Teatro

Ad Arzo un classico e un tema sociale nel pomeriggio domenicale

Zanna bianca

Tanta folla e difficile persino sistemare tutti. Anche quest’anno, quello del ventesimo, il Festival di Arzo si è rivelato un successo. Buone le scelte anche se non tutte freschissime, ma rodate da tempo. Oggi pomeriggio, in seconda battuta abbiamo recuperato Zanna bianca. Della natura selvaggia, un classico della letteratura nella bella versione teatrale di Francesco Niccolini e interpretato da un travolgente ed eclettico Luigi D’Elia. La numerosa platea del Giardino Scuole, invitata dall’attore, è entrata nello spettacolo con la mente, il cuore e gli occhi che si riempivano di foreste o lande ghiacciate, laghi e fiumi ribelli, di uomini e animali, questa è la forza della narrazione orale che fa rivivere l’eterna epica del racconto. Seguiamo, tappa dopo tappa, trascinati dalla voce e dalle parole, la storia del lupo, dalla nascita ai primi incerti passi del cucciolo, gli ostacoli, l’incontro-scontro con altri animali. E poi l’uomo, quello cattivo che lo addestra al combattimento e quello buono che lo salva, lo guarisce e con il quale svilupperà un lungo sodalizio di avventure e rispetto reciproco, tra immagini suggestive e potenti evocate solo con il verbo, il ritmo, le tonalità, la gestualità sul palco nudo e un’assecondante colonna sonora registrata. Ma ad un certo punto il richiamo della foresta si farà sentire sempre più forte, l’ululato dei suoi simili. Forte scaturisce l’episodio del vecchio Alce sconfitto dall’ostinazione del nostro protagonista. Lo vedremo, con emozione, tornato selvatico, alla fine libero, insieme alla sua compagna, sprofondare nei boschi, dove corre ancora e sempre correrà, perché questo è il destino dei grandi personaggi letterari.

 

Se mi Amy

Forse perché venuto dopo questa trascinante incisività, Se mi Amy, per quanto tragico, è apparso un racconto in qualche modo più dimesso, ma Naya Dedemailan, che oltre a interpretarlo lo ha scritto (la regia è invece stata affidata ad una vecchia volpe del teatro di narrazione Roberto Anglisani), lo ha cucito addosso ad una ragazza che narra le sue traversie in una forma diaristica descrittiva, utilizzando espressioni gergali e comuni al linguaggio di strada. La produzione, realizzata con il sostegno di RADIX Ticino Svizzera e dello stesso festival, è incentrata sul tema dell’alcolismo, dei danni che provoca, di cui Amy Winehouse è la triste icona simbolo, amatissima e seguita dai teenager. Le sue canzoni contrappuntano la vicenda della protagonista, famiglia dissestata: non ci sono giudizi qui ma sembra comunque voler essere una larvata giustificazione alle sue ubriacature, quando poi la responsabilità è sempre individuale; amici, festini, una ricerca dello sballo continua. Non servono conferenze per parlare ai suoi coetanei, basta la chiarezza della propria esperienza: con l’alcool “si diventa scemi”, dice Elen lapidaria. L’incontro con l’amore non cambia la situazione. Muore lui, muore la cantante idolo. E alla fine ci sarà la riabilitazione, il ritorno alla vita, un lungo percorso che non finisce mai, come si sa. Un documento importante, applauditissimo in una strapiena Corte dell’Aglio dove a fatica si è trovato un posto, anche in piedi o per terra. Una testimonianza che qui era al suo debutto e che andrebbe ancora un po’ limata per evitare alcune lungaggini e una certa ripetitività che nuoce al coinvolgimento emotivo.

Manuela Camponovo

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