Volete sapere dove ho trovato la mia ispirazione? In un albero; l’albero sostiene i grossi rami, questi i rami più piccoli e i rametti sostengono le foglie. E ogni singola parte cresce armoniosa, magnifica. (Antoni Gaudí)
Giovedì – Casa Vicens e Park Güell
Rifaccio un percorso che ho già seguito, sulla Rambla fino a Plaça de Catalunya, per poi addentrarmi nel quartiere di Gracìa, che dal lusso commerciale e scintillante passa verso un carattere popolare e bohémien. Il parco è a quattro chilometri di distanza ma, proseguendo sempre dritta, farò una deviazione in una stradina laterale.
Qui si trova la prima abitazione realizzata da Gaudí, aperta al pubblico proprio recentemente e Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. Qui tutto ha avuto inizio e fin dalla facciata, con le sue ceramiche colorate, l’accostamento dei materiali differenti, che spicca tra le altre abitazioni, è un vero spettacolo, una convivenza etnica e immaginativa di stili, in un meticciato sorprendente, ispirazioni e tecniche catalane, islamiche, giapponesi, inglesi. Anche se ha subito nel tempo vari rimaneggiamenti, se ne può cogliere ancora l’anima.
Casa Vincens
Fu l’intermediario di borsa Manuel Vincens i Montaner a commissionare al 31enne architetto la sua casa di villeggiatura estiva, il primo edificio in cui Gaudí esercitò il suo talento; passò poi di mano in mano, fino ad essere ampliata in villetta plurifamigliare con tre appartamenti, uno per piano. Infine, dopo essere stata acquistata da MoraBanc nel 2014, si cercò di recuperare il progetto originario e di trasformarla in una casa museo.
Si entra nel giardino, rimpicciolito, privato delle sue strutture primitive, come il gazebo, la cascata, la fontana, però è conservato quell’aspetto dentro-fuori, esotico e moderno al tempo stesso, con l’inferriata che riproduce la foglia della palma nana, motivo che ritroviamo anche nella tribuna; se l’atrio, pareti e scale, sono stati rimaneggiati, negli ambienti delle stanze possiamo cogliere lo spirito architettonico del genio catalano.
Negli elementi decorativi ad esempio della sala da pranzo, con la collezione di quadri a olio. In stile islamico, che invade e circonda lo spettatore con un intenso blu smaltato, un cielo all’interno, e i suoi elementi di cartapesta, è la sala fumatori. Elementi floreali, naturali, flora, fauna, cielo, stelle, a creare un ambiente interno come se fosse un giardino, li troviamo nelle stanze da letto. E, come già sappiamo, si scatena l’immaginazione nella terrazza, con una delle sue invenzioni che collegano interno ed esterno: cioè le panchine che fungono anche da ringhiera, in cui possono coesistere protezione e contemplazione. Un prodotto pionieristico anche dal punto di vista dei servizi (siamo alla fine dell’800) con l’acqua corrente. Al secondo piano c’è uno stupendo soffitto trompe-l’oeil con uccelli svolazzanti che sembrano venirci incontro. Vestiboli al posto di corridoi e peccato per la sparizione delle scale originali. Si arriva dunque alla soffitta, concepita per il personale di servizio, ora vi è allestita una interessante mostra permanente che, tra progetti e materiali, racconta la storia della casa. Il tetto è stato il primo accessibile, un autentico belvedere, tra torrette e cupole che, con le loro piastrelle colorate, mostrano una chiara influenza islamica.
Ho avuto anche l’occasione di visitare la mostra temporanea allestita al primo piano, curata dal direttore della Cattedrale Gaudí, Juan José Lahuerta, che propone, attraverso modellini, un percorso tra quattordici case progettate da architetti vicini ad Antoni, dai precursori come Viollet-Le-Duc e William Morris, alla prima generazione del movimento modernista, Richardson, Sullivan e Wright e ai contemporanei, Berlage e Wagner, fino ad arrivare agli epigoni, Horta, Guimard, Mackintosh e Olbirch. Per ogni architetto una casa, la prima o la più rappresentativa… Un’avventura che mette in dialogo l’epoca e la sua visione… Insomma, una vera fascinazione…
Parc Güell
Dopo questo sogno reale architettonico, torno sui miei passi e proseguo in direzione del Parco Güell, l’unico momento in cui trovo un po’ di coda, ma neanche troppa. Una parte è libera, gratuita, per immergersi nella natura, ma l’altra, quella monumentale, quella che a me interessa in questo momento, è a pagamento. Fin dall’entrata principale sembra di penetrare in un altrove fiabesco, forse anche un po’ eccessivo, ma si dice che gli elementi naturali, rocce, statue, scalinate, fontane, colonne, grotte, l’enorme lucertolone, volte ecc…, appaiano più naturali di quelli prodotti dalla natura stessa.
Il nome vi rivela che il committente è sempre lui, Eusebi Güell. Lui affidò a Gaudí il compito di creargli una cittadella in miniatura, con case di prestigio. Il progetto commerciale in quanto tale fu un fallimento. Nel 1914 venne abbandonato ma Gaudí aveva già costruito abbastanza perché la città potesse acquistare il tutto nel 1922 e destinarlo a parco pubblico, neanche a dirlo anche questo è dichiarato Patrimonio dell’Umanità da parte dell’Unesco. Si entra tra due bizzarre casette che sembrano uscite dalle fiabe dei fratelli Grimm. Ci sono alcune parti in restauro dove si sta lavorando e quindi per passare da una sezione all’altra occorre fare un lungo giro, ma in ogni caso si può salire la scala monumentale, dominata da quel bestione, leitmotiv gaudiano: colorata a mosaico la salamandra-drago è ignobilmente cavalcata dai turisti, nonostante le grida lanciate dai guardiani…!
Si arriva dunque al “tempo dorico”, la foresta di colonne (88, alcune delle quali sembrano tronchi d’albero piegati dal vento), che avrebbe dovuto essere l’acropoli-mercato, si rasenta una galleria curvilinea, colonne in pietra e tetto, che alludono ad un chiostro naturalistico, raggiungendo uno spiazzo che domina la città, fiancheggiato da una panchina-ringhiera, mosaico che lo percorre e delimita. Il luogo aveva anche la funzione di bacino di raccolta d’acqua. Sito pensato per feste ed eventi popolari, la cui documentazione fotografica, che troviamo in mostra nella casa museo di Gaudí, sopra il lato destro dell’entrata, rievoca atmosfere da Monte Verità. La casa museo che raggiungo con fatica, per via dell’interruzione del percorso imposta dalle recinzioni dei lavori, mostra gli ambienti dove l’architetto visse dal 1906 al 1925, poco prima di morire e di stabilirsi direttamente nella Sagrada Familia.
Emergono gli aspetti più intimi e devoti, attraverso oggetti personali, l’arredamento ed un video, la camera da letto ad esempio con l’inginocchiatoio per le assidue preghiere.
Tutto molto interessante ma alla fine non si vive di puro spirito, sono quasi le quattro del pomeriggio e sono ancora in orario catalano per il pranzo. Ridiscendendo il Carrer Gran de Gràcia m’imbatto nel Botafumeiro, un tempio della cucina galiziana e sono sicura che qui mangerò una perfetta paella ai frutti di mare (la divisione è netta, non come certe schifezze che mischiano il pollo con il pesce). La fanno sul momento. Ci si siede al bancone e dopo un tempo ragguardevole ecco arrivare la paella parellada che si concede al piacere infantile di mangiare direttamente dall’enorme… padella, appunto! Una delle migliori che abbia mai gustato! E non a caso le pareti sono tappezzate di fotografie di VIP, della gente più famosa che è stata ospite qui.
Un’altra giornata contrassegnata dai frutti barcellonesi, colori, creatività, intelligenza, sapori e profumi.