Commento

Carlo Rosselli, il percorso tra lotta e libertà in Italia

Socialismo liberale di Carlo Rosselli è un pilastro fondamentale sia per il pensiero socialista che per quello liberale; uno dei testi politici più significativi del Novecento italiano. L’opera si distingue per la sua capacità di mettere in discussione sia il pensiero marxista che il conservatorismo liberale borghese. E propone, al contempo, una nuova direzione per un socialismo umanitario e liberale che l’autore, forse con una dose di utopismo e ingenuità, immaginava per l’Italia. Il settimo capitolo dell’opera è cruciale per comprendere il rapporto dell’Italia con la tradizione liberale e chiarisce perché il movimento operaio italiano non si sia mai veramente distaccato dall’influenza marxista. L’autore inizia affermando che la questione italiana è essenzialmente una questione di libertà, di indipendenza spirituale e di emancipazione della coscienza nella dimensione individuale. «Senza uomini liberi, nessuna possibilità di Stato libero».

Carlo Rosselli osserva come gli italiani tendano spesso a privilegiare l’orgoglio personale rispetto allo sviluppo di una vera personalità. Nella loro vita interiore, sostiene l’autore, sono influenzati dall’educazione cattolica e dalla tradizione commerciale, mentre la povertà diffusa ha contribuito a un certo rilassamento morale. Di conseguenza, il ricorso a figure salvifiche esterne – dal domatore al pontefice, dal nobile al sovrano, dal duce al leader carismatico – corrisponde spesso a una necessità psicologica profondamente radicata negli italiani. Applicando questa analisi al suo tempo, Rosselli esamina il regime fascista. Spiega come il governo fascista sia tutt’altro che rivoluzionario, rappresentando invece un ritorno alla tradizione reazionaria e procedendo lungo il percorso della minima resistenza. Il fascismo, secondo Rosselli, è pura apparenza, l’esperimento più passivo della storia italiana, un immenso rigurgito di secoli passati. Un reazionarismo riciclato.

Da generazioni, infatti, gli italiani si sono piegati a ogni forma di dominio. La storia italiana non ha mai conosciuto una vera rivoluzione popolare. Il popolo italiano ha prodotto solo punte di eccellenza isolate, altissime e inaccessibili, costituite da minoranze eroiche dal carattere indomito. Ma non è mai riuscito a realizzare il proprio potenziale. L’Italia, scrive Carlo Rosselli, è la grande assente nelle guerre di religione, che furono il terreno fertile per lo sviluppo del liberalismo e segnarono la nascita dell’individuo moderno. Il cattolicesimo italiano, corrotto dall’influenza della corte romana, rimase estraneo al processo della Riforma. Ciò mantenne il paese distante dalle grandi correnti del pensiero europeo. La lotta per l’indipendenza fu guidata da una minoranza che la impose alla maggioranza dall’alto. Lo Stato del 1861 non fu federale, ma centralistico. Non ci fu che conquista delle libertà superficiale – e in specie al Nord.

Il proletariato, analizza Rosselli, fu assente, le masse furono assenti, i lavoratori non conquistarono i diritti fondamentali di sciopero, voto e organizzazione. Non sorprende che l’edificio liberale sia crollato al primo urto del fascismo e dall’orgoglio dispotico di un dittatore che riportava l’Italia alla sua dimensione ancestrale. Ovverosia, quella delle lotte interne e del controllo dall’alto. Il fascismo rappresenta per Rosselli la borghesia che ricorre alla violenza per opporsi all’ascesa del proletariato. Non è solo forza bruta, perché la forza bruta da sola non trionfa mai. Il fascismo «ha trionfato perché ha saputo toccare con maestria certe corde alle quali la psicologia media degli italiani era particolarmente sensibile. Il fascismo è stato, in un certo senso, l’autobiografia di una nazione che rinuncia alla lotta politica, che venera l’unanimità, che fugge dal dissenso».

La libertà politica e spirituale, scrive Rosselli, dev’essere sia lo strumento che la premessa indispensabile per la battaglia contemporanea. Carlo Rosselli esorta il popolo italiano, le masse, alla lotta rivoluzionaria in nome del principio della libertà, ponendosi in netto contrasto con l’approccio marxista che invece la conduceva in nome dell’uguaglianza e attraverso la violenza. L’autore auspicava un rinnovamento del socialismo che fosse fondato e radicato nella libertà, che combattesse per la libertà stessa. Sosteneva la necessità di una profonda revisione in Italia del socialismo, dei suoi programmi, dei movimenti e dei partiti che si rifacevano a questo concetto. Auspicava – ed è importante sottolinearlo anche oggi, allorquando lo statalismo non è mai passato di moda – che ci si basasse sulla realtà economica e psicologica del paese, sostituendo il vecchio programma statalista con un programma più ampio, finalizzato a obiettivi liberali anche in ambito economico.

Amedeo Gasparini

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