A Vienna si ha l’impressione che si viva e si sia sempre vissuti nel passato. (Claudio Magris)
È vero. E poi non solo ognuno ha la sua Vienna, ma c’è una Vienna diversa per ogni età in cui la si visita, della giovinezza, della maturità, della vecchiaia. E soprattutto è vero, sia che si passeggi per strade o parchi, sia che si entri in un museo, in un caffè di antico o classico prestigio, sempre si è accolti da un glorioso o turbolento passato, la Grande Storia la si scopre in ciò che si mangia (i cibi preferiti da Francesco Giuseppe…), nell’architettura, nei monumenti, mentre la vera e propria modernità sembra raggruppata, con grattacieli torreggianti, nella zona del Prater.
Una romanità quasi cancellata
La si trova in qualche rimasuglio archeologico o solo nel nome Marco Aurelio, attribuito ad alberghi o strade, naturalmente nella statuaria rievocativa della visita che l’imperatore fece a Vindobona. Demolite le mura nell’Ottocento, la planimetria resiste come immagine simbolica con il tracciato del Ring, sul quale è sorta la monumentalità asburgica.
L’ultimo omaggio
Mi è sembrato giusto, dopo essermi immersa negli scenografici ambienti asburgici, tra salotti, magnificenza di saloni, austerità di studioli, camere di ricevimento, oggetti della quotidianità, giardini e parchi, nella loro perfetta geometria botanica, boschi e aiuole, fontane e statue, preziosi gioielli da cerimonia e privati, corone e trofei, la passione sfrenata di un collezionismo anche d’esproprio… Insomma dopo il calarsi in questa avventura di storia fatta anche di turbolenze e tragedie pubbliche e famigliari, guerre, invasioni, epidemie, incendi e terremoti…
Dopo tutto questo, una delle ultime visite per concludere il mio soggiorno viennese è stata alla grande cripta della Kapuzinerchirke, lì, dove sono sepolti quasi tutti e dove, indipendentemente dalle ricchezze e dal potere, finisce la vita terrena di tutti. La Kaisergruft, voluta dall’Imperatrice Anna (1585-1618), la prima ad essere qui sepolta, accoglie le massicce bare asburgiche, la cui lavorazione testimonia l’arte dei vari secoli, da quella monumentale, particolarmente elaborata di Maria Teresa. Colpiscono i piccoli sarcofagi dei bambini (tanti ne facevano, tanti ne morivano entro il primo anno di età). E ci si rende conto delle complicate ramificazioni dovute ai matrimoni combinati, per estendere ovunque il proprio dominio. Insegne, corone e teschi, sono lì ad indicare, più che la potenza del passato, il fatto che la fine, questa fine, appunto, tocca a tutti.
Insieme, i tre: quello più in alto ma più semplice di Francesco Giuseppe, al cui fianco c’è la sua amata consorte, Elisabetta, più ricco, e poi ancora quello del figlio Rodolfo. E si termina con la sfilata, abbastanza anonima e sobria degli ultimi Asburgo, quelli senza più titolo…
Sono in 150, mancano Carlo I morto in esilio, Maria Antonietta sepolta a Parigi. Traslate dai nazisti a Parigi, le spoglie del figlio di Maria Luisa, seconda moglie di Napoleone. C’è da aggiungere, come particolare un po’ macabro che i cuori e gli organi interni degli imperatori sono conservati nell’Agustinerkirche e nel Duomo. Anche qui si offre uno spaccato di storia.
Là dove la Secessione è nata
Alla fine, dopo tanta immersione nelle loro opere distribuite nei vari musei, sono riuscita anche a visitare il Wiener Secessionsgebäude che oggi ospita mostre di artisti contemporanei, ma a parte la mezza cupola dorata che lo fa notare fin da lontano, la ragione che attira il fruitore è il Fregio di Beethoven (1902) di Klimt che si può ancora ammirare in una stanza di cui percorre la parete in alto con la sua simbologia delicata, erotica, incisiva. Lungo 34 metri è un letterale “Inno alla gioia”, nel senso che è ispirato all’interpretazione di Wagner della Nona Sinfonia, all’epoca suscitò scalpore, è uno splendido racconto murale di poesia, bellezza, minaccia, paura, follia, morte e trionfo di felicità e arte, un corale di figure fluttuanti e un bacio, un abbraccio che corona ogni desiderio dell’umanità.
Gli ebrei
Ho già scritto dei memoriali, della Judenplatz ma prima di partire ho fatto in tempo a visitare lo Jüdisches Museum che, distribuito su più piani del Palais Eskeles, raccoglie preziosi oggetti liturgici e racconta la storia della comunità dalle origini alle persecuzioni nei secoli, fino alla situazione attuale, attraverso documenti, fotografie e filmati. Sono le uniche zone, attorno alla sinagoga o a questo museo, in cui si vedono forze di polizia e controlli più attenti. Anche se un certo spiegamento militare l’ho visto anche al concerto organizzato a Schönbrunn.
Onestà
Oggi l’onestà di un paese (a parte Venezia che ha altri problemi) la si misura in base ai tornelli. Ci sono città che li hanno anche per l’accesso alle fermate degli autobus. A Vienna non ci sono neppure nella metropolitana, macchinetta per obliterare il biglietto sì, ma si entra e si esce in tutta libertà… La municipalità farà i suoi conti. E i cittadini, riconoscenti per i servizi funzionanti, puntuali, puliti e organizzati, anche.
Numeri
Ho calcolato che durante il mio soggiorno, poco più di dieci giorni, ho visitato 14 chiese, 13 musei, i due grandi palazzi imperiali, con parchi annessi, Belvedere e Schönbrunn, ho sentito concerti (tra cui i famosi Piccoli cantori), visto lo spettacolo dei cavalli spagnoli, salita sulla ruota del Prater, dove non ero mai stata, ma in un giorno di pioggia era affascinante… E case dei compositori, piazze e monumenti. Ho dormito al Sacher e frequentato cantine caratteristiche, pasticcerie di lusso o piccoli bar dove servono tartine deliziose. Mi sono ben guardata dal fare shopping e mi sembra di aver speso il giusto tempo, mai troppo poco, per ogni luogo. E quindi la domanda che qualcuno mi ha posto all’inizio: “ma cosa farai tutto quel tempo soltanto a Vienna?”, evidentemente per me non ha molto senso. Ma appunto, a ciascuno la sua Vienna.
Ritorno
Sotto la pioggia, ancora in treno, ma facendo un altro itinerario, cioè scendendo verso Udine e Venezia, attraverso Tarvisio. Differente è il paesaggio. Dal punto di vista naturalistico più dolce e collinare, meno alpino e anche meno rurale, con zone più popolose, edificate, industrializzate, coltivate. Attraversiamo la frontiera italiana, ma il personale austriaco non se ne accorge e imperterrito continua con le sue comunicazioni solo in tedesco e inglese. A Venezia arriviamo con più di mezzora di ritardo. Per fortuna che ho un grande margine di tempo, un’ora circa per la mia coincidenza. Il treno Venezia-Zurigo, che mi lascerà a Lugano, parte e arriva puntualissimo.