Commento

Tutto il Kafka dei saggi di Walter Benjamin

In Franz Kafka (Feltrinelli 2024) di Walter Benjamin, il curatore Francesco Cappa spiega in una lunga introduzione come lo scrittore berlinese fosse capace di percepire il battito di un autore e il ritmo nascosto nella sua scrittura. È il caso nel volume che raccoglie i saggi e scritti sparsi di Benjamin dedicati a Franz Kafka un decennio dopo la scomparsa dello scrittore praghese. Walter Benjamin mette subito in luce l’eccezionalità dell’oggetto Kafka. Ne era forse il critico più congeniale e certamente uno dei suoi primi esaminatori. Ma anche tra i primi a comprenderne la portata della sfida lanciata dalla sua opera. E lo mise accanto a Charles Baudelaire come figura chiave della letteratura del XX secolo, così come il poeta francese lo era stato per il XIX, evidenziando molti aspetti che accomunano la vita e il pensiero dei due.

Walter Benjamin cerca di aprire la dimensione dell’ascolto nel linguaggio, quella dimensione su cui insisteva Sigmund Freud – che peraltro Kafka aveva letto. Tra tutti gli artisti e scrittori trattati da Benjamin, solo Kafka e Baudelaire riescono a mostrare nella loro opera l’aura nel processo della decadenza. In particolare, la grandezza di Kafka sta nella sua capacità di rendere leggibile da ognuno il paradosso, commenta Cappa. Che ricorda un episodio significativo per l’opera di Kafka: l’incontro con dei girovaghi da Lemberg al Café Savoy di Praga. Kafka strinse amicizia con il capo della compagnia, Isaac Löwy, con cui faceva lunghe passeggiate insieme alla sorella Ottilia David, fomentando le ire del padre, Hermann Kafka, che invece disprezzava quell’amicizia. Cappa affronta anche temi come l’animalità e l’oblio, citando Antonin Artaud, Milan Kundera, Giorgio Agamben e György Lukács, per poi lasciare spazio al saggio benjaminiano.

Si parte, come spesso accade con Kafka, dal ruolo del padre. «Il padre non solo consuma al figlio la sua energia, ma il suo stesso diritto di esistere. Il padre, che è il castigatore, è allo stesso tempo anche l’accusatore». Nel saggio il tedesco parla anche del ruolo di Max Brod (contestato), Robert Walser (autore de L’assistente, molto apprezzato da Kafka) e Knut Hamsun sull’opera del praghese. Kafka aspirava a essere annoverato tra gli uomini comuni, anche se non riuscì a evitare le tentazioni del misticismo, come testimonia una nota di diario sul suo incontro con Rudolf Steiner. Due passaggi di Benjamin meritano di essere qui riportati. La considerazione sulla vergogna in Kafka – «Era come se la vergogna dovesse sopravvivergli», le parole finali de Il processo – è duplice. Non è solo provare vergogna di fronte agli altri … Ma pure la vergogna per loro.

Il secondo passaggio è legato alla fine della vita di Kafka. «La disposizione con cui ordinava la distruzione della sua opera postuma […] va studiata con […] cura […]. Forse Kafka, che ogni giorno della sua vita si è trovato ad affrontare comportamenti indecifrabili […], ha voluto ripagare, almeno nella morte, i contemporanei con la stessa moneta. Il mondo di Kafka è un teatro universale […]. E la prova è che al teatro naturale di Oklahoma [in America] tutti vengono assunti. Non è dato capire secondo quali criteri abbia luogo l’assunzione […]. Ai candidati non si chiede altro che di recitare se stessi». «Tutta l’opera di Kafka rappresenta un codice di gesti», scrive Benjamin nelle bozze, aggiunte e appunti per una revisione del saggio. Nella lettera a Gershom Scholem (12 giugno 1938), critica dettagliatamente il libro di Brod su Kafka, caratterizzato dall’atteggiamento pietistico di una intimità ostentata.

Perché dare fuoco alla propria opera? Forse, conclude Benjamin, Kafka non era intenzionato ad assumersi di fronte ai posteri la responsabilità di un’opera della cui grandezza pure era consapevole. Scrive Benjamin: «gli scritti di Kafka sono per loro natura parabole». Le note diaristiche sui colloqui con Bertolt Brecht (a Le Lavandou nel 1931 e a Copenaghen nel 1934) rivelano come quest’ultimo vedesse in Kafka uno scrittore profetico. Brecht, che alla morte di Benjamin nel 1940 avrebbe affermato che quella era la prima perdita che i nazisti avevano inflitto alla letteratura tedesca, paragona K. al soldato Švejk di Jaroslav Hašek. Ma se il primo si meraviglia di tutto, l’altro di nulla. Kafka ha un solo tema. È lo stupore. Walter Benjamin, tedesco di ascendenza ebraica, conclude che «se Kafka non è il fondatore di una nuova religione […] tuttavia non è neppure un poeta della patria ebraica».

Amedeo Gasparini

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