“Chi ha paura di Virginia Woolf?” di Antonio Latella al LAC
Martedì 29 e mercoledì 30 marzo, alle ore 20.30, va in scena al LAC Chi ha paura di Virginia Woolf? di Antonio Latella, testo iconico del triplice premio Pulitzer Edward Albee che, dopo il debutto a Broadway datato 1962 è stato rappresentato in tutto il mondo, diventando un classico del teatro contemporaneo, oltre che un film diretto da Mike Nichols interpretato da Elizabeth Taylor e Richard Burton.
La storia delle due coppie di coniugi americane ha spiazzato il pubblico borghese degli anni ’60 svelando frustrazioni, ipocrisie e contraddizioni del ceto medio; Latella lo allestisce avvalendosi della nuova traduzione di Monica Capuani, e dirige con un cast importante con Sonia Bergamasco e Vinicio Marchioni, in scena accanto ai giovani e talentuosi Ludovico Fededegni e Paola Giannini.
Il celebre testo racconta la storia di un amore disperato e violentissimo che precipita in un vorticoso gioco al massacro. Due coniugi di mezza età, Martha e George, invitano a cena Nick, giovane collega di George, e sua moglie Honey; mentre il tasso alcolico della serata sale, i quattro vengono trascinati in una specie di “gioco della verità”, un labirinto di parole che porta le due coppie a mettersi a nudo, svelando il fondo oscuro dei loro sentimenti, mostrando i retroscena del rapporto tra moglie e marito. Un gioco ironico a partire dal titolo, che rimanda a una nenia per bambini “Chi ha paura del lupo cattivo?”, un lupo pronto a punirci nel momento in cui non stiamo alle regole. Il regista parte dall’analisi del testo: «un testo realistico, ma che diventa visionario per la potenza del linguaggio, per la maniacalità della punteggiatura e per la visionarietà, dovuta ai fumi dell’alcool e alle vertiginose risate che divorano e fagocitano i protagonisti. Albee – prosegue Latella – nel rifuggire ogni sentimentalismo, applica una personale lente di ingrandimento al linguaggio che sente parlare intorno a sé, ne svela i meccanismi di ripetizione a volte surreali che portano ad uno svuotamento di significato, ma come spesso accade in questo testo, parallelamente mostra come il linguaggio sia un’arma efferata per attaccare e ridurre a brandelli l’involucro in cui ciascuno di noi nasconde la propria personalità e le proprie debolezze».