Quando vivi in un luogo a lungo, diventi cieco perché non osservi più nulla. Io viaggio per non diventare cieco.
(Josef Koudelka)
Domenica – La Rambla
È anche interessante tornare in un luogo dove si è già stati, per notare le differenze. Ma tra una visita e l’altra deve essere trascorso abbastanza tempo…
Allora, destra o sinistra? No, non voglio imbarcarmi in una discussione politica, si tratta di scelte topografiche! Ieri, in Carrer de l’Hospital avevo svoltato a sinistra per imbarcarmi nel Raval, adesso prendo l’altra direzione e in pochi minuti sono sulla Rambla, quella più famosa (ormai anche tragicamente) che, in una sonnacchiosa domenica mattina invernale, è quasi deserta, non sembra vero. Tanto che posso tranquillamente ammirare il Mosaico di Mirò che, pur calpestato da milioni di persone, conserva la brillantezza dei suoi colori, si può notare la firma sul bianco, ma molti ormai ci passano sopra senza neanche vederlo… Ecco come si diventa ciechi…
La Rambla prende diversi nomi nel suo percorso, ma oggi ho altre destinazioni, per cui salgo la fiorita Rambla de San Josep e poi, svoltando a destra, m’inoltro nel quartiere medioevale, case alte, strade strette, percorrendo Carrer de la Portaferrissa e dels Boters sbucando in Plaça Nova e subito non si può fare a meno di notare l’edificio sulla sinistra, il Col-legi de Arquitectes sulla cui facciata, in un itinerario che comprende i vari lati, appare una striscia di disegni infantili, tori, cavalieri, folla festante, danze, suonatori, omini, donnine, animali schematicamente fluttuanti … Il folklore tematico c’è già tutto, ma nel 1962 fu ridicolizzato e incompreso… Certo, la firma e la fama ormai restano indiscutibili del geniale artista di questa contrada, Picasso, ovviamente. Pochi passi ed ecco l’imponente Cattedrale, ma è domenica, al mattino si entra e si può assistere alla messa, non visitarla. Un momento di spiritualità che va preso sul serio.
Uscita entro al Museo Diocesano che è un inno al rapporto tra Gaudì, profondamente religioso, e i simboli, i materiali dell’arte sacra da cui egli prese ispirazione, è un rimando continuo, ad esempio al San Giorgio e a quel drago che torna spesso nelle sue raffigurazioni in forma di creste e lucertoloni; croci e pinnacoli gotici; i mosaici, piastrelle, ma anche libri che influenzarono la sua filosofia, illustrata anche da un documentario. Disposto su vari piani, l’edificio offre una vasta documentazione tra antico e moderno, tra l’oggetto originario e quello realizzato dall’architetto e inglobato nella sua visione creativa.
Questione di scelte, come già scrissi. In questi suggestivi intrichi di vicoli e piazzette si cammina attraverso la storia, da quella archeologica, romana, di cui sono visibili resti di mura e altri reperti sepolcrali, fino ad arrivare alla monumentalità costruita sull’antico foro, come appare in Plaça De San Jaume con i suoi palazzi governativi e municipali (vediamo appesi gli striscioni reclamanti libertà per i politici esiliati).
Ma adesso m’imbatto in uno dei più stravaganti musei del mondo perché frutto di un collezionismo privato ossessivo, non specifico ma di ogni genere di possibile oggetto collezionabile, di ogni epoca e provenienza, in un ecclettismo bulimico. Si fa prima a dire quello che non c’è nel Museu Frederic Marès, una vertigine di stanze, una trentina, che, una dopo l’altra, espongono di tutto, statue (il nostro protagonista fu anche sculture di suo), dal classicismo in pietra alla fattura spagnola lignea, capitelli, sarcofagi, tabernacoli, colonne, anche un marmoreo portale, una infilata di croci di ogni forma e dimensione, cofanetti in legno, pietra, pelle, ferro, semplici o riccamente lavorati, elmi, stampe, chiavi, quadri anche, ferri da stiro, ventagli, stupendi e preziosi, borsette, pettini, spille e spilloni, pinze (e quando nomino un oggetto, la visione ne riguarda centinaia nelle varie vetrinette, appesi o orizzontali, da tappezzare l’intera sala o una parete), guanti, forbici, posaceneri, francobolli, libri (c’è anche una biblioteca), bastoni, pipe, orologi, gioielli, strumenti musicali, biciclette, giocattoli e gli affascinanti diorami, dagherrotipi… ecc…, ecc… Catalano, 1893-1991, Marès donò le sue collezioni alla città di Barcellona nel 1946. Il complesso che ospita il museo faceva parte del palazzo reale dei conti di Barcellona.
Esco, un po’ barcollante, travolta da questa ondata di produzioni e utilizzazioni dell’umanità… E girovagando mi ritrovo nella pittoresca Plaça De Sant Josep Oriol, mi fermo ad un caffè per rifocillarmi e visito l’Església de Santa Maria del Pi, considerata la cattedrale popolare e anche una delle più grandi chiese gotiche di Barcellona, imponente facciata, interno trecentesco ad una navata, l’enorme rosone, uno dei più grandi al mondo, all’esterno, purtroppo è coperto, ma dentro, insieme alle vetrate policrome, contribuisce a creare una calda e variegata luminosità. Ma è ora di tornare alla Cattedrale.
La facciata è stata aggiunta nel 1870. C’è da dire a proposito delle chiese di Barcellona: a parte i ricorrenti incendi, hanno subito nei secoli devastazioni, distruzioni, spogliazioni, nei tempi recenti ad opera degli anarchici. Così, sono spesso nude, con pochi arredi. Ma questo permette di godere della semplicità severa e spaziosa dell’architettura. La Cattedrale fu risparmiata, le decorazioni sono intatte. L’interno è amplissimo, alto, con una navata centrale, due laterali e colonne slanciate. In particolare, da ammirare, il coro intarsiato e la cripta, con la tomba e raffigurazioni di Eulalia, una delle due sante patrone di Barcellona. Salgo sul tetto, ma la vista della città mi delude rispetto a tanti altri centri storici medioevali che ho visto dall’alto, un coacervo disordinato di strutture che non aiuta a capirne la planimetria. Scendo e visito il chiostro, fra le cui piante, protette da una cancellata, starnazzano curiose 13 oche, 13 come gli anni di Santa Eulalia quando fu martirizzata e sono qui dal Medioevo. No, non sono immortali, quelle che ho visto sono le discendenti, ospitate di generazione in generazione. Una cappella ricorda i 930 sacerdoti, monaci e suore, massacrati durante la guerra civile. Do anche un’occhiata alla Casa de l’Ardiaca, con il suo cortile alberato.
Questa parte della città è quella in cui si ha la maggiore concentrazione di attrazioni culturali e storiche, di certi edifici, oggi sedi pubbliche, essendo domenica, posso solo guardare l‘esterno, di altri spio cortili e scalinate. Un altro museo bizzarro è quello delle invenzioni, ma non mi ci dirigo. Oggi riesco ancora a vedere le vestigia romane del tempio di augusto, Temple Romà d’August, ma solo di sfuggita come la Via Sepulcral Romana, sempre chiusa quando mi ci trovo a passare, anche nei giorni seguenti. E non mi azzardo certo ad andare al museo delle cere, dopo aver visto l’originale inglese, si assomigliano tutti e sono di un kitsch senza pari.
Ma al ritorno, scendendo verso la Rambla dels Caputxins, mi fermo nell’adiacente Plaça Reial e la percorro tutta, sotto i suoi portici neoclassici. Ma c’è un altro motivo che mi attira: i lampioni, al centro, sono la prima opera di Gaudì conosciuta e se ne ritrova già la mano, quel modo curioso, e così umano, naturale, di trasformare ogni oggetto di arredo o di pratica funzionalità in un personaggio al tempo stesso reale e fiabesco.
Faccio fatica a farmi strada tra la folla domenicale, formata soprattutto da giovani e locali in libera uscita. Non oso pensare come sia d’estate, con l’aggiunta dei passanti stranieri. Ripeto: veniteci d’inverno!
Ormai è sera, tornando in albergo, dalla televisione, le immagini in diretta mi rimandano quella che sarà per due settimane la calamita tragica dell’attenzione degli spagnoli, d’animo appassionato. Un bambino di due anni è caduto in un pozzo. Un evento seguito con particolare apprensione anche dall’Italia perché riporta alla memoria un fatto che segnò anche una svolta mediatica, l’inizio di quella che fu chiamata la “tv del dolore”, il dramma di Alfredino… Alla sera, ogni sera, tornando in hotel, la domanda che qualche ospite italiano rivolgerà al portiere sarà sempre la stessa: è stato recuperato il bambino? Oggi sappiamo com’è andata a finire. Comunque, in questo momento, di nuovo, la Catalogna, mentre si è avviato il processo, sarà travagliata da proteste e ribellioni. Quando ci sono stata io, in gennaio, fortunatamente, non c’era neanche un corteo…
3. Continua