A meno di mezz’ora a piedi dalla stazione ferroviaria di La Hulpe, ai confini tra Vallonia e Fiandre, la Fondazione Folon, nata dal sogno e dal genio di Jean-Michel Folon, è racchiusa in un complesso di mattoni bianchi, come una fattoria. Il museo è multisensoriale nella tradizione dell’artista belga. Nato il 1° marzo 1934 a Bruxelles, Folon mostrò fin da giovane una passione per il disegno che lo portò a intraprendere studi di architettura e design. La svolta artistica avvenne nel 1955, quando, a 21 anni, decise di lasciare Bruxelles per la Francia. A Bougival, ad Ovest di Parigi, trascorse cinque anni lavorando come illustratore per riviste belghe e francesi. La svolta giunse nel 1960, quando inviò alcuni disegni a riviste americane. Il successo fu immediato: Horizon, Esquire e The New Yorker pubblicarono i suoi lavori, seguiti da Fortune, Atlantic Monthly e Time.
Questo riconoscimento oltreoceano gli aprì le porte delle gallerie e delle riviste europee. Le copertine sono riprodotte alla Fondazione Folon, aperta nell’ottobre 2000. Qui il visitatore viene accolto alla reception in una libreria senza titoli. Ecco, che si entra nel cuore del museo, da una enorme porta a forma di libro che conferisce immediatamente un’atmosfera artistica. Ogni dettaglio è stato curato personalmente da Folon, che ha trasformato le quindici sale espositive in un percorso che coinvolge tutti i sensi. Luci soffuse, mobili in legno, giochi di luce ed effetti ottici si fondono con una colonna sonora originale – tra il rilassante e il misterioso – composta dall’amico Michel Colombier. La sceneggiatura include effetti di prospettiva, giochi di specchi e filmati. Ma la collezione della Fondazione Folon, che conta oltre 6.000 opere, offre soprattutto molti acquarelli, tecnica che l’artista padroneggiò a partire dagli anni Settanta.
I lavori di Folon si distinguono per l’uso magistrale del bianco della carta, i sottili sfumati, gli impeccabili colori piatti. Tecniche predilette fino alla fine della sua vita (nell’ottobre 2005), nonostante l’artista continuasse a esplorare anche altre forme espressive. Emerge sempre, in Folon, un elemento di critica sociale mischiato con l’ironia malinconica. Il tema della nascita (due bebè su una rupe), della libertà (la gabbia e le colombe), del controllo (il tribunale, gli occhi), dell’equità (a bilancia). Ma anche della morte (gli impiccati), del viaggio (le valige), la scrittura (le penne), l’autorità (i gendarmi), la guerra (i missili). L’artista più vicino a Folon in questo senso è lo strasburghese Tomi Ungerer, che pure lui ha dedicato molte opere a questi soggetti. Ma la versatilità di Folon emerge con forza anche nella sezione dedicata ai manifesti pubblicitari, di cui si stima abbia creato più di seicento nel corso della carriera.
Questi giocano sulla tematica della provocazione e il tentativo di far meditare l’osservatore mediante forme non convenzionali. Tra cui le frecce, i paradossi di ogni tipo e forma, gli arti umani, le contorsioni corporee, la luna e le radici. Gli anni Ottanta e Novanta videro Folon ampliare ulteriormente il suo repertorio artistico, iniziando a sperimentare con la scultura. Incoraggiato dall’amico Romain Barelier, creò opere fino a sei metri di altezza. Ma Folon si sbizzarrì anche con mosaici, ceramiche e vetrate che testimoniano la continua sperimentazione inquieta dell’artista. Un aspetto meno noto dell’opera di Folon è la sua produzione di “mail art”. La Fondazione conserva ed espone in una sala a sé numerose buste e cartoline illustrate dall’artista, spesso realizzate in collaborazione con amici come Pierre Alechinsky e Milton Glaser. Folon era solito scrivere ai suoi amici mandando loro buste dipinte – si immagini lo spaesamento alle poste!
In Lettres à Giorgio si raccoglie la “mail art” inviata all’amico Giorgio Soavi, direttore artistico di Olivetti. La Fondazione Folon non si limita a preservare l’eredità dell’artista, ma ne promuove i valori. Ecologia e diritti umani sono al centro di numerose iniziative accessibili al pubblico. Folon era attivo nel tentativo di sensibilizzare, tramite la sua arte, attorno a queste tematiche. Al termine della visita ci si può rilassare alla Taverne de l’homme bleu, in onore al personaggio con cappello e impermeabile che è diventato la firma dell’artista. Contemplando le statue l’arte diventa un mezzo per riflettere, sognare e connettersi con l’universo poetico di un artista che ha saputo trasformare la semplicità in profondità. dove, d’altra parte,il museo si trovi in aperta campagna, il luogo “semplice” per eccellenza (che Folon chiamava “giardino dei mille rododendri”), dove d’altra parte si entra in contatto con un artista complesso e poliedrico.
Amedeo Gasparini