ANT-MAN AND THE WASP
REGIA DI PEYTON REED CON PAUL RUDD, EVANGELINE LILLY, MICHAEL DOUGLAS, WALTON GOGGINS, MICHAEL PENA. GENERE AZIONE-USA, 2018, DURATA 118 MINUTI.
Dopo la guerra civile interna agli Avengers, raccontata in Captain America: Civil War, Scott Lang viene condannato agli arresti domiciliari. Ma quando il suo mentore Hank Pym e la figlia Hope hanno bisogno del suo aiuto, Scott deve trovare un modo per vestire nuovamente i panni di Ant-Man. Nell’universo cinematografico sempre più sfaccettato e complesso che la Marvel ha designato in questi anni Ant-Man ricopre il ruolo del fanciullone mai cresciuto, del papà divorziato, problematico e immaturo. Caratteristiche tagliate su misura per l’attore che lo interpreta, Paul Rudd, autoironica presenza fissa delle migliori commedie americane del decennio (Molto incinta, Questi sono i 40, entrambi di Judd Apatow). Per queste ragioni Ant-Man and the Wasp, sequel che preme l’acceleratore su gag ed effetti speciali rispetto al capostipite del 2015, rappresenta l’antidoto ideale alla seriosa saga degli Avengers, culminata nell’apocalittico finale di Avengers: Infinity War. Anche l’Uomo-formica è destinato a ricoprire un ruolo nella lotta dei supereroi contro Thanos (e il post-finale durante i titoli di coda non esita a ricordarcelo), ma nel frattempo meglio godersi la leggerezza di un’avventura dal fascino vintage, che sfrutta al meglio le potenzialità della computer grafica. In particolare sul versante delle miniaturizzazioni (e del processo inverso di magnificazione), che permettono al film di mantenere ritmo indiavolato ed effetto sorpresa inalterato, con una strizzata d’occhio al passato glorioso di classici della fantascienza come Radiazioni BX: distruzione uomo e Viaggio allucinante.
CONSIGLIATO A: gli amanti dell’avventura vecchio stile e delle risate nuovo stile.
SCONSIGLIATO A: chi non ne può più di superpoteri e trasformazioni.
HEREDITARY: LE RADICI DEL MALE
REGIA DI ARI ASTER CON TONI COLLETTE, GABRIEL BYRNE, ALEX WOLFF, MILLY SHAPIRO. GENERE HORROR-USA 2018, DURATA 127 MINUTI.
Ellen Graham muore insieme ai suoi misteri. Mentre la figlia Anne elabora il lutto di una complicata figura materna, nella casa dei Graham avvengono strani episodi, che sembrano presagire un epilogo tragico. Film molto più complesso di quanto possa apparire dopo una semplice visione, Hereditary di Ari Aster ha fatto molto parlare di sé, sin dalla sua anteprima al Sundance Film Festival. Un oggetto per certi versi inafferrabile, per le scatole cinesi e per le suggestioni simboliche che ne costituiscono la struttura, e nonostante ciò anche un horror movie che garantisce la giusta dose di salti sulla sedia e scariche di adrenalina. Anzi, un film quasi classico nel suo riprendere rispettosamente temi di satanismo (Rosemary’s Baby), possessione (L’esorcista) e disintegrazione del nucleo familiare (Shining). Da molto non si assisteva a un horror che combinasse con altrettanta sagacia intrattenimento e rimandi concettuali. In questo senso Aster si pone agli antipodi del nuovo horror targato Blumhouse (Obbligo o verità?, Scappa – Get Out), ribadendo come il cinema di genere non precluda derive autoriali né debba consegnarsi solo al grand guignol e allo choc dello spettatore. Attraverso gli inquietanti diorami di Anne o le dissezioni di Charlie con Hereditary si vive prima di tutto un dramma familiare, una perversa distorsione dei legami di sangue più stretti, che supera in orrore qualunque manifestazione visiva del grottesco e del soprannaturale. Tuttavia Aster non rinuncia neanche a queste, regalando uno dei più spiazzanti e discussi epiloghi che la storia recente dell’horror ricordi.
CONSIGLIATO A: chi cerca nell’horror nuove suggestioni e qualcosa più dei soliti schemi triti e ritriti.
SCONSIGLIATO A: gli impressionabili e a chi crede che l’unione (famigliare) faccia la forza.
Emanuele Sacchi