La malattia alfine l’ha avuta vinta, ma non gli ha impedito di lasciare un segno distintivo nella ricerca storica in Ticino, in particolare sulla libertà di stampa.
Gentile, compito, ammodo. Vedo ancora Fabrizio Mena (1956) entrare nella redazione del Giornale del Popolo, 1985, ai tempi culturalmente gloriosi della direzione di Silvano Toppi. Fresco di laurea all’Università di Ginevra (mémoire su Censure et liberté de la presse au Tessin), gli leggevi negli occhi la voglia, anzi la furia di poter dire, di avere uno spazio in cui esprimersi. Sulla storia, vicende e protagonisti d’un passato che non passa mai perché parte fondante, determinante nel presente. La storia? La si considerava allora argomento per specialisti e non popolare per un quotidiano. Avevamo ragione lui per la prospettiva moderna, ed io nell’accettarlo sulla fiducia, sulla sua determinazione e su quel nucleo inseparabile tra censura e libertà che ne caratterizzerà tutta l’opera, dedicata soprattutto alla stampa. Nacquero così le sue regolari collaborazioni, pagine monografiche dedicate a temi storici, primo (e forse unico) caso tra i quotidiani ticinesi. E un’amicizia rinsaldata negli ultimi anni, quelli della malattia e della risolutezza di continuare ad indagare, scrivere, pubblicare sulla storia. Libri, articoli, recensioni, collaborazioni. In particolare con l’Archivio Storico Ticinese, ha fatto parte del comitato di redazione ai tempi di Raffaello Ceschi, di cui era amico, estimatore e un po’ anche allievo, visto che è stato suo relatore per il dottorato di ricerca in storia, sempre a Ginevra. Anche qui sull’argomento di cui rimane il maggior specialista: Editoria e stampa in Ticino, 1746-1848. Ricordava le collaborazioni col GdP come pietra d’angolo della sua costruzione dedicata con passione, sagacia e altissima competenza alla ricerca storica. Negli scritti e nella didattica, avendo insegnato nei vari ordini di scuola ticinese, soprattutto nei licei: Locarno, Bellinzona e dal ’96 Lugano 2.
L’abbiamo seguito in alcune delle grandi imprese storiche in Ticino. Dai progetti Storia del Cantone Ticino e Storia della Svizzera italiana diretti da Raffaello Ceschi, al Dizionario Storico Svizzero (redazione di voci biografiche); dal 2001 al 2022 appunto nella redazione dell’Archivio Storico Ticinese, e poi alla mostra Stefano Franscini, 1796-1857. Le vie alla modernità, al Museo Civico di Belle Arti di Lugano, 24 maggio – 21 ottobre 2007.
Tra i suoi libri, giusto ricordare almeno il fondamentale Stamperie ai margini d’Italia. Editori e librai nella Svizzera Italiana 1746-1848 per le Edizioni Casagrande di Bellinzona, 2003. La ricerca parte da Milano, dagli Agnelli, famiglia di «stampatori e mercanti di libri da oltre un secolo». Aprono una succursale a Lugano fuggendo dalla crisi dell’editoria milanese, vessata dalla censura sul fronte statale ed ecclesiastico. Continua con gli altri stampatori attivi nel Ticino del primo Ottocento, diventato centro tipografico importante soprattutto per la piena libertà di stampa sancita dalla costituzione ticinese del 1830. Un «settore di frontiera fino a metà Ottocento» lo definisce Mena. Una stagione di imprese editoriali e giornalistiche irripetibile. E alle moderne Case editrici indipendenti si stava dedicando negli ultimi tempi, sempre convinto della fondamentale importanza della stampa libera per le sorti democratiche di un Paese. Lo ricorderemo come persona raffinata e storico di alto valore. Lascia una traccia significativa nell’ampio capitolo degli studi storici del nostro Cantone.
Dalmazio Ambrosioni