Martedì 16 aprile, invitato da Cultura Insieme di Chiasso, nella chiesa di San Giorgio a Morbio Inferiore, andrà in scena L’amore crocifisso (le parole ardenti di Angela da Foligno), drammaturgia e regia di Antonio Zanoletti, con Maria Laura Ardizzone e Giacomo Lisoni. Produzione e costumi Compagnia dell’Eremo.
Gli scritti di Angela da Foligno furono raccolti dopo la sua morte avvenuta il 4 gennaio 1309 e approvati poco dopo dal cardinale Giacomo Colonna, il potente protettore degli spirituali, interessato alla forma dell’ascesi penitenziale femminile e avversario di Bonifacio VIII. Per l’influsso esercitato sui teologi del suo e del nostro tempo Angela da Foligno viene tuttora chiamata “Magistra Theologorum”, appellativo attribuitole ancora vivente. La sua personalità è cangiante, il suo stile è disadorno e aspro, i suoi pensieri sono un tumulto che supera ogni limite visionario. Nei suoi scritti si leggono i segni di un tale violento ardente indomabile amore per Cristo da rimanerne sconvolti.
Angela non sapeva scrivere, tanto meno conosceva il latino. Si esprimeva in “volgare”, cioè in un misto di italiano e di dialetto umbro. Eppure parte dei suoi manoscritti è in latino e contengono la sua esperienza mistica dettata da lei stessa a un frate. Seduti in chiesa, Angela dettava e il suo confessore, frate Arnaldo, traduceva tutto in latino e annotava. Ma chi è Angela da Foligno, definita nell’ultima annotazione del suo Memoriale «Anzola del naufragio»?
Non conosciamo il nome della famiglia e neppure quelli del marito e dei figli morti prematuramente; non si sa quando è nata, si sa solo la data della sua morte. Dalle sue parole apprendiamo che a un certo punto della sua vita Angela vendette tutti i propri beni e distribuì il ricavato tra i poveri.
Una donna e il suo mistero. Realtà? Letteratura? Geniale invenzione?
Ciò che si può dire è che le parole di Angela sono tra le più alte testimonianze d’amore che si possono incontrare. E ciò che stupisce in lei, in questo suo viaggio mistico, è questa sua capacità di identificarsi in tutto e per tutto, totalmente e senza riserve con le sofferenze e le gioie del “crucificato” Cristo, suo sposo.
Abbiamo rivolto alcune domande ad Antonio Zanoletti.
Quello della Settimana Santa a Morbio Inferiore è per lei ormai un appuntamento fisso. Ci ricorda da quanti anni e con quali lavori?
Era il 2001, la prima volta, rappresentai per il Circolo Cultura Insieme, di Chiasso, a Morbio Inferiore un percorso poetico e spirituale con testi e materiale di David Maria Turoldo. Poeta e sacerdote, grande, che ancora oggi ripercorro e indago. Infatti con Claudio Laiso domenica scorsa rappresentammo nella Cattedrale di Lugano, con un nutrito gruppo di attori miei allievi, il suo testo La passione di San Lorenzo, per i Vesperali. E da quel lontano 2001 gli incontri si sono ripresentati e succeduti qui a Morbio: da Jacopone da Todi, a Charles de Foucauld; da Claudel de L’Annuncio a Maria, a Madre Teresa con tre attrici che ripercorrevano le varie età di questa figura; da Paolo VI a Giovanni Paolo II, fino a Nicolao della Flue. Tappe che portano tutte a un contributo, uno scavo dentro le nostre radici religiose. È un appuntamento questo con il Circolo Cultura Insieme, che mi lega a persone che stimo con le quali condivido un sentire profondo di queste tematiche.
Immagino che portare in scena una figura così complessa e ancora misteriosa come Angela da Foligno non sia stato semplice. Come ha lavorato dal punto di vista innanzitutto testuale (la scelta dei documenti) e poi della messinscena registica?
Non è stato semplice, no. Avevo letto alcune pagine di un saggio a cura di Elémire Zolla su di lei e alcuni commenti di vari saggisti. Ma non mi convinceva la traduzione riduttiva di un italiano moderno, aggiornato. Mancava qualcosa. Erano pagine letterarie e restavano tali. Poi in un mio viaggio a Foligno, dove portai in scena Il sole negli occhi, le lettere di Van Gogh al fratello Theo, ebbi l’occasione di avere fra le mani nel Monastero delle suore di Foligno, un vecchio libro sconosciuto ai più, dove furono trascritte le visioni di Angela, dal latino a una lingua del suo tempo, un misto fra un dialetto umbro e il linguaggio del trecento. Quella fu la spinta a ripensare a questa mistica. Mi bisognava una lingua che riportasse un “oltre”. Mi sono chiesto come poteva una donna illetterata, analfabeta, parlare in quel modo, capace di pronunciare parole così impregnate di un altrove. Come mai la Chiesa la proclama prima Beata e poi Santa, nel 2013 (grazie al nostro Papa Francesco, che la proclama santa con Pierre Fabre, un gesuita)? Le prime canonizzazioni indicano già la linea di condotta di un operare del papa, mi sono detto. E queste due figure, non dimenticate dalla chiesa, ma messe ai bordi, sono scomode.
Ubertino da Casale rilevante per la chiesa del suo tempo, fu un allievo di Angela, faceva parte della corrente degli Spirituali, corrente francescana. E Ubertino, citato anche da Umberto Eco nel suo libro Il nome della rosa, fu ed è punto di riferimento. Una Chiesa dei poveri. Io penso questo: Angela, la mistica, aveva creato dentro di sé un “vuoto”, quel vuoto che Dio abitò; e quelle parole pronunciate, non sono sue, ma dettate e provenienti da un “oltre”, sono state per me la spinta a indagare e approfondire le sue visioni. Mi intrigava questo brulicare di passionalità smisurata, languori misti a estasi e lacrime. Un attraversamento di notti buie, con un linguaggio disadorno, aspro e tumultuoso. Presentai questo percorso, queste “parole ardenti” a San Miniato qualche anno fa. Mi stupì molto la reazione del pubblico, affascinato, incuriosito da una lingua non nostra di oggi, ma lontana da noi, seduttiva però, quasi straniera, petrosa, ricorda la lingua di Jacopone. Certamente ardita e molto. Immagini che non temo di chiamare «cariche di passione erotica». Attenzione non ho detto immagini pornografiche, ma erotiche. Eros, Amore. Come un fuoco dentro che esprime la passione di Angela per la figura di Cristo. L’Amore crocefisso l’ho chiamata, questa rappresentazione. Ed è nella mistica questa visionarietà, si pensi a Teresa d’Avila, a Giovanni della Croce, a Maria Maddalena de’ Pazzi. L’invito che faccio al pubblico è di seguire questa lingua con attenzione, come si fa con una lingua straniera che vuol comunicare all’ascoltatore l’esperienza di quel Mistero che ha folgorato questa figura di donna diventata francescana dopo aver perso figli e marito; e ritiratasi, fece parte di quella corrente detta degli Spirituali, che volevano, all’interno dell’ordine francescano, una Chiesa povera.
C’è un filo che lega Turoldo appena affrontato a questa mistica e in fondo a tutti i personaggi che ho affrontato che fanno parte del nostro essere cattolici. Tutti conducono alla povertà di Cristo, il quale nasce povero, vive povero e muore come un malfattore qualsiasi.
S’impara quasi sempre facendo… È cambiata, dopo questa creazione, il suo rapporto con Angela da Foligno? L’idea che aveva di lei?
Vero. È facendo, sperimentando. Io dico sempre ai miei allievi dell’Accademia di Siracusa dove insegno «il Teatro si fa, non si dice». E percorrendo queste parole davvero incandescenti di Angela da Foligno, ti ritrovi a pensare e vedere con occhi nuovi, chi siamo noi, che tramite siamo con l’infinito. Con l’oltre, in che rapporto siamo, con questa smisurata grandezza?
Martedì 16 aprile, Chiesa di San Giorgio, Morbio Inferiore, ore 20.30.
Manuela Camponovo