Prima di essere un grande giornalista e narratore, Tiziano Terzani – scomparso oggi vent’anni fa – è stato un grande viaggiatore. Ovunque andava, si spingeva sempre più in là, sempre più ad Est. La voce e gli occhi dell’Oriente in Italia. Esordio giornalistico a sedici anni, quando ricevette un’offerta di lavoro come cronista sportivo al Giornale del Mattino, diretto da Ettore Bernabei e dal caporedattore e amico Sergio Lepri. Pur essendo di sinistra e simpatizzante delle cause comuniste nel mondo diviso della Guerra Fredda, con i drammi d’Ungheria del 1956 aderì all’organizzazione giovanile del Movimento Federalista Europeo di Altiero Spinelli. Dopo la maturità classica rifiutò un’offerta della Banca Toscana e continuò gli studi presso la Scuola Normale Superiore di Pisa. Tra gli allievi c’erano Sabino Cassese, Carlo Ginzburg, Giuliano Amato. Nel gennaio 1965 andò per la prima volta in Giappone: l’inizio di un lungo amore.
Due anni dopo era in Tailandia, Hong Kong, Australia per la Olivetti. Con la moglie Angela Staude – che l’ha sempre seguito e da vent’anni ne cura la memoria con pubblicazioni inedite – andò negli Stati Uniti dal settembre 1967 per due anni. È qui che ebbe conferma della sua vocazione di giornalista. Abbandonata l’azienda, decise di dedicarsi al mestiere di giornalista. Fu proprio dagli Stati Uniti che arrivò l’offerta non retribuita dell’Astrolabio, per cui collaborò dal dicembre 1966 al novembre 1970. Si trattava di un settimanale politico di sinistra dove Terzani aveva già scritto dall’Africa. Diretto da Ferruccio Parri, il giornale gli consentiva di scrivere lunghi pezzi da oltreoceano. Nel frattempo, una borsa di studio favorì la sua iscrizione alla Columbia University in affari internazionali e storia della Cina moderna. Fu così che decise di studiare il cinese – inusuale per un occidentale, oggi come allora.
Gli anni newyorkesi sono stati molto stimolanti per Terzani e famiglia. Dai circoli intellettuali dell’establishment ai rioni più degradati di Manhattan. Stage al New York Times: l’esperienza che contribuì a mettere da parte il suo antiamericanismo, pur sempre ammirando Mao Zedong e Gandhi. Tra i suoi reportage più famosi si annoverano quelli della guerra del Vietnam per il periodico Der Spiegel, dove era approdato in seguito al rifiuto del Giorno di Italo Pietra a dargli l’incarico all’estero. Scrisse pagine struggenti da tutto il paese in una guerra che causò 58mila morti americani, 300mila feriti e 75mila disabili. A New York, ricordò in un articolo, c’era un numero di telefono al quale ogni giovane in età di leva poteva rivolgersi per avere consigli su come evitare di essere richiamato alle armi. Nei reportage emerse una scrittura caratterizzata da un’approfondita analisi di persone e culture.
Soprattutto, dal desiderio di raccontare le storie della gente comune e degli avvenimenti che spesso sfuggono all’attenzione dei media mainstream. Negli anni successivi mantenne la collaborazione con il settimanale di Amburgo anche in altre sedi, quali Hong Kong, Pechino, Tokyo, Bangkok e Nuova Delhi. Collaborò anche con l’Espresso di Livio Zanetti. Nel 1974 passò al Messaggero e due anni dopo a Repubblica, si interessò alle questioni cambogiane. Nel 1988 si stabilì a Pechino dove diventò il primo corrispondente di un magazine occidentale anticipando Time e Newsweek. Passò dunque al Corriere della Sera diretto da Ugo Stille e intraprese nel 1991 un lungo viaggio attraverso l’Asia centrale, dove testimoniò il crollo del Comunismo. Si dedicò anche ad incontri con maghi e indovini tra Malesia, Birmania, Indonesia, Cambogia, Cina, Mongolia e Russia. È la parte “sciamanica” di Terzani: l’ultima della sua vita.
Scrittore e reporter di successo, dal 1993 aveva combattuto una lunga battaglia contro il tumore. Dopo la diagnosi, scelse di non sottoporsi a trattamenti invasivi e di curarsi con metodi alternativi, concentrandosi sulla spiritualità e sulla ricerca di un significato più profondo della vita. Rimaneva coerente rispetto al rifiuto di accanimenti terapeutici di ogni tipo. La decisione rifletteva la sua visione del mondo e la sua prospettiva sulla malattia e la morte – un passaggio verso un altro mondo. Attivo nella polemica contro la conterranea Oriana Fallaci sulle vicende dell’11 settembre, raggiunse anche il Pakistan e l’Afghanistan per fare i suoi reportage. Fino all’ultimo viaggio nell’Himalaya. Le sue ultime memorie sono registrate in un’intervista tv (“Anam, il senza nome”) e nel libro postumo La fine è il mio inizio. Tiziano Terzani si è spento ad Orsigna, tra le montagne del suo Appennino toscano.
Amedeo Gasparini
Prima di essere un grande giornalista e narratore, Tiziano Terzani – scomparso oggi vent’anni fa – è stato un grande viaggiatore. Ovunque andava, si spingeva sempre più in là, sempre più ad Est. La voce e gli occhi dell’Oriente in Italia. Esordio giornalistico a sedici anni, quando ricevette un’offerta di lavoro come cronista sportivo al Giornale del Mattino, diretto da Ettore Bernabei e dal caporedattore e amico Sergio Lepri. Pur essendo di sinistra e simpatizzante delle cause comuniste nel mondo diviso della Guerra Fredda, con i drammi d’Ungheria del 1956 aderì all’organizzazione giovanile del Movimento Federalista Europeo di Altiero Spinelli. Dopo la maturità classica rifiutò un’offerta della Banca Toscana e continuò gli studi presso la Scuola Normale Superiore di Pisa. Tra gli allievi c’erano Sabino Cassese, Carlo Ginzburg, Giuliano Amato. Nel gennaio 1965 andò per la prima volta in Giappone: l’inizio di un lungo amore.
Due anni dopo era in Tailandia, Hong Kong, Australia per la Olivetti. Con la moglie Angela Staude – che l’ha sempre seguito e da vent’anni ne cura la memoria con pubblicazioni inedite – andò negli Stati Uniti dal settembre 1967 per due anni. È qui che ebbe conferma della sua vocazione di giornalista. Abbandonata l’azienda, decise di dedicarsi al mestiere di giornalista. Fu proprio dagli Stati Uniti che arrivò l’offerta non retribuita dell’Astrolabio, per cui collaborò dal dicembre 1966 al novembre 1970. Si trattava di un settimanale politico di sinistra dove Terzani aveva già scritto dall’Africa. Diretto da Ferruccio Parri, il giornale gli consentiva di scrivere lunghi pezzi da oltreoceano. Nel frattempo, una borsa di studio favorì la sua iscrizione alla Columbia University in affari internazionali e storia della Cina moderna. Fu così che decise di studiare il cinese – inusuale per un occidentale, oggi come allora.
Gli anni newyorkesi sono stati molto stimolanti per Terzani e famiglia. Dai circoli intellettuali dell’establishment ai rioni più degradati di Manhattan. Stage al New York Times: l’esperienza che contribuì a mettere da parte il suo antiamericanismo, pur sempre ammirando Mao Zedong e Gandhi. Tra i suoi reportage più famosi si annoverano quelli della guerra del Vietnam per il periodico Der Spiegel, dove era approdato in seguito al rifiuto del Giorno di Italo Pietra a dargli l’incarico all’estero. Scrisse pagine struggenti da tutto il paese in una guerra che causò 58mila morti americani, 300mila feriti e 75mila disabili. A New York, ricordò in un articolo, c’era un numero di telefono al quale ogni giovane in età di leva poteva rivolgersi per avere consigli su come evitare di essere richiamato alle armi. Nei reportage emerse una scrittura caratterizzata da un’approfondita analisi di persone e culture.
Soprattutto, dal desiderio di raccontare le storie della gente comune e degli avvenimenti che spesso sfuggono all’attenzione dei media mainstream. Negli anni successivi mantenne la collaborazione con il settimanale di Amburgo anche in altre sedi, quali Hong Kong, Pechino, Tokyo, Bangkok e Nuova Delhi. Collaborò anche con l’Espresso di Livio Zanetti. Nel 1974 passò al Messaggero e due anni dopo a Repubblica, si interessò alle questioni cambogiane. Nel 1988 si stabilì a Pechino dove diventò il primo corrispondente di un magazine occidentale anticipando Time e Newsweek. Passò dunque al Corriere della Sera diretto da Ugo Stille e intraprese nel 1991 un lungo viaggio attraverso l’Asia centrale, dove testimoniò il crollo del Comunismo. Si dedicò anche ad incontri con maghi e indovini tra Malesia, Birmania, Indonesia, Cambogia, Cina, Mongolia e Russia. È la parte “sciamanica” di Terzani: l’ultima della sua vita.
Scrittore e reporter di successo, dal 1993 aveva combattuto una lunga battaglia contro il tumore. Dopo la diagnosi, scelse di non sottoporsi a trattamenti invasivi e di curarsi con metodi alternativi, concentrandosi sulla spiritualità e sulla ricerca di un significato più profondo della vita. Rimaneva coerente rispetto al rifiuto di accanimenti terapeutici di ogni tipo. La decisione rifletteva la sua visione del mondo e la sua prospettiva sulla malattia e la morte – un passaggio verso un altro mondo. Attivo nella polemica contro la conterranea Oriana Fallaci sulle vicende dell’11 settembre, raggiunse anche il Pakistan e l’Afghanistan per fare i suoi reportage. Fino all’ultimo viaggio nell’Himalaya. Le sue ultime memorie sono registrate in un’intervista tv (“Anam, il senza nome”) e nel libro postumo La fine è il mio inizio. Tiziano Terzani si è spento ad Orsigna, tra le montagne del suo Appennino toscano.
Amedeo Gasparini