«Diceva Bernardo di Chartres che noi siamo come nani sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, non certo per l’acume della vista o l’altezza del nostro corpo, ma perché siamo sollevati e portati in alto dalla statura dei giganti» (Giovanni di Salisbury, Metalogicon)
La celebre ed abusata metafora attribuita a Bernardo di Chartres, che vede la sua prima attestazione in Prisciano di Cesarea e, dopo di lui, Guglielmo di Conches, riassume emblematicamente e perfettamente un sentimento – il mio, nel momento in cui mi è stato chiesto di tenere un intervento tra due “giganti” – e un tema centrale sotteso della conferenza Don Chisciotte arriva in Italia. L’incontro, organizzato dall’associazione studentesca Il Letterificio, e svoltosi all’Università della Svizzera Italiana l’11 dicembre, è stato inaugurato dal Prof. Marco Maggi, che partendo dalla prima edizione e traduzione italiana del Don Quijote, ha poi rintracciato nel Saggiatore di Galilei una citazione “dotta” del romanzo di Cervantes, fonte da cui lo scienziato attinge per la caratterizzazione satirica e parodica degli avversari della nuova scienza. Tra il “serio” e il “faceto” si collocava il mio intervento, concentrandosi sulla ricezione italiana del capolavoro spagnolo e del suo protagonista: se alcuni scrittori seicenteschi applicano una lettura superficiale all’eroi-comico Chisciotte, ve ne sono altri che, in netto anticipo sui tempi, seppero cogliere il vero valore dell’opera e la profonda natura del cavaliere mancego. Infine, il Prof. Corrado Bologna, si è concentrato sull’analisi di una commedia per musica di natura “comica”, il Don Chisciotte della Mancia, e che tuttavia nasconde, da parte di Giovanni Paisiello e Giovan Battista Lorenzi, un’operazione di alta filologia e di sottile ermeneutica, capace di portare alla luce con grande precisione intertestuale una sbalorditiva rete di rapporti tra il Don Quijote e l’Orlando Furioso. Al centro del labirintico universo di citazioni ed evocazioni dei romanzi cavallereschi nel Don Quijote, poi infittito dai successivi richiami da parte degli scrittori seicenteschi, vi è il rapporto con i classici. Legame, questo, irrimediabilmente reciso e sintetizzato dal folle paladino, specchio deformante del furioso Orlando.
Sulle orme del comico paladino di Miguel de Cervantes, sono sorti numerosi emulatori, sin dal secolo della sua apparizione (1605; 1615). Gli scrittori seicenteschi, che potevano giovarsi dell’edizione in lingua spagnola del Don Quijote (1611, Bidello e Locarni) e della prima traduzione italiana (1622-25, Franciosini), celano in opere di vario genere, più o meno velatamente, il cavaliere spagnolo, facendogli percorrere inediti viaggi.
La prima tappa del cavaliere mancego è in Italia, e più precisamente a Napoli, all’osteria del Cerriglio, ove è ambientata la vicenda de La Tabernaria (1616) di Giambattista Della Porta. Il profilo di Chisciotte si può scorgere in Don Juan Cardon de Cardona, un folle cavaliere errante che vanta di aver vinto in duello innumerevoli giganti, così come in Giacomino, accusato di avere il cervello prosciugato per il troppo studio, o, ancora, nel colto Pedante, nel momento in cui cerca di istruire il gretto e mangione Lardone. Il viaggio di Chisciotte nella letteratura italiana seicentesca prosegue a Modena, ai tempi della battaglia per la “preziosa” secchia di legno, sottratta nella vicina Bologna, e raccontata nella Secchia rapita (1622) di Alessandro Tassoni. Nel poema eroicomico il conte di Culagna dichiara con fierezza di essere nipote del paladino mancego, e afferma di averne ereditato il famoso brando. Un percorso inusuale il cavaliere lo compie poi nelle pagine del Saggiatore (1623) di Galilei. Lo scienziato pisano – sicuro conoscitore del Don Quijote, possedendo la traduzione del romanzo effettuata da Lorenzo Franciosini – sembra implicitamente evocare Chisciotte, il cavaliere disposto a credere alle inverosimiglianze dei romanzi di cavalleria, quale exemplum negativo della cieca obbedienza al principio di autorità. In particolare, la figura di Chisciotte affiora in filigrana nella caratterizzazione di Orazio Grassi, opponens di Galilei nella disputa sulle comete. Il successivo viaggio di Chisciotte è nei Trastulli della villa (1627) di Adriano Banchieri, ambientati in Perù. Rimpicciolito nel giovane e sciocco protagonista, Tamburlino, questi viene pubblicamente irriso alla corte del Re Attabalippa – come già Chisciotte al castello del Duca e la Duchessa nella Mancia e al palazzo di Don Antonio Moreno a Barcellona. Dall’America, riappare poi in Italia, e più precisamente a Padova, all’epoca della contesa con Vicenza per il furto di uno stendardo effigiante un asino. Nel poema eroicomico di Carlo de’ Dottori, L’Asino (1652), Tinca viene paragonato a Chisciotte per avere il medesimo portamento ridicolo in sella al suo magro ronzino.
A partire dalla seconda metà del Seicento, Don Chisciotte fa la sua apparizione sulle scene teatrali. Nei drammi per musica in cui appare come personaggio, possiamo rintracciare dei veri e propri imitatori, alquanto maldestri. Nel libretto di Marco Morosini, il Don Chissiot della Mancia (1680), il cavaliere è ridotto a una maschera ridicola: spariti in lui i valori originali – quali l’erudizione, la disciplina, l’onore e il coraggio – vaga insensatamente a Barcellona. Dalla Spagna giungerà poi in Francia, ad Aquisgrana, nel Ludovico Pio (1687) di Girolamo Gigli, dove è presentato come un semplice affamato, non facendo altro che lamentare che i cavalieri erranti siano ormai costretti a soffrire la fame. Giunto in Andalusia, nella commedia Un pazzo guarisce l’altro (1687), decide di impazzire seguendo l’esempio di Orlando, svestendosi dei suoi vestiti e delle sue armi. Gigli farà poi viaggiare Chisciotte (di nuovo) in Perù nell’Atalipa (1689), dove giunge con l’intento di civilizzare i nativi, da lui considerati cannibali. Il cavaliere incontrerà qui il Re Atalipa, a cui consiglierà di leggere svariate opere, tra cui il canto XXVIII dell’Orlando furioso. Nel libretto Amore fra gli impossibili (1693), ambientato questa volta a Corinto, dichiarerà poi di voler generar prole per continuare la discendenza di Orlando – paladino, questo, di cui tuttavia non sa eguagliarne il valore. Leggendo un non specificato libro, forse il Furioso, si stupisce infatti del fatto che questi parli d’amore e continui a sopravvivere senza mai mangiare, e riconduce il tutto ad un errore di stampa. Il viaggio di Chisciotte si conclude con un ritorno alle origini: dopo tanto errare, ritorna in Spagna. Nel Don Chisciotte della Mancia (1769) di Giovan Battista Lorenzi e Giovanni Paisiello, Orlando è il modello dichiarato del più fedele imitatore di Chisciotte. Sul modello di Gigli, il cavaliere è qui presentato come un affamato e si propone di impazzire: per farlo, chiederà a Sancio di leggere la follia di Orlando, narrata nel canto XXIII del Furioso.
Lucrezia Greppi