Letteratura

Andrea Zanzotto, il cantore della natura

Andrea Zanzotto (1921-2011)

Il penultimo appuntamento del ciclo di incontri Archivi del Novecento, organizzato dall’Istituto di Studi Italiani in collaborazione con RSI Rete Due, dedicato ad Andrea Zanzotto, ha visto come relatore Stefano Dal Bianco. Professore di Poetica e Stilistica all’Università di Siena, poeta e critico letterario, è uno dei massimi conoscitori dello scrittore veneto: curatore dell’opera di Zanzotto per Mondadori – Le poesie e prose scelte (1999), Tutte le poesie (2011) – è inoltre autore di Tradire per amore. La metrica del primo Zanzotto (1983-1957), presso Pacini-Fazzi (1997).

Lo studioso si è soffermato su un aspetto fondamentale dell’opera del poeta veneto, il rapporto di Zanzotto con il paesaggio, e, in particolare, quello che Dal Bianco definisce l’«oculato attentato scientifico al mistero del divino della natura». Con gli strumenti della poesia Zanzotto indaga il sapere del creato: ascoltando e interpretando i messaggi che da esso provengono, li traduce in scrittura. La poesia è chiamata quindi a trasmette al mondo un sapere che è quasi impossibile veicolare, se non con grandi tradimenti. A tal proposito, lo studioso, riprendendo dei termini assai cari al poeta veneto, parla di «parassitismo» e «vampirismo» della poesia. Questa componente di «violento oltraggio» nei confronti della fonte dei messaggi, apparenta la poesia alle molteplici violenze perpetrate dall’uomo sulla stessa natura. Nella vasta produzione del poeta l’elemento naturale in sé viene sempre inteso positivamente, soprattutto se si tratta di precipitazioni atmosferiche; ciò che proviene dal cielo funge infatti da elemento unificante ed è portatore di pace, amore e protezione.

Stefano Dal Bianco si è poi concentrato sulla «pseudo-trilogia» di Zanzotto, costituita da Il Galateo in Bosco (1978), Fosfeni (1983) e Idioma (1986), e che si richiamava alle tre cantiche della Commedia. Considerato come il poeta più dantesco del Novecento italiano, in maniera similare al Vate, ingloba tutte le scienze; l’operazione da lui condotta è definibile come «un tentativo eroico di acquisizione di un metodo tipico della poesia sulle conquiste oggettive dei saperi che l’umanità ha elaborato nel corso dei secoli». Idioma, che dovrebbe corrispondere al Paradiso – come dichiarato dall’autore in un’intervista del 1987 – coincide invece con il Purgatorio, teatro di incontri in cui prevalgono gli affetti, in questo caso, con le persone di Pieve di Soligo (paese natio di Zanzotto) che hanno contribuito alla sua formazione poetica.

La seconda parte della conferenza è stata dedicata alla scrittura dialettale in Zanzotto, di recente riunita in un volume curato da Stefano Dal Bianco: In nessuna lingua, in nessun luogo. Le poesie in dialetto (1983-2009), edita presso Quodlibet (2019). Ospite, nel 1977, di Questo e altro, trasmissione condotta da Giovanni Orelli, il poeta veneto spiegava che prima di Filò (pubblicato nel 1976 e nato da uno stimolo del regista Fellini, che lo aveva invitato a scrivere degli stralci in dialetto da inserire in Casanova) non aveva considerato la possibilità di scrivere in dialetto ma che era sempre stato “in filigrana” nella sua produzione italiana, e che spesso era emerso in singole frasi, o parole, come se fosse scattata una sorta di remissione dei tabù.

L’ultimo incontro di Archivi del Novecento è previsto il 29 maggio: Pietro Montorfani tratterà del poeta e scrittore svizzero Giovanni Orelli.

Lucrezia Greppi

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