Il 29 maggio 1945 Mihail Sebastian, che lavorava come addetto stampa del Ministero degli Affari Esteri rumeno, venne tragicamente ucciso da un camion dell’Armata Rossa. Sebbene il suo nome sia associato al teatro e meno alla prosa, la sua opera più significativa è il diario personale. Diario 1935-1944 (Castelvecchi 2024) è un documento straordinario che il fratello, emigrato in Israele, riuscì miracolosamente a salvare. La pubblicazione in rumeno nel 1996 generò un dibattito esplosivo sulla natura dell’antisemitismo nel paese e sul ruolo della Romania durante l’Olocausto. Il diario inizia martedì 12 febbraio 1935, con Sebastian che sintonizza la radio su Praga per ascoltare un concerto di Johann Sebastian Bach. Questo dettaglio è emblematico del ruolo che la musica avrà nel diario, come rifugio e conforto durante gli anni più bui. Nato il 18 ottobre 1907 a Brăila, Mihail Sebastian era parte dell’intellighenzia ebraica rumena.
Il diario documenta con precisione l’ascesa di tre dittature antisemite in Romania: il regno di Carol II (febbraio 1938-settembre 1940), il governo di Ion Antonescu con la Guardia di Ferro fascista (settembre 1940-gennaio 1941), il regime di Antonescu come Conducător dopo aver represso gli ex alleati (1941-1944). Bucarest, soprannominata la piccola Parigi, era una città moderna e cosmopolita, dove l’illuminazione elettrica era stata introdotta nel 1899. Ma sotto questa facciata di modernità covava un antisemitismo radicato. Sebastian esordì al Cuvântul, distintosi per il carattere anticonformista e liberale. Qui lavorava sotto la direzione di Nae Ionescu, che aveva raccolto intorno a sé un gruppo di giovani intellettuali, tra cui Mircea Eliade, Camil Petrescu ed Emil Cioran. Quando il giornale fu trasformato nell’organo della Guardia di Ferro – come venne chiamata la Legione dell’Arcangelo Michele di Corneliu Zelea Codreanu – Sebastian fu costretto a lasciare.
Molti amici, seguendo il mentore Ionescu, si lasciarono trascinare verso il fascismo rumeno. La politica rumena tra le due guerre mondiali, sebbene leggermente più democratica di quella di Bulgaria, Ungheria o Polonia, era profondamente segnata dall’antisemitismo. Come osserva Sebastian, «quanto più oscura e mistica era l’idea della dottrina legionaria, tanto più aveva successo presso la giovane intellighenzia». L’antisemitismo era un tema prevalente negli scritti dei giovani intellettuali, che incolpavano gli ebrei per tutto ciò che percepivano come sbagliato nella società rumena. Tra cui: liberalismo, povertà, sifilide, alcolismo, comunismo, prostituzione, appalti, aborto, omosessualità, socialismo, femminismo. Uno dei colpi più duri per Sebastian fu il tradimento di Eliade, che divenne rabbiosamente antisemita sotto l’influenza della Guardia. Quando egli fu nominato a incarichi diplomatici, a Londra e a Lisbona, Sebastian annotò amaramente: «I successi, anche quando derivano da un’infamia morale, rimangono successi».
Eppure, il diario non è rancoroso. Traccia l’evoluzione dell’identità ebraica dell’autore. Che, benché marginale negli anni Venti, diventa centrale nella sua identità con l’avvicinarsi della guerra. Allora, le annotazioni di Sebastian diventano sempre più cupe. Il 20 marzo 1939 scrive dell’annientamento della Cecoslovacchia: lacrime per l’entrata della Wehrmacht a Praga. Nota come anche la Romania abbia ricevuto un ultimatum, venendo costretta a smantellare la sua industria per diventare un paese agricolo che rifornisce la Germania. Sulla conferenza di Monaco: «Tutto sembra grottesco. Se si guardasse da un altro pianeta, verrebbe voglia di ridere». Il 23 agosto 1939, di fronte al patto di non aggressione nazi-sovietico, Sebastian prevede che «Danzica diventerà tedesca in due, tre o cinque giorni […]. Credo che l’intera Europa sudorientale cadrà». Il 4 settembre 1939: «Soprattutto, non devo impazzire per l’ansia. Prendiamo tutto con tristezza, ma anche con rispetto per noi stessi».
L’11 dicembre 1939 confessa: «Mi mancano ispirazione, talento, saggezza e vocazione. Non riesco a vedere nulla davanti a me e non riesco a esprimere le idee più semplici. Qualcosa mi spinge verso la banalità, verso l’indifferenza». La vita personale di Sebastian è segnata da relazioni affettive interrotte e solitudine, che però via via scompaiono mentre la svastica conquista l’Europa occidentale. Il 1940 porta infatti nuovi drammi. Il 15 marzo muore Ionescu. Il 29 marzo Sebastian scrive del suo ultimo volume: «Il libro non sta vendendo. Avevo bisogno di imparare di nuovo che non sono un autore di successo? Questa mancanza di successo non mi sorprende e non mi turba». Il 16 aprile: «A volte vedo davanti a me un cupo mondo hitleriano, ma altre volte il brutto sogno svanisce e comincio a credere in un’Europa che io stesso potrei vivere […], un’Europa libera senza terrori, senza superstizioni».
Il 14 maggio 1940 Sebastian registra la caduta di Rotterdam e l’imminente entrata in guerra dell’Italia. A metà giugno cade la Linea Maginot e il 16 i tedeschi sono a Parigi. All’inizio del 1941 Sebastian decide di interrompere il diario. Prova «disgusto e, soprattutto, un terribile senso di inutilità». Quando riprende a scrivere, incontra Cioran per strada, “raggiante” per la sua nomina ad addetto culturale nella capitale francese. Il 21 giugno 1941 annota: «C’è una strana sensazione di pericolo, di isolamento, di assedio. Si ha la sensazione di non poter più comunicare con nessuno». Il 12 luglio 1941 scrive con disperazione che negli ultimi quattro giorni è stato impossibile registrare qualcosa nl diario. «Non ho le parole, né il sentimento o l’atteggiamento, per raccontare i semplici fatti che la gente riferisce sugli ebrei uccisi a Iași o trasportati da lì a Cáláraíji. Un incubo oscuro, cupo e folle».
Sebastian annota un possibile argomento per una tesi di dottorato: «la legislazione antisemita nel mondo durante il periodo hitleriano». In settembre deve negoziare con il padrone di casa che vuole 93mila Lei per rinnovare il contratto di locazione: «È stato dolorosamente umiliante e deprimente». Per sopravvivere, Sebastian si rifugia in sogni di fuga. Si immagina a Ginevra con un milione di franchi svizzeri, sistemato in una stanza a Cornavin o in un appartamento a Losanna. Si vede a Londra, come redattore alla BBC o a lavorare tutto il giorno al British Museum. Il 20 ottobre 1941 registra con orrore: «Le strade della Bessarabia e della Bucovina sono piene di cadaveri di ebrei […]. Vecchi e malati, bambini, donne, tutti indistintamente. […] L’antisemitismo organizzato sta attraversando una delle sue fasi più buie».
All’inizio del 1942 scrive: «Comincio ad abituarmi agli anni di guerra. Cosa ne sarà di me, di noi, in tutta questa follia? Non lo so». Il 1° febbraio 1942 registra la fine della battaglia di Stalingrado. In questo periodo è tormentato da incubi. Nel 1944, stremato, scrive: «La mancanza di una casa stabile mi disorganizza. Non ho capacità pratiche. Tutto quello che voglio è essere lasciato in pace». Il diario si conclude con l’arrivo dell’Armata Rossa a Bucarest, accompagnato da saccheggi e stupri. La morte di Sebastian quell’anno, proprio mentre la Romania stava entrando nel periodo comunista, aggiunge un tragico epilogo a questa testimonianza di sopravvivenza nel periodo più buio della Storia europea. La sua osservazione profetica che «la Romania riacquisterà il senno quando si porrà seriamente il problema della responsabilità» rimane pertinente ai dibattiti contemporanei sulla memoria storica odierna.
Amedeo Gasparini
www.amedeogasparini.com
Il 29 maggio 1945 Mihail Sebastian, che lavorava come addetto stampa del Ministero degli Affari Esteri rumeno, venne tragicamente ucciso da un camion dell’Armata Rossa. Sebbene il suo nome sia associato al teatro e meno alla prosa, la sua opera più significativa è il diario personale. Diario 1935-1944 (Castelvecchi 2024) è un documento straordinario che il fratello, emigrato in Israele, riuscì miracolosamente a salvare. La pubblicazione in rumeno nel 1996 generò un dibattito esplosivo sulla natura dell’antisemitismo nel paese e sul ruolo della Romania durante l’Olocausto. Il diario inizia martedì 12 febbraio 1935, con Sebastian che sintonizza la radio su Praga per ascoltare un concerto di Johann Sebastian Bach. Questo dettaglio è emblematico del ruolo che la musica avrà nel diario, come rifugio e conforto durante gli anni più bui. Nato il 18 ottobre 1907 a Brăila, Mihail Sebastian era parte dell’intellighenzia ebraica rumena.
Il diario documenta con precisione l’ascesa di tre dittature antisemite in Romania: il regno di Carol II (febbraio 1938-settembre 1940), il governo di Ion Antonescu con la Guardia di Ferro fascista (settembre 1940-gennaio 1941), il regime di Antonescu come Conducător dopo aver represso gli ex alleati (1941-1944). Bucarest, soprannominata la piccola Parigi, era una città moderna e cosmopolita, dove l’illuminazione elettrica era stata introdotta nel 1899. Ma sotto questa facciata di modernità covava un antisemitismo radicato. Sebastian esordì al Cuvântul, distintosi per il carattere anticonformista e liberale. Qui lavorava sotto la direzione di Nae Ionescu, che aveva raccolto intorno a sé un gruppo di giovani intellettuali, tra cui Mircea Eliade, Camil Petrescu ed Emil Cioran. Quando il giornale fu trasformato nell’organo della Guardia di Ferro – come venne chiamata la Legione dell’Arcangelo Michele di Corneliu Zelea Codreanu – Sebastian fu costretto a lasciare.
Molti amici, seguendo il mentore Ionescu, si lasciarono trascinare verso il fascismo rumeno. La politica rumena tra le due guerre mondiali, sebbene leggermente più democratica di quella di Bulgaria, Ungheria o Polonia, era profondamente segnata dall’antisemitismo. Come osserva Sebastian, «quanto più oscura e mistica era l’idea della dottrina legionaria, tanto più aveva successo presso la giovane intellighenzia». L’antisemitismo era un tema prevalente negli scritti dei giovani intellettuali, che incolpavano gli ebrei per tutto ciò che percepivano come sbagliato nella società rumena. Tra cui: liberalismo, povertà, sifilide, alcolismo, comunismo, prostituzione, appalti, aborto, omosessualità, socialismo, femminismo. Uno dei colpi più duri per Sebastian fu il tradimento di Eliade, che divenne rabbiosamente antisemita sotto l’influenza della Guardia. Quando egli fu nominato a incarichi diplomatici, a Londra e a Lisbona, Sebastian annotò amaramente: «I successi, anche quando derivano da un’infamia morale, rimangono successi».
Eppure, il diario non è rancoroso. Traccia l’evoluzione dell’identità ebraica dell’autore. Che, benché marginale negli anni Venti, diventa centrale nella sua identità con l’avvicinarsi della guerra. Allora, le annotazioni di Sebastian diventano sempre più cupe. Il 20 marzo 1939 scrive dell’annientamento della Cecoslovacchia: lacrime per l’entrata della Wehrmacht a Praga. Nota come anche la Romania abbia ricevuto un ultimatum, venendo costretta a smantellare la sua industria per diventare un paese agricolo che rifornisce la Germania. Sulla conferenza di Monaco: «Tutto sembra grottesco. Se si guardasse da un altro pianeta, verrebbe voglia di ridere». Il 23 agosto 1939, di fronte al patto di non aggressione nazi-sovietico, Sebastian prevede che «Danzica diventerà tedesca in due, tre o cinque giorni […]. Credo che l’intera Europa sudorientale cadrà». Il 4 settembre 1939: «Soprattutto, non devo impazzire per l’ansia. Prendiamo tutto con tristezza, ma anche con rispetto per noi stessi».
L’11 dicembre 1939 confessa: «Mi mancano ispirazione, talento, saggezza e vocazione. Non riesco a vedere nulla davanti a me e non riesco a esprimere le idee più semplici. Qualcosa mi spinge verso la banalità, verso l’indifferenza». La vita personale di Sebastian è segnata da relazioni affettive interrotte e solitudine, che però via via scompaiono mentre la svastica conquista l’Europa occidentale. Il 1940 porta infatti nuovi drammi. Il 15 marzo muore Ionescu. Il 29 marzo Sebastian scrive del suo ultimo volume: «Il libro non sta vendendo. Avevo bisogno di imparare di nuovo che non sono un autore di successo? Questa mancanza di successo non mi sorprende e non mi turba». Il 16 aprile: «A volte vedo davanti a me un cupo mondo hitleriano, ma altre volte il brutto sogno svanisce e comincio a credere in un’Europa che io stesso potrei vivere […], un’Europa libera senza terrori, senza superstizioni».
Il 14 maggio 1940 Sebastian registra la caduta di Rotterdam e l’imminente entrata in guerra dell’Italia. A metà giugno cade la Linea Maginot e il 16 i tedeschi sono a Parigi. All’inizio del 1941 Sebastian decide di interrompere il diario. Prova «disgusto e, soprattutto, un terribile senso di inutilità». Quando riprende a scrivere, incontra Cioran per strada, “raggiante” per la sua nomina ad addetto culturale nella capitale francese. Il 21 giugno 1941 annota: «C’è una strana sensazione di pericolo, di isolamento, di assedio. Si ha la sensazione di non poter più comunicare con nessuno». Il 12 luglio 1941 scrive con disperazione che negli ultimi quattro giorni è stato impossibile registrare qualcosa nl diario. «Non ho le parole, né il sentimento o l’atteggiamento, per raccontare i semplici fatti che la gente riferisce sugli ebrei uccisi a Iași o trasportati da lì a Cáláraíji. Un incubo oscuro, cupo e folle».
Sebastian annota un possibile argomento per una tesi di dottorato: «la legislazione antisemita nel mondo durante il periodo hitleriano». In settembre deve negoziare con il padrone di casa che vuole 93mila Lei per rinnovare il contratto di locazione: «È stato dolorosamente umiliante e deprimente». Per sopravvivere, Sebastian si rifugia in sogni di fuga. Si immagina a Ginevra con un milione di franchi svizzeri, sistemato in una stanza a Cornavin o in un appartamento a Losanna. Si vede a Londra, come redattore alla BBC o a lavorare tutto il giorno al British Museum. Il 20 ottobre 1941 registra con orrore: «Le strade della Bessarabia e della Bucovina sono piene di cadaveri di ebrei […]. Vecchi e malati, bambini, donne, tutti indistintamente. […] L’antisemitismo organizzato sta attraversando una delle sue fasi più buie».
All’inizio del 1942 scrive: «Comincio ad abituarmi agli anni di guerra. Cosa ne sarà di me, di noi, in tutta questa follia? Non lo so». Il 1° febbraio 1942 registra la fine della battaglia di Stalingrado. In questo periodo è tormentato da incubi. Nel 1944, stremato, scrive: «La mancanza di una casa stabile mi disorganizza. Non ho capacità pratiche. Tutto quello che voglio è essere lasciato in pace». Il diario si conclude con l’arrivo dell’Armata Rossa a Bucarest, accompagnato da saccheggi e stupri. La morte di Sebastian quell’anno, proprio mentre la Romania stava entrando nel periodo comunista, aggiunge un tragico epilogo a questa testimonianza di sopravvivenza nel periodo più buio della Storia europea. La sua osservazione profetica che «la Romania riacquisterà il senno quando si porrà seriamente il problema della responsabilità» rimane pertinente ai dibattiti contemporanei sulla memoria storica odierna.
Amedeo Gasparini
www.amedeogasparini.com