Commento

Come Shahrazad, Middei racconta i classici che ci salvano

In Sopravvivere al lunedì mattina con Lolita (Feltrinelli 2025) Guendalina Middei spiega come i classici ci salvano. Esordisce con una citazione di Amos Oz. «I libri, loro non ti abbandonano mai. Tu sicuramente li abbandoni di tanto in tanto […], magari li tradisci anche, loro invece non ti voltano mai le spalle: nel più completo silenzio e con immensa umiltà, loro ti aspettano sullo scaffale». È il fil rouge dell’opera. Middei dispensa diversi consigli. «Non chiedetevi quali libri dovreste leggere […]. Leggere non sopporta alcun “devi”. Chiedetevi, semmai, “Quali sono i classici che io vorrei leggere, che ho bisogno di leggere”. “Quali classici possono farmi tornare ad avere più entusiasmo, più compassione, più ardore, più anima, più cuore”. “Quali possono non istruirmi ma salvarmi”». L’autrice dichiara il suo profondo amore per i classici russi, che definisce “pezzi d’anima”.

La tesi principale è che i libri hanno un potere letteralmente salvifico. Possono liberarci da relazioni tossiche, dall’apatia, dall’indifferenza, dalla monotonia, aiutandoci a ritrovare la direzione quando ci sentiamo perduti. Middei si propone di raccontare i classici seguendo lo stile narrativo di Shahrazad. Il capitolo iniziale è dedicato a Omero. L’Odissea è presentata come un’opera che racchiude tutti i grandi temi dell’esistenza umana. L’amicizia, la passione, la ricerca di sé. Ma anche il conflitto tra una vita tranquilla e il desiderio di gloria, tra la mortalità e il sogno dell’eternità, tra l’ambizione sfrenata e la dolcezza del ritorno. L’opera esplora il destino, la guerra, il sacrificio e l’amore in maniera travolgente. L’autrice evidenzia come l’impulso umano a “solcare il mare” sia una costante universale. Ulisse diventa così uno specchio dell’umanità intera, legata al destino comune della ricerca.

Il suo viaggio ci insegna che, nonostante gli ostacoli, dopo ogni sconfitta può giungere la vittoria. L’Odissea si rivela il poema del ritorno, della circolarità del viaggio umano. Prima di tutto a se stesso. «Ci sono cose nella vita che sfuggono al nostro controllo: incidenti, naufragi, lutti, catastrofi, fatti che accadono indipendentemente dalle nostre scelte e dalle decisioni che prendiamo. Non possiamo scegliere ciò che ci capita, ma possiamo decidere come affrontarlo: possiamo resistere, stringendo i denti e sopportando il dolore, come fa Ulisse; possiamo reagire con furia, come fa Achille; possiamo scendere a compromessi con quanto ci è capitato, come fa Priamo; possiamo reinventarci, come fa Enea. Per i greci, a caratterizzarti non è ciò che ti capita, ma come reagisci a ciò che ti capita». Ulisse, a differenza dei suoi compagni, riuscirà a tornare a Itaca per un motivo semplicissimo: non ha dimenticato chi è.

Nel secondo capitolo, Middei si concentra su Fëdor Dostoevskij. Attraverso la storia dei fratelli Karamazov solleva domande sull’esistenza umana. Come conciliare le ragioni del cuore con quelle della mente? Come trovare equilibrio tra l’irrequietezza di un cuore che non trova pace e l’insaziabilità dell’intelletto? Passando a Vladimir Nabokov, Middei confessa la sua reazione iniziale a Lolita. Richiuse il libro dopo venti pagine, delusa dalle aspettative. Sottolinea poi come il romanzo sia stato spesso frainteso. Non è un romanzo erotico, né una storia di libertà, riscatto o ribellione. Non è nemmeno un racconto trasgressivo di una dodicenne. La lettura di Nabokov è un’esperienza sensoriale completa, un’immersione in una foresta di aggettivi e sostantivi, colori e profumi. L’autrice interpreta Lolita come metafora dell’adolescente che si piega a copioni prestabiliti per ottenere accettazione sociale. Avverte come i venti della moda, del conformismo e della ricerca dell’approvazione ci fanno perdere la rotta.

E chi non ha una meta chiara è destinato al naufragio esistenziale. Stabilisce poi un contrasto fondamentale: l’uomo autentico crea, mentre il suddito si limita a emulare. Nella società contemporanea dominata dagli influencer, la replicazione ha soppiantato la creatività. Per questo Middei lancia un appello: «Siate creatori. Siate lettori. E non siate mai i seguaci, i follower» Richiamando Italo Calvino, l’autrice sottolinea come i classici mantengano intatto il loro potere comunicativo nel tempo, conservando fascino, complessità e ricchezza inesauribili. Vale la pena leggere proprio per evitare di diventare come Lolita, vittime passive di manipolazioni esterne. Middei dedica un capitolo a L’amante di Lady Chatterley di David Herbert Lawrence, ripercorrendo la controversa storia del romanzo. Nel trentesimo anniversario della morte dell’autore, si decise di pubblicarne l’edizione integrale. Ma questa scelta si scontrò con l’Obscene Publications Act, entrato in vigore nel 1959 in Inghilterra.

L’autrice evidenzia come il tema dell’adulterio viene trattato da Lawrence in modo diverso attraverso la storia di una relazione clandestina tra una nobildonna e un guardiacaccia, sovvertendo così le convenzioni del tempo. «Per vivere c’è bisogno di almeno una scintilla accesa nel corpo. Chi è vivo cerca la fiamma. L’eros è la fiamma per eccellenza; gli antichi greci con la parola eros non intendevano soltanto l’istinto sessuale, ma qualcosa di più: l’eros è un’energia primigenia che infiamma, accende, dà vigore». Nel capitolo su Anton Čechov, l’autrice identifica la figura del sognatore e dell’idealista come presenza costante nella letteratura russa dell’Ottocento. Sottolinea come la letteratura abbia una funzione consolatoria, mostrando che i sentimenti più intimi sono stati condivisi da personaggi come Gurov, Werther, Raskol’nikov e Zeno, alleviando la solitudine del lettore. Ricorda poi come per Giacomo Leopardi la parola “forse” fosse la più bella della lingua italiana.

Passando a Sofocle e all’Antigone, l’autrice stabilisce una fondamentale distinzione. Mentre Sofocle affronta il tema delle scelte necessarie, Euripide esplora le decisioni che non abbiamo il coraggio di prendere. Evidenzia come già nell’antica Grecia fosse chiara l’importanza fondamentale dell’educazione. Il testo si conclude con un riferimento a Un uomo di Oriana Fallaci, che viene descritto, citando Paolo Nori, come uno di quei «libri che fanno sanguinare», suggerendo la sua intensa capacità di coinvolgimento emotivo. Il penultimo capitolo è su Elsa Morante. Secondo Middei L’isola di Arturo è il più bel romanzo del Novecento. «Ti salva dalla nostalgia, dalle delusioni e dai rimpianti per il padre che avresti voluto avere e per il padre che avresti voluto essere […]. Ti salva dal senso di inadeguatezza che ti assale quando ti metti a confronto con quelle figure mitiche che nella tua testa sono la madre e il padre».

Il padre, per Arturo, è tutto il suo mondo, una di divinità. La sua autorità è sacra, la sua forza indiscussa. Del rapporto travagliato col padre, Leopardi porterà le cicatrici per tutta la vita. Vitangelo Moscarda di Luigi Pirandello e Zeno Cosini di Italo Svevo continueranno a farsi condizionare dal padre anche dopo la sua morte. Franz Kafka soccombe sotto il peso paterno. Umberto Saba, invece, andrà per tutta la vita alla ricerca del padre mancato. Riconciliarsi col padre? Diventare padre! L’ultimo capitolo è su Hermann Hesse e il suo Il lupo nella steppa. «In tutti i suoi libri c’è sempre un giovane che va alla ricerca di qualcosa: di cose grandi ed eterne, del proprio posto nel mondo, della propria arte, di se stesso. Hesse ti parla della giovinezza, dei suoi entusiasmi, dei suoi ardori e dei suoi vagabondaggi».

Inoltre, «i libri ci trovano (o forse siamo noi a trovarli) perché, in fondo, leggere è un incontrarsi al momento giusto, nel luogo giusto, come quando due persone si incrociano, apparentemente per caso, e si innamorano». L’autrice ricorda che Il lupo della steppa, pubblicato nel 1927, è un libro-poema dedicato a coloro che scelgono percorsi alternativi, dove la solitudine diventa una scelta consapevole, una patria e un destino per chi aspira non solo a sopravvivere, ma a vivere pienamente. Richiama Michel de Montaigne, che periodicamente sentiva il bisogno di ritrovare se stesso ritirandosi nei libri. Parlando della più bella poesia d’amore del Novecento, indica «Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale» di Eugenio Montale, scritta dopo la morte della moglie Drusilla Tanzi. Middei vede in questi versi racchiuso il senso profondo dell’amore e dell’esistenza.

L’autrice conclude con una riflessione. A volte abbiamo bisogno di incontrare qualcosa di altro per ritrovare la nostra capacità di vedere. Il lupo della steppa le ha insegnato a sorridere delle difficoltà della vita. «L’umorismo», diceva Piero Angela, «è da sempre un compagno di strada dell’intelligenza». «Una risata vi seppellirà» era il grido di battaglia dei sessantottini, che si rifacevano a Mikhail Bakunin. «La risata è libertà, perché chi ride non ha paura», scrive Middei. I classici possono essere una cura, un antidoto, un’àncora per le tempeste. Marcel Proust diceva che chi legge va in cerca di se stesso. «Leggete di tutto, non ponetevi limiti di nazionalità, genere o epoca», l’avvertimento finale. «Lasciatevi guidare dalla curiosità, dall’istinto o dall’amore e abbiate il coraggio di avventurarvi anche nelle terre letterarie meno battute».

Amedeo Gasparini

In cima