Era il tardo 1989: il Comunismo stava crollando “pacificamente” anche in Ungheria e un giovane studente segretario della federazione degli studenti comunisti – laureato all’Università Loránd Eötvös di Budapest – chiedeva ad un ricco imprenditore una borsa di studio per continuare la sua esperienza formativa all’estero. Finanziamento accordato. Il giovane ragazzo – che se non altro dimostrerà in seguito di aver capito ben poco della dottrina politica, vista la piroetta ideologica da sinistra a destra – si chiamava Viktor Orbán; il facoltoso imprenditore, manco a dirlo, era il controverso George Soros, riconosciuto un quarto di secolo dopo dal suo elemosiniere – divenuto nel frattempo Primo Ministro – come il nemico pubblico numero uno. Roba da Far West: alle porte del maestoso Parlamento sul Danubio manca solo il manifesto “Wanted” e la taglia sulla testa dell’imprenditore-filantropo e poi ci siamo, vista anche l’alleanza parlamentare di Orbán con Jobbik, partito che oltre a far svolazzare la bandiera del nazionalismo ha intensi tratti antisemiti. Tratti antisemiti che piano piano si stanno facendo sempre più evidenti nelle maggiori nazioni occidentali.
Sebbene alcuni leader di partito siano più o meno apertamente antisemiti – come quello dei laburisti inglesi, Jeremy Corbyn –, l’Antisemitismo – che non se n’è mai andato dalle società occidentali – è tornato prepotentemente all’interno del dibattito civile. Secondo la Anti-Defamation League i casi di Antisemitismo – gli “antisemitic incidents” – negli Stati Uniti sono aumentati vertiginosamente: dai 1352 casi del 2008 ai 1986 del 2017. 1211 nel 2009, 927 nel 2012 e 751 l’anno dopo, il dato più basso nell’arco del decennio in esame. Poi il lento rialzo a partire dal 2014 (914), ventinove casi in più nel 2015, 1297 nel 2016. Nello specifico, guardando ai singoli casi, lo stato di New York ha riportato ben trecentottanta incidenti, seconda la civilissima California – duecentosessant’otto – terzo il New Jersey – duecent’otto –. E ancora: Massachusetts 177, novantotto la Florida, novantasei la Pennsylvania, cinquantanove il Texas e cinquantasette il Colorado.
L’Antisemitismo è scomparso dai discorsi ufficiali di alcuni capetti – politici e non solo –, anche se le allusioni più o meno esplicite all’immagine distorta dell’ebreo massone e maneggione che controlla finanza e banche sono scovabili anche all’interno di alcuni movimenti di “protesta sociale”, che fanno della ricerca del capro espiatorio il metodo idoneo alla costruzione del loro consenso. I segnali di un selvaggio ritorno dell’Antisemitismo ci sono tutti, a partire dalle inquietanti svastiche disegnate sulle lapidi di alcuni cimiteri, così come le scritte “Jude” sulle vetrine di negozi. Una bravata, si dirà: il solito suprematista o fanatico; oppure il buffoncello che vuole seminare zizzania. Clamoroso l’episodio di Alain Finkielkraut, aggredito verbalmente a Parigi nel febbraio scorso da alcuni esaltati col giubbino catarifrangente: questo usato di solito per segnalare la propria presenza sulla corsia di emergenza in autostrada, anche se nel caso dell’attacco al filosofo di origine ebraica ha segnalato solo l’imbecillità di chi lo indossava (altro che corsia di emergenza: ci voleva la corsia alla neuro).
Secondo il sondaggio Being Christian in Western Europe del Pew Research Center – condotto tra aprile e agosto 2017 in quindici paesi – l’ottantotto per cento degli intervistati è mediamente favorevole ad accettare gli ebrei come vicini di casa, mentre il settantasei come membri della loro famiglia. Le cose si complicano quando si va a vedere paese per paese: al primo posto i Paesi Bassi (novantanove come vicini di casa, novantasei come membri della propria famiglia). Seguono Norvegia, Danimarca, Svezia, Belgio e Finlandia. Al settimo posto la Francia (novanta e settantasei); segue il Regno Unito (ottantotto e sessantanove), poi Spagna (ottantasette e settantanove), la Svizzera (ottantasei e settantadue) e la Germania (ottantasei e sessantanove). Al dodicesimo posto l’Austria, poi il Portogallo e l’Irlanda. All’ultimo posto l’Italia, dove secondo il Pew Research Center il settantasette per cento degli intervistati accetterebbe gli ebrei come vicini di casa, ma solo il cinquantasette per cento come membri della loro famiglia. In quest’ottica, forse non stupiscono le bestiate antisemite che hanno preso forma in due gravi e recenti eventi nello Stivale d’Europa: la rimozione delle pietre d’inciampo a Roma e la citazione su Twitter del Protocollo dei Savi di Sion – testo all’origine dell’Antisemitismo del Novecento – da parte di un Senatore della Repubblica, Elio Lannutti del Movimento Cinque Stelle.
L’Antisemitismo sta riemergendo dagli intestini sociali dei paesi dell’Occidente. Evidentemente alcuni – sempre di più – hanno dimenticato – o peggio: non hanno studiato – le tragedie passate. Le vittime dell’Antisemitismo portato all’estremo però non hanno dimenticato: hanno ancora sull’avambraccio il numero di Auschwitz. E col passare del tempo, questi autentici testimoni che dopo decenni di silenzio sono usciti allo scoperto verso una società più aperta e tollerante, stanno scomparendo per motivi anagrafici. Sarebbe utile chiedersi cosa succederà – in questo caso il condizionale è del tutto inutile – quando l’ultimo deportato in campo di concentramento o di sterminio ci lascerà. La memoria viva sarà cancellata? Annacquata? Distorta? Mistificata?
Che fare quindi in risposta all’arrembante ritorno dell’Antisemitismo? Un suggerimento per cercare di arginarlo viene da Karl Popper che ne La società aperta e i suoi nemici contro gli intollerati – gli antisemiti, gli eversivi precursori di disegni oscuri o negazionisti – ha spiegato che «la tolleranza illimitata porta alla scomparsa della tolleranza. Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti […] allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi.» Una società libera prospera solo nella cultura della memoria e della tolleranza: per quando liberale possa essere una società, il paradosso di Popper impone di non tollerare gli intolleranti. L’Antisemitismo, che più di un’idea è un crimine, si sta sinistramente inspessendo in diversi strati sociali nella “civilissima” Europa ed è, tra l’altro, sintomo di profonda intolleranza (e ignoranza, dopotutto). Una questione decisamente allarmante: citando Samuel Langhorne Clemens, la Storia non si ripete, anche se qualche volta fa rima con se stessa.
Amedeo Gasparini