. Inevitabile non parlare dello scrittore Boris Pahor, di nazionalità italiana, ma di lingua slovena, che raccontò come il paese abbia sofferto le deportazioni nazifasciste. Ci si sposta nel paese del fratello, la Croazia, dove l’alta città di Zagabria è un mosaico di stradine che riporta al Medioevo. La Croazia è un Paese di frontiera tra l’Europa occidentale ed orientale, tra la Chiesa cattolica e quella ortodossa, tra cultura cristiana e musulmana. Tutto sommato, scrive Beda Romano, non ha mai vissuto la sudditanza di Lubiana che dipendeva da Vienna. C’è stata una Croazia ottomana, veneziana e asburgica.
Il paese soffre ancora nel ricordare gli ustascia di Ante Pavelić – antisemita, antiserbo e antiturco responsabile del massacro 32mila ebrei e 40mila zingari. Romano si concentra sulle antiche città italiane di Pola, Fiume, Spalato e Ragusa, di chiaro imprinting veneziano. Terzo capitolo: la Lettonia. Si inizia dalla catena umana del 23 agosto 1989 – il giorno del cinquantesimo anniversario del patto Molotov-von Ribbentrop. La Lettonia è il paese di mezzo dei Baltici ed ha forte influenza tedesca. Nel 1282, Riga fu parte della Lega anseatica ed è rimasta un emporio commerciale e centro industriale. Beda Romano narra dell’architettura Art nouveau di Michail Osipovič Ėjzenštejn. Terza metropoli della Russia zarista dopo Mosca e San Pietroburgo, è anche famosa per aver dato i natali al filosofo Isaiah Berlin, uno dei maggiori esponenti del liberalismo del XX secolo.
Da Vilnius (la “Gerusalemme del Nord”) si parte dalla torre di Gediminas, che dà sui campanili barocchi. La Lituania ha sempre avuto legami storici con la Polonia. Dal 1569 al 1772 Vilnius, Varsavia e Kiev erano nello stesso impero multinazionale: la Confederazione polacco-lituana. Adam Mickiewicz, il più grande poeta polacco, aveva studiato e vissuto a Vilnius, che nell’Ottocento fu assorbita nell’impero zarista. Durante la Grande Guerra la Germania occupò la regione. Gli ebrei resero le terre fertili, sebbene la povertà trasudasse da ogni dove. A Vilnius nacque anche un grande scrittore che poi avrebbe adottato il nome di Roman Gary, naturalizzato francese e che si rifugiò poi a Londra. Diplomatico in Bulgaria, Svizzera, Gran Bretagna e Stati Uniti, scrisse quaranta libri e si suicidò nel 1980. Delle tre repubbliche, la Lituania è l’economia portante.
L’Estonia vanta radici tedesche ed ospita la più antica delle capitali baltiche. Il paese è tecnologicamente avanzato ed è leader in Europa nell’e-government. Qui la carta d’identità è un documento per l’espatrio, una patente, una carta di debito, una tessera sanitaria, un abbonamento ferroviario. Da anni il paese sta insistendo su questo e fa anche uso dell’AI per assistere magistrati nelle aule di giustizia. A differenza delle altre due repubbliche sorelle, l’Estonia ha vissuto una transizione economica di mercato senza scossoni. Qui Pietro il Grande acquistò la sua abitazione nel 1734. Ma l’influenza nel paese è di matrice tedesca. I “Deutsch-Balten” arrivarono nella regione nel Medioevo per convertire i locali alla cristianità. Il sesto capitolo è dedicato alla Polonia, che nei secoli fu invasa spietatamente. Da qui che si comprende l’angoscia odierna per il futuro del paese.
La posizione geografica era ed è tuttora ambigua tra due potenze ostili che l’hanno invasa più volte. Il paese ha dato i natali a Niccolò Copernico che aveva studiato a Cracovia e poi a Bologna, dunque a Ferrara. Rilevanti sono gli Jagelloni, che avevano origini tedesche, tartare e armene. La Polonia ha ospitato per anni la comunità ebraica più importante dell’Occidente. Dal Seicento si assistette all’ineluttabile declino della Repubblica fino alle spartizioni. Alla Prussia andò l’Ovest, all’impero asburgico il Sud e alla Russia l’Est. Per tutto l’Ottocento la Polonia scomparve. Il paese diede i natali a personalità come Rosa Luxemburg, Isaac Singer, Bruno Schulz, Ryszard Kapuściński, Fryderyk Chopin, Joseph Conrad, Marie Curie. Il Trattato di Versailles sancì le nuove frontiere del paese e gli diede accesso al Baltico nonché alla Slesia tedesca.
Nel 1926 Józef Piłsudski attuò un colpo di Stato che durò fino al 1935. La Polonia, dunque, firmò accordi di un’aggressione sia con la Germania che con l’URSS. Ma la Seconda Repubblica fu un’illusione. Ridisegnata ancora dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale il paese si era spostato più verso Ovest e recuperò molte terre. Beda Romano parla della bellissima Breslavia – tedesca per due secoli. Nel 1977 agli scioperi a Danzica, Stettino e Gdynia furono repressi. Insieme con Solidarność di Lech Wałęsa, Papa Giovanni Paolo II aiutò lo smantellamento del comunismo. Capitolo Ungheria, il paese della lingua ignota. Budapest è scandita dal maestoso Danubio che è il simbolo della città. La capitale ungherese è tappezzata di scritte che ricordano dove hanno abitato le celebrità. Alla vigilia della Grande Guerra, scrive Beda Romano, l’Ungheria pubblicava più libri della Francia. Il paese ha radici millenarie.
Per cinque secoli l’Ungheria fu una potenza cruciale dell’Europa centrale anche per il suo approccio alla religione cattolica. Pure l’Ungheria e finì sotto la dominazione degli Asburgo. Il 1848 fu il teatro di rivolte nazionaliste. Lajos Kossuth proclamò l’indipendenza del paese, ma Francesco Giuseppe riuscì a domare la rivolta. Nel 1867 modificò controvoglia l’assetto giuridico dell’impero e creò una doppia monarchia per cui la Ungheria si sarebbe autogovernata godendo di maggiore autonomia. Il governo ungherese decise di costruire un nuovo Parlamento. Sulla somiglianza voluta rispetto al palazzo di Westminster a Londra, oggi l’edificio ospita l’assemblea nazionale, il capo del governo e il Presidente della Repubblica. Ha una cupola di 96 metri, esattamente quanto la basilica di Santo Stefano per equiparare il potere temporale con quello religioso. Nel 1818 a Buda nacque Ignác Semmelweis, pioniere dell’igiene in medicina.
Considerato dai colleghi malato, nel 1865 fu internato in un manicomio. Fu anche l’oggetto di tesi di laurea di Louis-Ferdinand Céline, che ne fece un esempio della lotta contro il conformismo. Qualche parola anche su Sándor Márai, nato a Kassa nel 1900, narratore della Belle époque decadente ungherese. Il Trattato di Trianon decise lo smantellamento della grande Ungheria. La Slovacchia fu unita alla Boemia diventando Cecoslovacchia, la Transilvania fu incorporata nella Romania e la Croazia e la Slavonia finirono per formare la Jugoslavia. Infatti, il paese perse due terzi del territorio e un terzo della popolazione. Franz Listz nacque a Raiding, oggi Austria, mentre János Kádár a Fiume e Béla Kun a Cehu Silvaniei, oggi Romania. La fine della Grande Ungheria stuzzica lo spirito nazionalista di molti ancora oggi sull’eredità di Miklós Horthy, che impose una politica autoritaria e nazionalista.
Theodore Herzl, fondatore del sionismo, fu uno dei tre grandi ebrei famosi ungheresi assieme con Robert Capa e Harry Houdini. I pogrom si verificarono sotto il Partito delle Croci Frecciate di Ferenc Szálasi. In questo contesto furono famosi Giorgio Perlasca e Raul Wallenberg. Dopo la guerra Budapest fu protagonista dell’insurrezione del 1956 guidata da Imre Nagy che formò un governo pluripartitico e decise l’uscita della Ungheria dal patto di Varsavia. Poco prima del crollo del muro di Berlino, 200mila ungheresi scapparono in Austria. Si passa poi alla Repubblica Ceca, denominata da Beda Romano “l’altra Germania”. Si parte dalla piazza più famosa di Praga, che ospita la statua di Jan Hus, inaugurata nel 1915. Hus studiò all’università Carolina dove fu professore di filosofia. Predicava in latino, non in ceco – all’epoca la Boemia era una regione del Sacro Romano Impero.
Quando perse l’appoggio di Venceslao IV per via delle sue critiche alla vendita delle indulgenze fu condannato al rogo dal Concilio di Costanza nel 1415. Le sue ossa furono gettate nel Reno perché non diventassero oggetto di culto. Hus era più un politico che un religioso. In Repubblica Ceca l’ateismo comunista ha lasciato più segni rispetto ad altri paesi. La Guerra dei Trent’anni scoppiò nel 1618 a Praga, che nell’impero asburgico fu sempre una città di provincia. «Praga rivaleggia con Vienna per i suoi palazzi, con Dresda per i suoi giardini, con Cracovia per il suo ghetto», ha scritto Paul Morand nel 1932. Debitore dell’impero fu Franz Kafka, che optò di scrivere in lingua tedesca. Il suo diario rimane incompleto e sconclusionato secondo Beda Romano. Ma offre una sua visione sull’esistenza, contraddittoria e misteriosa, angosciante e ironica.
Famoso per Bata e Škoda, i vetri e la porcellana, il paese fu oggetto degli accordi di Monaco. Qualche parola anche su Reinhard Heydrich, appassionato di scherma e violino che partecipò alla notte dei lunghi coltelli. Poi protettore di Boemia Moravia fu target dell’Operazione Anthropoid. In Repubblica Ceca Albert Göring, fratello del più noto Hermann Göring, incitava gli operai della Škoda ai sabotaggi contro i nazisti. Nel 1948 ci fu un colpo di Stato organizzato con l’aiuto di Mosca. Vent’anni dopo fu la primavera di Praga, quando Alexander Dubček introdusse alcune riforme in senso liberale propugnando il tentativo di perseguire il socialismo dal volto umano. La resistenza anticomunista cecoslovacca fu minuta. Charta 77 radunava pochi intellettuali uniti nel dissenso – Václav Havel, Jan Patočka e Zdeněk Mlynář. Dalla rivoluzione di velluto nacquero due paesi.
Oggi la Repubblica Ceca cresce e ha riscoperto le sue radici industriali e germaniche, il cui influsso nel paese permane, nonostante la decisione di Edvard Beneš di espellere circa tre milioni di tedeschi dopo la guerra. Si passa dunque alla Slovacchia. Un tempo Bratislava era collegata a Vienna con il tram. Il Danubio è la frontiera naturale del paese che lo separa dall’Austria e dall’Ungheria. Era parte della grande Moravia nel 833, ma poi il Regno di Ungheria prese il sopravvento nel 997. Da quel momento la Slovacchia fu per nove secoli ungherese. E Bratislava fu la piazzaforte degli ungheresi per resistere e combattere Costantinopoli, scrive Beda Romano. Risale proprio a quel periodo la costruzione dei tanti castelli e fortezze in tutto il paese. La vittoria della coalizione cristiana a Lepanto nel 1571 fu una battuta d’arresto per i turchi.
Accenni alla battaglia di Austerlitz in cui l’armata napoleonica sconfisse nel 1805 la coalizione di Inghilterra e Russia, impero asburgico e Svezia. La pace tra i contendenti fu sancita proprio a Bratislava nel Palazzo Primaziale, in cui si decretò la fine dell’impero Sacro Romano Impero. In Moravia arrivò anche Giacomo Casanova che nel castello di Duchcov, non lontano da Brno, scrisse le sue memorie che lo resero famoso. La regione Moravia è celebre anche per avere visto in prigione Silvio Pellico allo Spielberg. Durante la Grande Guerra morirono 70mila soldati slovacchi. Il paese diede i natali a Milan Rastislav Štefánik, fautore della Cecoslovacchia. Ma anche alla famiglia di Andy Warhol. Beda Romano consacra qualche pagina ai paesaggi slovacchi che stimolarono l’immaginazione di Bram Stoker e Jules Verne. Con gli accordi di Monaco il territorio divenne indipendente sotto la dittatura di Jozef Tiso.
Nel 1946 le elezioni furono vinte dai comunisti in Cechia, mentre in Slovacchia ad avere la meglio furono i democratici. Giunti al potere a Praga i comunisti abolirono il carattere federale del paese ed imposero la centralizzazione. Oggi gli slovacchi hanno sentimenti contrastanti nei confronti dei russi che li hanno liberati dei nazisti al prezzo di una nuova dittatura. La Slovacchia è uno dei paesi europei più refrattari ad accogliere i migranti. La paura dello straniero è dovuta al fatto che gli slovacchi non vorrebbero condividere la prosperità economica raggiunta con l’ingresso nell’UE nel 2004, grazie tra l’altro all’arrivo di molti stabilimenti automobilistici che ne fanno la “Detroit d’Europa”. Seguendo i Carpazi si arriva in Romania. Bucarest è soprannominata la Parigi dei Balcani. I boulevard richiamano la ville Lumière. Il castello reale che oggi ospita il museo nazionale in Calea Victoriei fu progettato da Paul Gottereau.
Ovidio, caduto in disgrazia fu mandato in esilio a Costanza. Ma personaggi della Romania figurano anche Mattia Corvino e Vlad III, l’Impalatore, considerato un eroe per aver protetto i romeni dai turchi. Nel 1877 la Romania divenne indipendente. Il paese poi dopo la Prima Guerra Mondiale avrebbe approfittato della disintegrazione dell’impero asburgico e della rivoluzione bolscevica per occupare la Transilvania Bessarabia e Bucovina così da far nascere la Grande Romania sancita dal Trianon. Tra il 1930 e il 1940 vi succedettero 25 governi. Il regime di Ion Antonescu fu caratterizzato dall’antisemitismo, come si legge nel diario di Mihail Sebastian. Mentre Eugène Ionesco faceva carte false per scappare in Europa occidentale altri illustri scrittori come Mircea Eliade, Nae Ionescu, Camil Petrescu ed Emil Cioran omaggiavano il Conducător. Dopo la guerra, il paese cadde sotto l’influenza sovietica e perse la Bessarabia, poi Moldavia.
Beda Romano discute molto di Nicolae Ceaușescu, dittatore dal 1965 al 1989. La sua impronta negativa è indiscutibile nella Romania di oggi. Cresciuto in una famiglia poverissima, nel 1944 fu segretario generale della gioventù comunista. Mantenne relazioni con Israele e non mandò le sue truppe e sedare la primavera di Praga. La sua popolarità calò negli anni Ottanta a causa delle scelte economiche disastrose e il carattere poliziesco del regime. Citato nel capitolo anche lo scultore Constantin Brâncuși, che studiò con Auguste Rodin. Ma poi anche diverse pagine sulla Transilvania. Ermeticamente chiusa, rigidamente elitista, ospitava la gran parte della casta magiara che tuttavia non è mai riuscita a conquistare il territorio. La Transilvania assomiglia un po’ alla Baviera con i palazzi barocchi. La capitale Sibiu è antica e la cultura è germanica. I primi tedeschi arrivarono in Transilvania intorno al 1150, attirati da una terra ricca e generosa.
La ragione è da sempre al centro delle mire dei turchi, ungheresi, austriaci e russi. Hermannstadt è un incrocio di imperi defunti secondo lo storico Lucien Romier. Negli anni Settanta e Ottanta il regime permise a centinaia di tedeschi di lasciare il paese in cambio di un tributo versato dal governo federale tedesco. L’ultimo paese del libro di Beda Romano è quello sulle rive del Mar Nero, dove sfocia il Danubio. Il Congresso di Berlino organizzato da Otto von Bismarck nel 1878 garantì alla Bulgaria l’indipendenza, mentre i russi – che puntavano all’annessione – non ottennero nulla. Il paese tentò più volte di allargarsi recuperando la Macedonia, ma senza successo. Nella Grande Guerra la Bulgaria si alleò con la Germania e ne uscì sconfitta. Il regime fascista che si stabilì si alleò con il Terzo Reich.
Tzvetan Todorov, ha fatto notare che gli ebrei bulgari non parteciparono attivamente al movimento comunista. Dopo la guerra, i comunisti installarono un regime monopartitico. Nel 1953 Vălko Červenkov fu sostituito da Todor Živkov. Il paese si specializzò nella produzione di navi e carrelli elevatori, ma rimase poverissimo. Živkov Si dimise alla caduta del Muro, lasciando il campo a un regime democratico, ma instabile. Oggi è uno dei paesi più poveri dell’UE. Beda Romano conclude il volume con un colloquio con Ivan Krastev. Che rimprovera alla democrazia liberale di non avere capito che a indebolire il sistema democratico non è solo la diseguaglianza sociale, bensì la crisi migratoria. I confini aperti sono visti non più come segno di libertà, ma come una minaccia. Allo stesso modo in cui il cosmopolitismo tedesco è una reazione al nazionalismo nazista, il nazionalismo dell’Europa centrorientale è una reazione al nazionalismo comunista.
Amedeo Gasparini
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