Nancy Fraser si crede rivoluzionaria: per sconfiggere il “capitalismo cannibale” – dal titolo della sua opera, Capitalismo cannibale (Laterza 2023) occorre tornare a Karl Marx. Quel capitalismo che starebbe divorando la democrazia, il “senso di comunità” ed il pianeta. L’autrice ripercorre tutti i drammi contemporanei e addossa al sistema economico liberale tutte le colpe possibili e immaginabili. Ah, se ci fosse Marx! Ma Fraser fa sul serio. Adopera un tono critico e supponente nei confronti dell’economia di mercato e della società aperta. Intollerante e lapidaria nelle sue affermazioni ad effetto, intransigente e approssimativa nell’intento di confermare le sue tesi di estrema sinistra, l’autrice mette in chiaro subito le sue idee in merito alle sfide odierne. Debito schiacciante, lavoro precario, servizi in calo, infrastrutture fatiscenti e irrigidimento delle frontiere, violenza su base razziale, pandemie e condizioni meteorologiche estreme: il colpevole è il capitalismo cannibale.
Grazie a decenni di finanziarizzazione siamo arrivati a questo punto: una crisi generale dell’intero ordine sociale, ricco di contraddizioni di sistema, sostiene. Il capitalismo cannibale farebbe esplodere tutti i conflitti sulla Terra e altererebbe l’equilibrio di flora e fauna – nota bene: il registro apocalittico è dell’autrice. Che fare, dunque? Reinventare il rapporto tra produzione e riproduzione, tra potere pubblico e potere privato, tra società umana e natura non umana. Progetto ambizioso. Ma per fortuna (evviva!) che c’è il filosofo di Treviri, che pur screditato in tutti i modi dalla Storia, corre in soccorso. Nancy Fraser ammicca alle posizioni più autoritarie e populiste del Marxismo: la proprietà è un furto, i mezzi di produzione devono essere espropriati, etc. Sostiene che l’accumulazione procede attraverso lo sfruttamento. Il persistente legame del sistema con l’oppressione razziale abbia una base strutturale, afferma.
Di nuovo, il responsabile è il capitalismo – rivisto in chiave marxista come un sistema sociale che promuove il dominio di classe incentrato sullo sfruttamento del lavoro e dei lavoratori al fine di produrre prodotti. «L’espansione imperialista è strutturalmente essenziale al capitalismo»; e l’espropriazione è un «elemento strutturante del capitalismo». Essa è «un’accumulazione con altri mezzi, diversi cioè dallo sfruttamento. […] L’espropriazione agisce confiscando capacità umane e risorse naturali per poi trasferirle con la forza nei circuiti di espansione del capitale. […] Una volta espropriati, questi individui possono diventare dei proletari sfruttati, se sono fortunati, oppure finire tra i poveri, tra gli abitanti delle baraccopoli». Il capitalismo non è visto come un sistema di arricchimento generale che ha tolto dalle povertà milioni di persone. No, no … Nancy Fraser non ammette neppure la proprietà privata!
«In un sistema votato all’espansione illimitata e all’appropriazione privata del plusvalore i proprietari del capitale hanno un interesse profondo a confiscare lavoro e mezzi di produzione a popolazioni assoggettate. L’espropriazione aumenta i loro profitti abbassando i costi di produzione». Si abbandona allo sciovinismo puro. «Il nostro sistema sociale sta prosciugando le energie necessarie per prendersi cura delle famiglie, per mantenere gli aggregati domestici, per sostenere le comunità, per nutrire le amicizie, per costruire reti politiche e per forgiare solidarietà». Il capitalismo che «affama la popolazione per ingrassare le casse delle aziende, dirottando le risorse emotive e materiali che dovrebbero essere dedicate al lavoro di cura verso altre attività inessenziali». C’è un fondo di verità quando l’autrice parla di finanziarizzazione dell’economia che si auto-erode. Il libro è abbastanza ripetitivo, perché si sa già chi è il colpevole: sempre il capitalismo.
Responsabile del deterioramento della «precarietà dei mezzi di sussistenza e la negazione dei diritti del lavoro il disinvestimento pubblico dalla riproduzione sociale e la cronica sottovalutazione del lavoro di cura; l’oppressione etnica, razziale e imperialista e il dominio sessuale e di genere; la spoliazione, l’espulsione e l’esclusione dei migranti; la militarizzazione, l’autoritarismo politico e la brutalità della polizia». Verso la metà del libro, Nancy Fraser getta la maschera. Predica l’anticapitalismo che “dovrebbe” diventare il tema organizzativo principale di un nuovo senso comune. In che modo? In questo senso non si esclude il ricorso alla violenza. D’altronde, «le lotte intorno al rapporto tra economia e natura sono quindi inevitabilmente politiche». L’ecopolitica per salvare la “Natura II” deve essere anticapitalista. Tuttavia, l’autrice si scorda di rammentare che gran parte delle misure per difendere il pianeta vengono da attori che non disprezzano, come l’autrice, il capitalismo.
Poi Fraser fa marcia indietro: «La verità è che non abbiamo modo di sapere con certezza se il capitalismo, con la sua enorme inventiva, abbia qualche altro asso nella manica che possa scongiurare il riscaldamento globale». Da quando esiste, il capitalismo ha sempre creato soluzioni innovative che hanno migliorato le vite di milioni di persone. Questo non significa che sia perfetto o che non implichi contraddizioni inaccettabili. La critica al capitalismo finanziario è giusta, ma siamo sicuri di volere più Stato e controllo? L’autrice, da fiera marxista e con ben poca originalità, esige questo. Che lo Stato sorvegli e punisca. «Un’ecopolitica genuinamente anticapitalista deve smantellare l’imperativo strutturale che esige la valorizzazione del valore, affrontando al contempo la questione di come far crescere tutto il resto in modo sostenibile. Si tratta di un tema eminentemente politico, da dirimere attraverso la deliberazione democratica e la pianificazione sociale».
Pianificazione sociale: roba da brividi. Nancy Fraser auspica il ritorno del socialismo – come “preminente” alternativa al capitalismo. Verrebbe da dire: ancora? Dopo tutto l’imbarazzo, i fallimenti e i crimini del sistema pianificato? Fraser sogna una rivoluzione anticapitalistica omnicomprensiva: trasformare il modo di produzione, di riproduzione sociale, di interpretare il ruolo dello Stato. Esige un «un socialismo adatto al nostro tempo deve superare non solo lo sfruttamento del lavoro salariato da parte del capitale». La ricetta sembra essere: perché non provare, ancora una volta, con Marx? «Un sistema economico orientato verso l’accumulazione illimitata di plusvalore da parte di imprese private a scopo di lucro è intrinsecamente auto-destabilizzante. La spinta ad espandere il capitale aumentando la produttività attraverso il progresso tecnologico si traduce in periodiche cadute del tasso di profitto, nella sovrapproduzione di beni e nella sovraccumulazione di capitale».
Stoccatina finale: «Il capitalismo dipende dalle terre rubate, dal lavoro coatto, dai minerali saccheggiati e da aree razzializzate utilizzate come discariche di rifiuti tossici e come serbatoio di lavoratori sottopagati da impiegare nel settore della cura, sempre più organizzato in catene di cura globali. Il risultato è l’intreccio della crisi economica, ecologica e sociale con l’imperialismo e con l’antagonismo etnico-razziale». Prepariamoci allora alla società socialista, il sol dell’avvenire, la soluzione a tutti i mali. L’autrice pare piuttosto seria quando dice: «Una società socialista deve democratizzare il controllo sul surplus sociale. Deve allocare il surplus in modo democratico, scegliendo attraverso un processo decisionale collettivo. […] Il socialismo, quindi, deve de-istituzionalizzare l’imperativo della crescita, congenito alla società capitalista». Il colpevole del prossimo fallimento del socialismo sarà comunque – non si scappa – il capitalismo.
Amedeo Gasparini
www.amedeogasparini.com
Capitalismo malato, Nancy Fraser riabilita Karl Marx
Nancy Fraser si crede rivoluzionaria: per sconfiggere il “capitalismo cannibale” – dal titolo della sua opera, Capitalismo cannibale (Laterza 2023) occorre tornare a Karl Marx. Quel capitalismo che starebbe divorando la democrazia, il “senso di comunità” ed il pianeta. L’autrice ripercorre tutti i drammi contemporanei e addossa al sistema economico liberale tutte le colpe possibili e immaginabili. Ah, se ci fosse Marx! Ma Fraser fa sul serio. Adopera un tono critico e supponente nei confronti dell’economia di mercato e della società aperta. Intollerante e lapidaria nelle sue affermazioni ad effetto, intransigente e approssimativa nell’intento di confermare le sue tesi di estrema sinistra, l’autrice mette in chiaro subito le sue idee in merito alle sfide odierne. Debito schiacciante, lavoro precario, servizi in calo, infrastrutture fatiscenti e irrigidimento delle frontiere, violenza su base razziale, pandemie e condizioni meteorologiche estreme: il colpevole è il capitalismo cannibale.
Grazie a decenni di finanziarizzazione siamo arrivati a questo punto: una crisi generale dell’intero ordine sociale, ricco di contraddizioni di sistema, sostiene. Il capitalismo cannibale farebbe esplodere tutti i conflitti sulla Terra e altererebbe l’equilibrio di flora e fauna – nota bene: il registro apocalittico è dell’autrice. Che fare, dunque? Reinventare il rapporto tra produzione e riproduzione, tra potere pubblico e potere privato, tra società umana e natura non umana. Progetto ambizioso. Ma per fortuna (evviva!) che c’è il filosofo di Treviri, che pur screditato in tutti i modi dalla Storia, corre in soccorso. Nancy Fraser ammicca alle posizioni più autoritarie e populiste del Marxismo: la proprietà è un furto, i mezzi di produzione devono essere espropriati, etc. Sostiene che l’accumulazione procede attraverso lo sfruttamento. Il persistente legame del sistema con l’oppressione razziale abbia una base strutturale, afferma.
Di nuovo, il responsabile è il capitalismo – rivisto in chiave marxista come un sistema sociale che promuove il dominio di classe incentrato sullo sfruttamento del lavoro e dei lavoratori al fine di produrre prodotti. «L’espansione imperialista è strutturalmente essenziale al capitalismo»; e l’espropriazione è un «elemento strutturante del capitalismo». Essa è «un’accumulazione con altri mezzi, diversi cioè dallo sfruttamento. […] L’espropriazione agisce confiscando capacità umane e risorse naturali per poi trasferirle con la forza nei circuiti di espansione del capitale. […] Una volta espropriati, questi individui possono diventare dei proletari sfruttati, se sono fortunati, oppure finire tra i poveri, tra gli abitanti delle baraccopoli». Il capitalismo non è visto come un sistema di arricchimento generale che ha tolto dalle povertà milioni di persone. No, no … Nancy Fraser non ammette neppure la proprietà privata!
«In un sistema votato all’espansione illimitata e all’appropriazione privata del plusvalore i proprietari del capitale hanno un interesse profondo a confiscare lavoro e mezzi di produzione a popolazioni assoggettate. L’espropriazione aumenta i loro profitti abbassando i costi di produzione». Si abbandona allo sciovinismo puro. «Il nostro sistema sociale sta prosciugando le energie necessarie per prendersi cura delle famiglie, per mantenere gli aggregati domestici, per sostenere le comunità, per nutrire le amicizie, per costruire reti politiche e per forgiare solidarietà». Il capitalismo che «affama la popolazione per ingrassare le casse delle aziende, dirottando le risorse emotive e materiali che dovrebbero essere dedicate al lavoro di cura verso altre attività inessenziali». C’è un fondo di verità quando l’autrice parla di finanziarizzazione dell’economia che si auto-erode. Il libro è abbastanza ripetitivo, perché si sa già chi è il colpevole: sempre il capitalismo.
Responsabile del deterioramento della «precarietà dei mezzi di sussistenza e la negazione dei diritti del lavoro il disinvestimento pubblico dalla riproduzione sociale e la cronica sottovalutazione del lavoro di cura; l’oppressione etnica, razziale e imperialista e il dominio sessuale e di genere; la spoliazione, l’espulsione e l’esclusione dei migranti; la militarizzazione, l’autoritarismo politico e la brutalità della polizia». Verso la metà del libro, Nancy Fraser getta la maschera. Predica l’anticapitalismo che “dovrebbe” diventare il tema organizzativo principale di un nuovo senso comune. In che modo? In questo senso non si esclude il ricorso alla violenza. D’altronde, «le lotte intorno al rapporto tra economia e natura sono quindi inevitabilmente politiche». L’ecopolitica per salvare la “Natura II” deve essere anticapitalista. Tuttavia, l’autrice si scorda di rammentare che gran parte delle misure per difendere il pianeta vengono da attori che non disprezzano, come l’autrice, il capitalismo.
Poi Fraser fa marcia indietro: «La verità è che non abbiamo modo di sapere con certezza se il capitalismo, con la sua enorme inventiva, abbia qualche altro asso nella manica che possa scongiurare il riscaldamento globale». Da quando esiste, il capitalismo ha sempre creato soluzioni innovative che hanno migliorato le vite di milioni di persone. Questo non significa che sia perfetto o che non implichi contraddizioni inaccettabili. La critica al capitalismo finanziario è giusta, ma siamo sicuri di volere più Stato e controllo? L’autrice, da fiera marxista e con ben poca originalità, esige questo. Che lo Stato sorvegli e punisca. «Un’ecopolitica genuinamente anticapitalista deve smantellare l’imperativo strutturale che esige la valorizzazione del valore, affrontando al contempo la questione di come far crescere tutto il resto in modo sostenibile. Si tratta di un tema eminentemente politico, da dirimere attraverso la deliberazione democratica e la pianificazione sociale».
Pianificazione sociale: roba da brividi. Nancy Fraser auspica il ritorno del socialismo – come “preminente” alternativa al capitalismo. Verrebbe da dire: ancora? Dopo tutto l’imbarazzo, i fallimenti e i crimini del sistema pianificato? Fraser sogna una rivoluzione anticapitalistica omnicomprensiva: trasformare il modo di produzione, di riproduzione sociale, di interpretare il ruolo dello Stato. Esige un «un socialismo adatto al nostro tempo deve superare non solo lo sfruttamento del lavoro salariato da parte del capitale». La ricetta sembra essere: perché non provare, ancora una volta, con Marx? «Un sistema economico orientato verso l’accumulazione illimitata di plusvalore da parte di imprese private a scopo di lucro è intrinsecamente auto-destabilizzante. La spinta ad espandere il capitale aumentando la produttività attraverso il progresso tecnologico si traduce in periodiche cadute del tasso di profitto, nella sovrapproduzione di beni e nella sovraccumulazione di capitale».
Stoccatina finale: «Il capitalismo dipende dalle terre rubate, dal lavoro coatto, dai minerali saccheggiati e da aree razzializzate utilizzate come discariche di rifiuti tossici e come serbatoio di lavoratori sottopagati da impiegare nel settore della cura, sempre più organizzato in catene di cura globali. Il risultato è l’intreccio della crisi economica, ecologica e sociale con l’imperialismo e con l’antagonismo etnico-razziale». Prepariamoci allora alla società socialista, il sol dell’avvenire, la soluzione a tutti i mali. L’autrice pare piuttosto seria quando dice: «Una società socialista deve democratizzare il controllo sul surplus sociale. Deve allocare il surplus in modo democratico, scegliendo attraverso un processo decisionale collettivo. […] Il socialismo, quindi, deve de-istituzionalizzare l’imperativo della crescita, congenito alla società capitalista». Il colpevole del prossimo fallimento del socialismo sarà comunque – non si scappa – il capitalismo.
Amedeo Gasparini
www.amedeogasparini.com