Editoriale

Ambiente: il punto in comune di conservatorismo e progressismo

La preservazione dell’ambiente e del pianeta sono tra le sfide più importanti a livello globale. Coinvolgono tutti. A discapito di quello che si potrebbe credere, l’emergenza ambientale e climatica non nasce oggi, nonostante l’imbarazzante e goffa corsa di molti politici e attivisti che di recente hanno dato una “mano di verde” ai propri programmi elettorali o ai loro discorsi delle belle parole. Partiti green e concetti che includevano l’ambiente, la preservazione delle risorse, dell’acqua, dell’atmosfera, di flora e fauna trova la sua nascita negli anni Sessanta. Da allora, il “dibattito verde” è gradualmente entrato nel discorso politico, pur rimanendone grosso modo ai margini fino agli ultimi vent’anni. Entrato nelle scuole di Relazioni Internazionali, la conformazione teorica delle politiche verdi e gli impatti di questa tra stati è da collocare tra le teorie cosiddette critiche.

Non stupisce che il monopolio dell’ambientalismo e delle politiche verdi sia stato assimilato dalla cultura progressista – spesso, più che per amore dell’ambiente, per astio nei confronti del capitalismo, della logica industriale e “dei padroni” in ossequio alla retorica post- e neomarxista. L’aver politicizzato l’ambiente ha nuociuto alle sfide e agli obiettivi in termini di preservazione del pianeta. Il dibattito attorno alle questioni verdi è spaccato oggi tra: sinistra-ecologista-buona e destra-inquinatrice-cattiva (prospettiva di sinistra), rispettivamente sinistra-antindustriale-cattiva e destra-pro-economia-buona (prospettiva di destra). Un dibattito puerile. Anche perché in oggetto c’è il pianeta, dunque ogni sfida che lo concerne è esistenziale per l’essere umano. Traslata in ambito politico, la sfida ambientale dovrebbe essere abbracciata come questione legata alla sopravvivenza dell’uomo. La destra dovrebbe “tradizionalmente” porre l’accento sulla conservazione della natura, mentre la sinistra “progressivamente” sull’inquinamento di certi colossi industriali.

La questione ambientale non può essere la bandiera di una parte politica e l’ossessione negativa di matrice complottista dell’altra. L’ambito della protezione dell’ambiente potrebbe essere il punto di raccordo tra destra e sinistra. In politica, il terreno comune si trova su questioni esistenziali che riguardano tutta la società. Quale questione, se non l’ambiente? La preservazione e la cura dell’ambiente non devono essere ad appannaggio solo di gruppi particolaristici. L’ambiente non è un tema da “radical chic”, come piace a dire alla destra. E non è da difendere in funzione anticapitalistica, come invece si fa a sinistra. Molti cittadini rinunciano alla battaglia nei confronti dell’ambiente o mostrano scarso interesse per lo stesso a causa della politicizzazione che, in particolare, una certa sinistra estrema conduce da anni. Il tema dello sfruttamento dell’ambiente è assurto negli anni al rango di ennesimo grimaldello anticapitalista.

Occorre distinguere tra chi è sinceramente preoccupato per il cambiamento climatico e chi lo usa come scusa per attaccare il sistema capitalista, identificato come il Grande Vecchio responsabile della deteriorazione ambientale. Dietro all’etichetta di climate change, per molti, c’è il ripensamento dell’intera filiera di produzione e del meccanismo del mercato. Ad ogni manifestazione a favore del clima in Occidente corrisponde sempre e tristemente uno spirito anticapitalista. Ebbene, l’emissione di CO2 in Europa e negli Stati Uniti è in discesa da anni. Eppure, sono proprio loro a finire nel mirino dei movimenti green. Come mai nessuno si incatena di fronte alle ambasciate o ai consolati cinesi in risposta al rifiuto di Pechino di tagliare, ad esempio, le emissioni di metano? Una ricostituzione di clima e ambiente come temi condivisi tra conservatori e progressisti passa anche per il riconoscimento di questo fatto.

Amedeo Gasparini

www.amedeogasparini.com

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