Giovedì sera ha preso il via la 69esima edizione della Berlinale, il primo grande appuntamento nel calendario annuale dei festival cinematografici internazionali. Fino al 17 febbraio saranno proiettati oltre 400 film, suddivisi in varie categorie. Al galà d’inaugurazione ha fatto gli onori di casa il direttore Dieter Kosslick, per il quale questa è l’edizione del commiato, dopo ben diciott’anni trascorsi al timone della più importante rassegna cinematografica tedesca. Accanto a lui la presidente della giuria internazionale, l’attrice francese Juliette Binoche, e Monika Grütters, delegata del governo federale per la cultura e i media (In Germania la cultura è de iure affare dei Länder, per cui non esiste un ministro federale della cultura, bensì solo un segretario di Stato con delega per i temi culturali). Al termine della cerimonia inaugurale è stato proiettato, in prima visione mondiale, il film in concorso The Kindness of Strangers della regista danese Lone Scherfig. Non è un caso che il primo film mostrato, come pure altre sei delle diciassette pellicole del concorso principale abbiano una regia femminile. Kosslick ha infatti scelto di dare particolare risalto al ruolo svolto dalle donne in tutti gli ambiti della produzione cinematografica e alla pressoché inesistente parità di opportunità fra i sessi nel settore. La Berlinale si conferma quindi come festival dai forti accenti politici, desideroso di portare un’aria nuova in tutti gli ambiti da esso toccati. Non stupisce quindi che proprio a Berlino venga proiettato – e per di più in concorso! – un film prodotto da Netflix, uno dei colossi della distribuzione in streaming di materiali video. Si tratta di Elisa y Marcela della registra spagnola Isabel Coixets.
Per quel che concerne la presenza elvetica alla Berlinale, particolare interesse potrebbe suscitare il documentario African Mirror di Mischa Hedinger. Si tratta di un film montato interamente con immagini d’archivio e testimonianze scritte del documentarista svizzero René Gardi, che, a partire dagli anni Cinquanta dello scorso secolo, ha contribuito in maniera determinante a plasmare l’immagine pubblica dell’Africa di quegli anni, in particolare nella Svizzera tedesca.
Cleto Pescia