Il prossimo 19 settembre Campione d’Italia onorerà don Sandro Vitalini – prete, docente universitario a Friborgo, scrittore nato in questo Comune – intitolandogli la Galleria Civica. In avvicinamento a questo evento, ogni lunedì pubblichiamo un intervento di persone che a vario titolo gli sono state vicine. In quest’ultimo appuntamento è la volta di Nicoletta Beretta Piccoli, amica di famiglia e collaboratrice di don Sandro.
Il Vangelo è un annuncio che non potremo mai dire di aver finito di comprendere. È la notizia di un Dio Padre, di un Dio che soffre con noi, come ha scritto in un suo libro. Un Dio che è Padre e anche Madre: e faceva l’esempio di una mamma che è felice per tutto quanto di bene vede in uno dei suoi figli e che è lacerata per quanto di male constata in un suo altro figlio. «Non ama – ha scritto – uno più dell’altro; il suo amore si colora per così dire in modo diverso e sussiste per entrambi in tutta la sua intensità». I suoi quattro punti cardinali erano le parabole della misericordia: il Buon Pastore, il Figliol Prodigo, il Ricco Epulone e il Buon Samaritano. Erano il repertorio preferito delle sue riflessioni ed esortazioni nel ministero sacerdotale e nell’insegnamento. Accanto a queste si potrebbero collocare alcune insistenze su temi che gli stavano particolarmente a cuore e sui quali si accalorava ogni volta: la mancanza di carità verso i troppi poveri, ignorati, anche tra la nostra gente; gli affaticati e feriti dalla vita; le spese stellari per gli armamenti, le guerre e le catastrofi umanitarie che fanno deflagrare morti, feriti, macerie e rovine di ogni genere; la lentezza nel cammino verso l’unità dei cristiani…
Don Sandro è stato il prete della nostra famiglia. Ricordo che spesso mi diceva: «Non chiamarmi don che è l’abbreviazione di Dominus». Lo conobbi nel lontano 1960; mio marito Giovanni l’aveva incontrato a Friborgo, nel 1959 quand’era studente. Ho ancora una foto della Prima Messa di don Sandro! Io avevo conosciuto Giovanni nel 1959: fu lui a presentarmelo l’anno dopo. Da allora è stato per noi un punto di riferimento, il nostro faro, un grandissimo amico. Ripeteva spesso: «Giovanni è mio fratello gemello!». Una fotografia di Giovanni campeggiava, unica foto di amici oltre a quelle dei genitori, tra i libri nella libreria di Sorengo.
È stata un’amicizia unica, segnante, che ci ha sorretto durante tutto il corso della nostra vita. Rientrato da Friborgo, era stato destinato a Lucino, come direttore spirituale dei giovani seminaristi, molti dei quali poi avrebbe ritrovato a Friborgo. Nella sua semplice cameretta al primo piano l’incontravamo ogni due settimane per la Confessione e anche per la guida spirituale. E fu naturalmente lui a benedire le nostre nozze nella splendida cappella di Lucino. Ci fu poi tutto il periodo lungo di insegnamento a Friborgo e intanto la nostra famiglia cresceva ed ogni volta era lui ad amministrare i battesimi, eccezion fatta per quello di Sara che fu fatto dallo zio Vittorino Isotta, sacerdote, fratello di mio papà, rientrato dal Marocco dopo 17 anni di missione: in quell’occasione don Sandro fu il padrino d’eccezione! Non mancava mai nelle nostre ricorrenze e momenti particolari – anniversari, compleanni… – lui era il nostro ospite più atteso. Fu anche padrino di cresima del nostro figlio Aristide e ho ancora ben presente l’espressione di meraviglia dell’allora vescovo Ernesto Togni, quando si trovò davanti quel padrino del tutto inaspettato.
E venne finalmente anche il tanto atteso il periodo post-universitario: don Sandro sognava di poter rientrare nel Ticino! Per lui lo stare a Friborgo era stata una fatica! Aveva anche detto chiaramente che allo scoccare dei 60 anni avrebbe lasciato l’impegnativo compito in piena consapevolezza e lucidità mentale, prima di prima di accusare mancanze. Abbiamo capitalizzato questi anni, uniti anche dallo sport (in occasione della sua ultima «Lectio» all’Università di Friborgo, gli avevamo regalato una bicicletta). Cominciammo a svolgere insieme alcune attività all’aria aperta, gite in bicicletta e molte passeggiate in montagna, anche escursioni impegnative, alcune pure in Engadina, dove era nostro ospite. Quando raggiungeva una capanna, ci confidava con il suo candore di sentirsi più vicino a Dio! Quante uscite, tutte documentate fotograficamente! Si sentiva felice, sereno, soddisfatto!
Poi ci fu la morte di Giovanni, suo «fratello gemello», e fu un grande strappo, più volte ricordato nelle moltissime lettere che mi ha scritto in questi 16 anni; si sentiva svuotato, un po’ perso. Non dimenticava mai di far memoria nel giorno del suo compleanno. Ho cercato di stargli ancora più vicino ed ho continuato a fare quello che facevamo insieme a Giovanni, soprattutto passeggiate settimanali che, con gli anni, diventavano sempre più brevi e… pianeggianti. E quanto parlare, discutere, di tutto: don Sandro era attento ai problemi della nostra politica, ma anche a tutto quanto accadeva nel mondo: antimiliarista convinto (con una come me che ha fatto militare in gioventù! Gli spiegavo che il nostro esercito era “di pace”), non riusciva ad accettare tutte queste guerre nel mondo, i morti, i feriti, le moltitudini di quelli che restavano senza case, senza cibo, ragazzi rimasti soli, senza un futuro, senza istruzione, senza possibilità di lavoro. Soldi, moltissimi soldi, inutilmente buttati in armi, che avrebbero invece potuto essere utilizzati per sconfiggere la fame nel mondo! Uno dei suoi grandissimi tormenti era il problema della mancanza dell’acqua in molti luoghi del pianeta: me ne parlava spesso e me lo scrisse ancora non molto tempo fa. Aveva fatto costruire due pozzi nel Ruanda (chiamati «pozzi Giovanni»), ma anche noi, anni prima, avevamo costruito un pozzo nel Madagascar, chiamato «pozzo Sandro». Sosteneva finanziariamente moltissime associazioni umanitarie che si occupano dei Paesi del Terzo Mondo e tutte le ONG possibili e immaginabili che bussavano alla sua porta e facevano appello al suo buon cuore.
Altro motivo di afflizione per don Sandro era quello della povertà anche nel nostro Ticino: per anni è stato il direttore spirituale delle Conferenze di San Vincenzo: proprio su suo invito (io la definivo istigazione) sono entrata nella Conferenza di San Vincenzo di Viganello, dove da 5 anni sono diventata presidente. Nel suo impegno di provicario generale in Diocesi, ogni giorno riceveva persone in difficoltà, bisognose di un aiuto spirituale, ma non solo: diceva di essere il «Consolator afflictorum» e io ribattevo scherzosamente «parafulmine della Curia». Oltre a raccogliere lo sfogo di queste persone, e a consigliarle e a indirizzarle con sollecitudine fraterna, regolarmente apriva il suo borsello ed aiutava anche in concreto le persone che sempre più numerose che facevano appello alla sua generosità. Non voglio dimenticare il suo dolore per il fatto che non si fosse ancora giunti alla fratellanza fra tutte le Chiese cristiane: per parte sua manteneva buoni e costruttivi contatti con esponenti della Chiesa evangelica riformata.
Con la perdita del suo impegno in Curia alla fine di maggio del 2019, sperimentò l’amara sensazione di essere diventato «inutile»: mancava di motivazione e di stimoli poi, ad aggravare una salute già fattasi cagionevole, intervenne quel banale incidente di agosto (solo un muretto preso troppo stretto …) che lo portò alla responsabile rinuncia alla licenza di condurre. Dover dipendere sempre da qualcuno per gli spostamenti, non molti, ma anche solo per la S. Messa domenicale a Mezzovico, le visite ad altri confratelli, appuntamenti dai medici, fu per lui un duro colpo: si sentiva un peso! Un’altra perdita irreparabile fu infine la prematura scomparsa del nipote Ramis che viveva con lui, e che lo seguiva per tutte le pratiche di ordinaria quotidianità dove don Sandro si sentiva del tutto spaesato.
Conservo gelosamente le lettere che mi ha scritto in questi ultimi anni durante i quali ho cercato di stargli ancora più vicino per molte incombenze: me le sono rilette in queste ultime settimane con infinita tristezza e malinconia. Mi mancano le lunghe conversazioni, il consiglio, le sue dritte preziose per le molte mie attività che lui ben conosceva! Si scherzava, si rideva, e soprattutto lui amava ascoltare la musica italiana dei tempi della guerra che punteggiava con ricordi di vicende e uomini raccontati dai suoi genitori.
Ultimamente era sfinito e aspettava di salire alla Casa del Padre, di cui aveva spesso parlato anche nelle sue omelie. Desiderava partire, possibilmente in fretta. Ho fissato molti sguardi e molti momenti struggenti degli ultimi giorni. Resterà indimenticabile il 26 febbraio 2020. Salii da lui a preparargli il pranzo, come facevo da molti mesi. Lo trovai più prostrato del solito. Sapevo delle sue preferenze a tavola e per quel giorno gli avevo preparato un risotto con i funghi porcini e vitello tonnato: si limitò ad un piccolo assaggio. Preoccupata, chiamai il suo medico che ne dispose il ricovero. Ho impresso nel cuore l’ultimo suo sguardo, quando lo sistemarono nell’ambulanza: uno sguardo come ei richiesta d’estremo aiuto. Mi resi conto ben presto che purtroppo sarebbe stato l’ultimo. A don Sandro fu diagnosticata la Covid-19, anche se si trattava piuttosto di una polmonite, asintomatica: niente tosse, buona ossigenazione, ma purtroppo mancanza di gusto ed olfatto, e una febbre a 38.5!
Mancherà a molti, ne sono certa. Mi conforta e sorregge il pensiero che quando un bel periodo finisce o quando una persona cara se ne va, piuttosto che stare a piangere nella tristezza della fine, è meglio pensare alla gioia di aver vissuto giorni felici o di avere avuto accanto una persona straordinaria e con questa gratitudine proseguire il cammino.
Nicoletta Beretta Piccoli
amica di famiglia e collaboratrice di don Sandro
Testimonianza tratta dal libro “Il Vangelo della gioia”, di Giuseppe Zois, Edizioni Ritter, Lugano.