Commento

Il semaforo si è spento, Scholz sfiduciato, voto in febbraio

Il casus belli che aveva scatenato la fine del governo Semaforo (Ampel: socialdemocratici, verdi e liberali) è stato l’addio del leader dell’FDP Christian Lindner alla coalizione guidata da Olaf Scholz. L’ex ministro delle Finanze – sostituito con il tecnico spd Jörg Kukies – non era disposto a garantire maggiore sostegno finanziario a Kiev. La Germania, governata da un governo di minoranza sfiduciato l’altro ieri in Parlamento, difficilmente riuscirà ad approvare la legge di bilancio 2025. Il che vuol dire che l’economia tedesca sarà ancora paralizzata per mesi, mentre il paese si dirige verso elezioni anticipate il 23 febbraio. Questo contesto parrebbe ordinario in altri paesi – come l’Italia. Ed è il risultato di una serie di crisi che il governo federale, la Germania tutta e l’economia locomotiva d’Europa covano da tempo. Anzitutto, la crisi politica dura da tanti mesi, al di là dei compromessi che condussero la formazione dell’Ampel tre fa.

Le divisioni interne alla coalizione su alcuni dossier importanti sono rimaste in superficie. Certo, il contesto europeo-mondiale non ha aiutato. Dal post-pandemia alla guerra in Ucraina, la Germania ha dovuto far fronte a due questioni imprevedibili e di complessa gestione. Risultato? L’economia tedesca è ferma. Berlino è riuscita ad evitare la recessione nel terzo trimestre con una debole crescita dello 0,2 per cento. Fosche le previsioni per il quarto trimestre, mentre Volkswagen ha annunciato di chiudere tre stabilimenti nel paese, con migliaia di licenziamenti in vista. L’indice ZEW del sentimento economico è calato in novembre. Secondo GfK, la fiducia dei consumatori tedeschi è peggiorata in dicembre. Il deficit previsto nel progetto di bilancio per il 2025 è salito dai 12 miliardi di Euro di luglio ai 13,5 miliardi di ottobre. Secondo Eurostat, la produzione manifatturiera è in calo del cinque per cento rispetto a cinque anni fa.

Se la Germania volesse crescere facendo più debito potrebbe farlo. Ma deve essere “buon” debito. Anche perché questo ha ripercussioni sull’obbligazione di Stato di referenza in Europa per la sua solidità, il Bund. Ma crisi economica fa rima con crisi energetica, dunque con crisi ucraina. Il paese più forte d’Europa è quello che più ha aiutato la resistenza ucraina contro l’aggressione russa. Eppure, la risposta di Berlino è parsa timida. Certo, Scholz ha parlato di un cambio epocale, “Zeitenwende”, ma l’Ampel ha reagito in maniera unitaria contro l’aggressione e ha goduto dell’appoggio esterno della CDU/CSU in Parlamento sugli aiuti a Kyiv. Ad oggi, sono stati varati oltre cento miliardi di Euro per riarmare la Bundeswehr. Il che ha marcato un cambio radicale nella difesa degli ultimi trent’anni. Berlino ha fornito a Kyiv jet, sottomarini, navi, droni per 28 miliardi di dollari – il secondo donatore dopo gli Stati Uniti.

Ma lo ha fatto dopo una lunga riluttanza, dovuta alla difficile presa d’atto del cambio improvviso delle relazioni russo-tedesche. Il punto di equilibrio nelle relazioni con Mosca era stato trovato nelle transazioni miliardarie di gas che hanno garantito una crescita tedesca sostenuta per lustri … Poi il meccanismo si è rotto e il prezzo politico è stato ed è enorme. La guerra russa ha complicato il quadro politico nazionale. Non è solo la spaccatura tra chi vorrebbe vedere l’Ucraina mutilata e vassalla e chi invece crede nel rispetto del diritto internazionale e nel diritto di Kyiv di difendersi. È anche una spaccatura su quali saranno i futuri rapporti con la Russia. Scholz ha chiamato Vladimir Putin – senza ottenere né il ritiro delle truppe russe, né la cessazione dei bombardamenti – e ad inizio dicembre ha fatto una visita sorpresa a Kyiv, a cui ha promesso aiuti per 650 milioni di Euro.

In tre anni Scholz non ha brillato per grande intuito politico. Pur avendo supportato i valori di libertà e pace non è parso all’altezza della posizione che rivestiva. Debole, poco carismatico, impopolare è espressione di un governo che non ha fatto riforme memorabili. Il che ha certificato sia una Germania nel suo complesso in crisi, ma anche i disperati tentativi della SPD di salvare il salvabile in vista delle prossime elezioni. Per settimane si è parlato di Boris Pistorius, ministro della Difesa e politico più popolare di Germania, come possibile candidato al rimpiazzo di Scholz. Ma alla fine il partito ha confermato il Cancelliere in carica. Auguri. Secondo Politico, la SPD è al terzo posto (16 per cento), dopo CDU/CSU (32) e l’Alternative für Deutschland (18). Seguono Verdi (11), Sahra Wagenknecht Bewegung (7), poi l’FDP e Die Linke (entrambi al 4).

L’SPD ha perso dieci punti rispetto al 2021, quando arrivò al potere quasi per caso a causa più dei demeriti degli avversari democristiani che per meriti suoi. Un brutto sogno da cui la CDU a guida Friedrich Merz sembra essersi ripreso. Anche il candidato dato per favorito come prossimo Cancelliere non scalda i cuori e non propone ricette economiche oltre l’ortodossia. Irascibile, lingua tagliente, dopo quindici anni di esilio politico ha criticato aspramente il governo Scholz sull’Ucraina. Allievo di Wolfgang Schäuble, Merz ha aperto – evento storico per il partito – alla possibilità di riformare il Schuldenbremse, il tetto al debito, additato come il meccanismo dell’austerity ed oggi percepito come un ostacolo per l’economia tedesca. Riforme? Sì, ma per quale scopo? No a soldi al consumo e alla politica sociale – che per altro è quello che pensa Angela Merkel, fresca dell’uscita delle sue memorie Freiheit, in cui sostiene questa iniziativa.

La missione di Merz è disfare l’eredità di Merkel, ma potrebbe avere molte difficoltà nel realizzare la sua visione nostalgica di ripristinare la crescita economica e il senso di sicurezza in Germania – facendo una “concorrenza responsabile” all’AfD su queste tematiche. Il suo programma conservatore prevede un taglio del welfare, dei richiedenti asilo, delle normative per incentivare maggiori investimenti privati, dunque di rendere la spesa militare una priorità di bilancio più alta, pur mantenendo la disciplina fiscale. Programma ambizioso, ma in linea con molte delle emergenze odierne e con la storia della CDU. Le preoccupazioni, dunque, sorgono alla destra di Merz, dove l’AfD – che ha espresso nella co-dirigente del partito Alice Weidel la propria candidata a Cancelliere – registra consensi stabili, specialmente nell’ex Germania orientale.

Il partito che spaventa mezza Europa è il grande beneficiario di tutte le reazioni ai molteplici problemi della Germania – dall’immigrazione alla deindustrializzazione –, mischiando un filo-putinismo, politica anti-immigrazione e anti-NATO. Toni e contenuti che l’accomunano al movimento demagogico di Sahra Wagenknecht – nato ad inizio anno – che basa la sua offerta politica su un populismo di sinistra, doppiando quasi Die Linke. Pagano la permanenza al potere i Verdi del candidato ministro dell’Economia e attuale vicecancelliere Robert Habeck, che stando ai sondaggi oggi perderebbero quattro punti rispetto al 2021. Idem, per i liberali, tradizionalmente attorno al 5-6 per cento e che per ora non sembrano passare la soglia di sbarramento per entrare nel Parlamento federale. Insomma, l’FPD ha staccato la spina al governo Scholz, ma non sembra al momento incassarne dividendi politici.

Amedeo Gasparini

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