Anniversario della Strage di Capaci, ricordando Giovanni Falcone
*I nomi delle persone intervistate per questo articolo sono stati cambiati e/o omessi per motivi di privacy e per tutelare la loro identità.
“Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere” (Giovanni Falcone)
Sono passati ben 28 anni dalla Strage di Capaci, dove attraverso un attentato per mano della mafia persero la vita il magistrato italiano Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo (anche lei magistrato) e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. I feriti furono 23.
Erano le 17.57 del 23 maggio 1992, quando esplose un tratto di autostrada A29 vicino al comune di Capaci in provincia di Palermo.
Oggi, è una giornata dove riecheggia nell’aria l’importanza della cultura della legalità. Diversi uomini nel corso della storia hanno compiuto numerose e coraggiose indagini contro organizzazioni criminali, tra questi il magistrato italiano Giovanni Falcone. È stato colui che, insieme all’amico e collega Paolo Borsellino, ha realizzato il “pool antimafia”, il cui scopo è quello di far luce sull’organizzazione e i meccanismi d’azione della mafia per poterla contrastare. Il lavoro svolto da Falcone tra gli anni ’80 e inizi anni ’90 ha dato speranza non solo alla Sicilia ma all’intera Penisola. Le azioni del magistrato e del suo “pool” hanno segnato un grande passo per la cultura della legalità e l’intento di divulgarla non è mai stato così forte e coraggioso come lo fu in quegli anni.
Come evitare di parlare di Stato quando si parla di mafia? E i pensieri dei cittadini quali sono?
«La morte di Falcone, prima, seguita poi a luglio dalla morte di Borsellino, è stata una cosa sconvolgente. Avevo poco più di vent’anni e c’era grande rispetto e stima per uomini come loro. C’era un senso di speranza di poter scalfire la mafia grazie a persone come loro», ricorda così quel 23 maggio del 1992, F.V. nata e cresciuta nei pressi di Palermo. Mentre altri confessano che dopo aver sentito la notizia al telegiornale è scaturita in loro «tanta rabbia e delusione. Quel giorno qualcosa si è spezzato, non solo per noi siciliani ma per l’Italia intera».
Insomma, il senso di sconforto e la consapevolezza di una grossa perdita si diffonde in fretta dopo la conferma del riuscito attentato alla vita di Falcone. Tra le cose forse più difficili c’era anche quella di prendere coscienza che sul territorio fosse in atto una vera e propria guerra. Non è segreto che la mentalità criminale elimina, o cerca di eliminare, ciò che crea “problemi”, quindi il nemico; mettendo in atto una forma di intimidazione per chi si occupa di mafia oggi e chi potrebbe occuparsene in futuro.
«Mi stavo recando in università a Palermo. Mi mancavano pochi esami alla laurea. Sono passato sul quel tratto di strada circa mezz’ora prima dell’attacco – svela una fonte – Quando ho acceso la televisione sono rimasto senza parole. Sapevamo tutti chi fossero Falcone e Borsellino. Si sapeva che fossero figure che davano fastidio, perché gli stavano addosso».
Borsellino ha più volte ribadito che «magistrati e polizia si sono a lungo occupati da soli della mafia, lo Stato non ha fatto sostanzialmente nulla; non ha fatto nulla per creare un’amministrazione della giustizia efficiente in senso soprattutto civile». Entrambi i magistrati erano consapevoli che le sole azioni giudiziarie non potevano e non possono fare piazza pulita sulla mafia; e che si deve lavorare perché si crei uno Stato più credibile in quanto la «mafia prospera sulla mancanza di credibilità nelle istituzioni».
Nel momento in cui il cittadino non si identifica nell’istituzione, inizia anche a non osservarne le leggi; questo solitamente accade quando non si sente tutelato dallo Stato su determinati bisogni: il bisogno di giustizia, di sicurezza civile ed economica. Davanti a tale mancanza si cercano dei “sostituti” che possano dare risposta immediata. «La mafia nasce perché si presenta come qualcosa che assicura questi servizi, ma non li assicura a tutti perché per dare a uno deve togliere a un altro». La ferma convinzione di Falcone e Borsellino era l’importanza di lavorare verso uno Stato «più credibile» perché il pericolo di organizzazioni criminali mafiose sta nel «confondersi e nello stravolgere il senso vero delle istituzioni».
Sono gli ambienti scolastici, i luoghi in cui bisogna molto insistere e insegnare l’importanza e il valore della cultura della legalità. Perché è attraverso la cultura di un Paese, le idee e il suo modo di pensare, che si possono sconfiggere le organizzazioni criminali.
Alla domanda provocatoria: “Giovanni Falcone, era consapevole di non essere al sicuro a causa del lavoro che svolgeva. Ha sacrificato la sua vita in nome della giustizia. Ne è valsa la pena?” gruppi generazionali diversi hanno risposto così:
«Falcone e Borsellino hanno fatto il loro dovere fino in fondo. Sapevano che potevano morire e hanno continuato a svolgere il loro lavoro. Hanno lasciato un segno indelebile» (R. 54 anni)
«Sacrificarsi non è stato inutile, è stato un esempio di umanità» (D. 34 anni)
«In un mondo che non crede quasi più a nulla, loro credevano in qualcosa. È una cosa bella» (J. 18 anni)
«Mio padre ha sempre tenuto sul comodino in camera una foto di Falcone e Borsellino. Era la sua dimostrazione di stima infinita. Sono persone da ammirare nella loro unicità e grandezza» (F. 50 anni)
«L’Italia ha bisogno di più uomini come Falcone. Al mondo servono uomini così» (V. 94 anni)
Manifestazione di commemorazione virtuale…
Oggi, come ogni anno, alle 17.58 ci sarà un minuto di silenzio sotto l’Albero Falcone (via Notarbartolo, Palermo) suonato da un trombettista della Polizia, e sarà deposta una corona di fiori alle 9.00 davanti alla Stele di Capaci.
Mentre alle 18.00 è in programma la commemorazione delle stragi mafiose del ’92: un lenzuolo o un drappo bianco alla finestra o al balcone e condividendone la foto tramite i canali social. Questo vuole essere un gesto che richiama la reazione forte che scosse Palermo all’indomani degli attentati del 1992 e si propone come segno di unità nel contrasto a ogni forma di criminalità organizzata.
M.Elisa Altese