Al mio co-vacanziere e all’amica della “ridente Bordighera”
Per i lettori, gli scrittori sono come gli amici…
Quale sorta di amici?
Quelle persone che si sono frequentate per un bel po’ di tempo ma che poi si dileguano e non si rincontreranno mai più nella vita? Quelle che si continuano a vedere litanicamente e con le quali la relazione abitudinaria avanza per forza d’inerzia si direbbe, per non dire per appuntamenti mondani? Quelle che – ubbidendo a un imperativo categorico – cancelliamo seppur dolorosamente dalla nostra esistenza? O quelle, infine, (ma forse manca una categoria di amici, scrittori, cioè quelli che cerchiamo ardentemente perché la loro compagnia ci è essenziale?) che rincontriamo meravigliati come un fiore inatteso spuntato su una duna di sabbia sotto la ferula dorata del sole?
Per parlare del recente libro della scrittrice italiana, Paola Capriolo, Irina Nikolaevna o l’arte del romanzo, acquistato in una libreria luganese “in”, credo che dobbiamo scegliere quest’ultima similitudine.
Quando scoprii Paola Capriolo, ascoltando un’intervista alla radio della svizzera italiana, abitavo ancora nella francofona Fribourg, ma ero già sposata con un professore ticinese. Erano gli anni 90 del secolo scorso. Paola Capriolo aveva iniziato a pubblicare i suoi racconti che poi diventeranno lunghi racconti o romanzi. La grande Eulalia, la sua prima raccolta pubblicata da Feltrinelli nel 1988, per la collana I Narratori, aveva vinto il Premio Berto per l’Opera Prima ed era stata tradotta in francese, tedesco, spagnolo, svedese, e perfino in giapponese.
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