Teatro

Blackout: oltre la vista… il teatro

Gruppo teatrale Blackout - UNITAS

La compagnia teatrale Blackout, composto da attori ciechi ed ipovedenti.

I Blackout sono una compagnia teatrale nata cinque anni fa su iniziativa del regista Theo Boletis e un gruppo di soci della Unitas, l’Associazione Ciechi e Ipovedenti della Svizzera italiana.
Hanno debuttato nel 2016 con l’esilarante commedia in due atti Natale al basilico, scritta da Valerio Di Piramo, che li ha visti calcare anche il palcoscenico della Maratona del Teatro Amatoriale di Locarno.
Dall’anno scorso il gruppo sta lavorando allo spettacolo Ho una figlia bellissima, commedia in due atti sempre scritta da Valerio Di Piramo.
Il nuovo spettacolo narra la storia di un’agenzia di pompe funebri che pubblica sulla pagina Facebook della figlia (per altro bruttina) del proprietario, delle foto di dive famose con l’intento di aumentare la clientela futura. Oltre a diversi fraintendimenti, l’impresa viene scambiata per un’agenzia matrimoniale. Ne nasceranno così tutta una serie di equivoci che rendono la commedia divertente e coinvolgente.
La particolarità dei Blackout, che in Ticino li ha resi unici, è che gli attori e le attrici sono in maggioranza ciechi e ipovedenti.

Gruppo teatrale Blackout - UNITAS

Due attori della compagnia teatrale Blackout della Unitas.

Presa dalla curiosità sono andata a trovarli al Centro Diurno Casa Andreina a Lugano per una chiacchierata al termine di una delle prove.
«La prima cosa è imparare la parte a memoria», spiega Michelangelo, uno degli attori, «che per me è sempre difficile, perché, non potendo leggere il copione, devo ascoltarlo a casa su MP3 dividendolo il pezzettini per memorizzarlo meglio. Una volta che sono sicuro sulla parte, posso concentrarmi su come muovermi sul palco».
Attori e regista raccontano che quella dell’orientamento è una grande sfida per chi ha problemi di vista: entrare e uscire di scena, cercare una sedia, prendere un oggetto … «non cadere dal palco» – ridono – «e qualche volta ci scontriamo anche fra di noi» – ridono di nuovo.
Un trucco che i Blackout hanno escogitato per riuscire a muoversi in autonomia è quello di posizionare per terra dei tappeti, come delle passerelle da poter seguire come linee guida con i piedi; qualcuno conta anche i passi. Dietro le quinte vi sono inoltre dei volontari che intervengono in caso di necessità.

Un altro aspetto da curare è quello legato all’interazione fra gli stessi attori in scena: cercarsi con lo sguardo, parlare con l’altro guardando nella giusta direzione e a una buona distanza e cercare di non apparire goffi anche solo nello stringersi la mano per salutarsi perché le mani, non vedendosi, rischiano di rimanere sospese nell’aria senza trovarsi.
«Il bello è che noi ipovedenti, che un po’ ci vediamo, aiutiamo chi non vede in queste scene e talvolta si improvvisa e ne escono delle cose divertenti», ci dice Loredana, una delle attrici.

Gruppo teatrale Blackout - UNITAS

Jary e Marco, due attori della compagnia Blackout.

Jary si racconta e mi confida: «Io ho la parte di uno zoppo ed io, che sono cieco dalla nascita, non ho mai visto uno zoppo ed hanno dovuto insegnarmi come imitarlo. Alla fine mi sono ingeniato e un calzolaio mi ha modificato un paio di scarpe così ho un tacco più alto dell’altro e questo mi aiuta nella camminata».
Il regista Theo Boletis spiega che un aspetto molto importante sul quale ha dovuto lavorare è quello che non bisognerebbe dare mai le spalle al pubblico e questa è una cosa che anche chi vede fa fatica a mettere in pratica, ma per un cieco è ancora più difficile.
Chiedo poi al regista se ha trovato delle particolari difficoltà a dirigere degli attori ciechi e se vi sono delle differenze nella regia. Lui mi risponde che «no, non vi sono grosse differenze. Con loro non posso gesticolare e devo sempre dare indicazioni a voce. La mia più grande difficoltà era il pensiero di come togliergli dalla testa che non ce l’avrebbero fatta; io vedevo le loro potenzialità».
Al regista chiedo infine qual è stato per lui il momento più bello ed emozionante di questi anni con i Blackout: «non ho un momento particolare, per me ogni rappresentazione è speciale e la cosa più bella è vedere come risponde il pubblico. Molto particolari sono le prime che facciamo a Casa Andreina, davanti al nostro pubblico, il pubblico di ciechi e ipovedenti di Unitas. Se riusciamo a coinvolgere nello spettacolo persone che non lo possono vedere con gli occhi, allora vuol dire che le immagini sono passate e l’obbiettivo è raggiunto e assicuro che lì l’ambiente è sempre eccezionale ed emozionante».

Mi viene da pensare che ogni volta che si apre il sipario, i Blackout, oltre a gestire l’emozione, devono mettere in atto tutta una serie di competenze e la concentrazione per eseguirle è al massimo, anche se son state provate e riprovate. Questo deve far riflettere sul fatto che nella vita di tutti i giorni ai Blackout (e ad altri portatori di handicap) capiterà di trovarsi davanti a scenari nuovi e avere la prontezza di sapersi improvvisare come veri attori professionisti: un’auto parcheggiata sul marciapiede, prendere il biglietto all’automatico, comunicare con gli altri superando le barriere dell’handicap, eccetera. Mettersi in gioco e giocare il ruolo sul palcoscenico di un teatro è un hobby, ma per alcuni fa parte di tutto un processo di accettazione e di crescita personale, uno stimolo che, a fine spettacolo, aggiunge un tassello alla consapevolezza di poter fare questo e molto di più.

I Blackout saranno in scena, sempre con inizio alle 20:30, al Lux di Massagno il 15 novembre, all’oratorio di Coldrerio il 22 novembre, il 23 novembre alle scuole elementari di Caslano e concluderanno le rappresentazioni il 10 dicembre allo Studio Foce di Lugano.

Corinne Bianchi

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