La fantasia degli scrittori spesso si rivela profetica, intuendo con maggior precisione il futuro immaginato dai vari esperti del passato e del presente. Lo abbiamo visto con Gončarov, che ben prima della futurologa Faith Popcorn descrisse l’effetto cocooning, e con Kafka, che ne La tana pare descrivere la vita dei cavernicoli pandemici. Lo stesso vale per Forster, che come vedremo, predice l’avvento di una civiltà schiava della tecnologia e nemica della socialità.
Tra le “previsioni” più azzeccate vi è appunto quella del racconto kafkiano, con l’era Covid iniziata con gli arresti domiciliari, la battaglia contro un nemico invisibile e la missione di «stanare» gli indecisi, tra chi si beava della reclusione forzata dei “sorci” e chi ragionava come il pavido esserino, che definiva «assurda» la libertà e avrebbe ben twittato #iorestoacasa. Tolto l’egoismo della solitaria creaturina – perché, si sa, ci muoveva un impareggiabile altruismo e non un mero istinto di sopravvivenza – ci siamo assuefatti alla «nuova normalità», rifornendo e ammodernando le nostre tane, con prelibate leccornie (stipandole sino all’eccesso, come il vorace animaletto, alle prime avvisaglie dell’emergenza) e le ultime tecnologie, abituandoci sempre più a restare chiusi nelle nostre stanze. Rifugi inattaccabili e iperconnessi dove prima origliavamo il nemico in festa e ora sbirciamo il mondo dalle nostre finestre digitali.
Un volontario ritiro dal mondo conclusosi con quella che Pascal Bruckner definisce la «tirannia sedentaria»: il regno dei pantofolai che elevano l’ozio (e non l’otium) ad arte, e che conta sempre più adepti. Si sprecano infatti in questi giorni ambigue tiritere in cui si nobilita la pigrizia, dal giornalista Roberto Saviano che nella festa dei lavoratori si dice inorridito da «profitto, competizione, merito» («l’unico destino è esser travolti da una fatica sempre più grande e sempre più fatale», lamenta il moderno Oblomov) all’influencer Giorgia Soleri, che dalle spiagge di Ibiza ci informa che «il riposo è un atto politico», in una società dominata dalla «performance» e dall’«iperproduttività». Un orrore per la “fatica” che echeggia anche nelle università italiane, dove alcuni studenti criticano la logica del «merito» e della «produttività» che causerebbe competizione e ansia. Di qui a poco lo studente modello sarà lo smidollato “uomo che dorme” di Perec, che la mattina dell’esame, invece di alzarsi, lascia suonare la sveglia e richiude gli occhi.
Cocooner sono pure i “couch potato” che passano la loro vita stravaccati sul divano a divorare uno snack dietro l’altro, lobotomizzati dalla tv, ma anche chi si è ormai abituato a restare a casa, concentrando qui le attività ludiche e lavorative (più della metà degli svizzeri, secondo l’ultimo sondaggio de L’Oeil du Public). Un alibi in più, quello di risparmiare tempo e denaro, che si aggiunge a quelli che muovevano i nostri “antenati”: la pigrizia di Oblomov, l’«inerzia consapevole» dell’uomo del sottosuolo, la paura del roditore e l’indifferenza dell’uomo che dorme. Creature sotterranee che vivono in buie topaie e per cui la “via d’uscita” è chiudersi in casa: disfattisti patologici che non senza ragione criticano la società che li circonda, senza però trovare un’alternativa migliore. Oblomov si scaglia contro i presunti «uomini vivi» che «si affannano ad andare avanti e indietro come mosche», salvo poi ammettere che (alcuni di) questi si godono la vita (Gončarov, Oblomov, 1859); l’uomo del sottosuolo critica gli «uomini d’azione», ottusi e superficiali, ma confesserà di aver trascurato la sua vita «con la disabitudine a ciò che era vivo» (Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo, 1864); il roditore biasima i «vagabondi» esposti al pericolo ma liberi (Kafka, La tana, 1923); e infine, l’uomo che dorme, repelle la «folla mostruosa», chi vaga senza meta ma anche chi non cede all’«ebbrezza fallace della vita sospesa» (Perec, Un uomo che dorme, 1967).
Nel mezzo della letteratura “cocooning” tracciata vi è un racconto fantastico-profetico di Edward Morgan Forster (La macchina si ferma, 1909), in cui possiamo ravvisare l’ultima espressione di questo volontario ritiro dal mondo e una speranza, avendo per protagonista un cavernicolo moderno che si ribella ad un tetro regno degli indolenti cercando una luminosa via di fuga. L’eroe è Kuno e l’“eremita tecnologica” è sua madre Vashti, antesignana degli hikikomori, chi si reclude fra le mura domestiche rifugiandosi nel mondo virtuale. Un fenomeno in crescita sia in Italia, dove sarebbero 44mila e 67mila a rischio di diventarlo (secondo lo studio condotto dall’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa), sia in Svizzera, dove si contano 30mila persone “Neet”, chi non lavora e non studia – tra questi si suppone che una parte non ancora precisata sia hikikomori (spiega la psicoterapeuta Filomena Sabatella dell’Università di Scienze Applicate di Zurigo, coautrice di due ricerche sul tema).
La civiltà del futuro immaginata da Forster vive nel sottosuolo e ciascun individuo è imbozzolato nella propria cella, tane tecnologiche in cui è già realtà l’uso dei tablet, l’avvento dei webinar e dei podcast, così come i social network e una primitiva smart health (non appena Vashti afferma di sentirsi poco bene, ecco piombare dal soffitto un termometro e uno stetoscopio). In queste stanze vuote – i letti ed anche le vasche da bagno sono a comparsa – ma ingemmate di pulsanti elettrici – per chiedere cibarie, musica e indumenti – abitano individui inebetiti e dai corpi flaccidi. Il trionfo di una civiltà che «porta le cose alla gente» e non «la gente alle cose», la cui «ricerca di agio a tutti i costi» causa il suo declino e dove «l’uomo, nudo e bello, stava morendo, strangolato dall’abito che aveva tessuto per sé con le sue mani». L’unico oppositore di questa realtà distopica è Kuno, cosciente che la “Macchina” ha «infangato ogni rapporto umano» e «paralizzato i nostri corpi e le nostre anime», come ben dimostra l’algida madre, che inorridisce alla vista del sole e delle stelle e odia il contatto umano. E sarà proprio per vedere quelle “odiose” stelle che Kuno tenterà l’ascesa verso la vita in superficie – vietata perché l’aria esterna sarebbe mortifera – e avrà così inizio la nascita simbolica, sua e dell’umanità. Dalle oscure viscere della terra, si arrampica nei cunicoli della macchina infernale, raggiugendo la luce e la consapevolezza che «la misura di tutto è l’uomo».
Il cavernicolo moderno sfugge così alla tirannia di un “sistema” che ieri come oggi vede trionfare il mito dell’esistenza asettica, intraprendendo un faticoso e rischioso cammino. Come insegna l’uomo del sottosuolo “redento”, siamo talmente «disabituati alla vita» che proviamo una sorta di «ripugnanza per la vita viva», ritenendola persino «una fatica». Non cadiamo dunque nella trappola di combattere un nemico (la vita frenetica) producendone un altro (la vita larvale), trasformando l’elogio della lentezza in una lode al letargo esistenziale.
Lucrezia Greppi
Per le precedenti puntate della rubrica Cocooning v. La tirannia sedentaria, ovvero l’avvento dei pantofolai (commento a Le Sacre des pantoufles del filosofo francese Pascal Bruckner) – Lo spettro dell’oblomovismo (dedicato al primo cocooner, il filosofo in ciabatte ideato da Gončarov) – Sognatori dell’abisso (sui tre “discendenti” di Oblomov: l’uomo del sottosuolo di Dostoevskij, il pavido roditore di Kafka e l’apatico uomo che dorme di Perec).