“L’educazione culturale e artistica sviluppa la sensibilità e la creatività nonché la capacità espressiva e comunicativa di bambini e giovani: un vantaggio comparativo per costruire, oggi e domani, relazioni in novative e costruttive nei confronti dell’ambiente in cui vivono”… Sono le parole del manifesto Arte & educazione per un salto quantitativo e qualitativo dell’educazione culturale e artistica nel sistema educativo svizzero, lanciato il 17 giugno 2010 in occasione di un simposio nazionale organizzato dalla Commissione svizzera per l’Unesco in presenza di oltre duecento rappresentanti della cultura, dell’educazione, della politica. Da qui è partito l’incontro su Scuola e Cultura che si è svolto ieri alla Scuola Cantonale di Commercio di Bellinzona, promosso dal TASI (Teatri Associati Scena Indipendente), in collaborazione con l’Osservatorio Culturale del Canton Ticino.
Tema fondamenta, evidentemente, per la formazione e la crescita di cittadini colti, sensibili, consapevoli. Dovrebbe essere parte essenziale del percorso scolastico. Avvicinare i ragazzi, in base alla fascia d’età e indipendentemente dalla classe sociale d’appartenenza, alle diverse discipline del campo culturale, come fruitori (di mostre, spettacoli, concerti…), ma coinvolgerli anche nel “fare”, attraverso laboratori, atelier dimostrativi di ogni fase dell’arte, qualsiasi essa sia, rafforza la loro personalità, migliora le competenze interdisciplinari, non sottrae tempo agli studi (come potrebbero pensare alcuni docenti e genitori) ma anzi rende questi più produttivi. Non è solo una pagina di un libro del programma, ma in gioco vengono messi tutti i sensi, la capacità di saper ascoltare e vedere, di toccare, di sentire, di agire con il proprio corpo, di scoprire sé e l’altro. Un mezzo d’integrazione, dunque.
Altrove, nel nostro paese, ci sono altri approcci, altre risorse. Da noi le compagnie storiche del territorio, fin dall’inizio, si sono impegnate in questa direzione, ma è sempre stata una lotta spesso perdente, a fronte anche dei budget ridotti delle scuole, per un tipo di attività considerata a torto marginale. Mancano coordinamento e volontà tanto politiche quanto individuali. Oggi c’è il LAC, con i suoi progetti nell’ambito “edu” e di mediazione, che però agiscono soprattutto nel luganese e in questo modo si creano disparità regionali.
Introdotte da Silvano Mozzini, Ass. Generarti TI e dir. Artistica Carambole Performing Arts di Zurigo, sino sono avvicendate dunque testimonianze di qui e del Nord. Beat Krebs (responsabile di Schule&Kultur) ha portato l’esperienza del Cantone di Zurigo, un modello di divulgazione culturale a cui fare riferimento ma anni luce lontano dal nostro contesto, come struttura, come approccio politico, come sostegni finanziari, come mentalità stessa. Intanto si parte da un articolo di legge, poi l’investimento di questo genere di attività è di 1, 8 milioni di franchi e questo permette prezzi d’ingresso ridotti alle diverse iniziative. Come un albero, la cultura ha bisogno di essere costantemente nutrita. La collaborazione con le istituzioni è stretta ed efficace, gli stessi artisti sono arruolati in qualità di divulgatori, perché esemplifichino i loro talenti, gli aspetti tecnici e trasmettano passione ed entusiasmo. A tutto tondo: conferenze, incontri con scrittori, esperienze dal vivo, concerti da seguire a teatro ma anche portati nelle scuole, persino uno studio di registrazione mobile con il quale gli studenti possano cimentarsi. E così anche per il cinema: allievi che provano se stessi come registi o sceneggiatori. Quello che più piace ai giovani: smontare una macchina, rimontarla, vedere come funziona… Visite negli atelier permettono di vivere in prima persona la creazione dell’arte. E poi anche festival dedicati, non solo come spettatori ma proprio come “attori”. Insomma, una struttura che funziona con sovvenzioni che riducono i costi, distribuiti tra Cantone e le stesse scuole. Più un evento, un’attività è costosa, più viene sovvenzionata. Un percorso avviato fin dagli anni ’80 e che ebbe una svolta strutturale dal 2002.
Tutto questo fa risultare ancora più sconfortante la nostra situazione. Vania Luraschi, pioniera svizzero italiana nel campo della relazione tra giovani, scuola e teatro, formazione non a caso di pedagoga, ha raccontato come il suo rapporto diretto in ambito scolastico sia iniziato una ventina di anni fa quando si trovava disoccupata e ricevette l’invito a tenere corsi di animazione teatrale in una scuola professionale, corsi facoltativi che poi vennero inseriti nel piano di studi, un caso unico per noi nel Ticino.
Ma c’è un concetto che ribadisce spesso e anche in questa occasione: portando in continuazione bambini e poi anche i più grandicelli a teatro, organizzando festival proprio dedicati a loro, non si crea affatto il pubblico di domani. “non ho mai visto uno di quei bambini frequentare il teatro da adulto”… Magari tornano con i figli, ma nel frattempo si perdono.
Una pia illusione dunque che si formi in questo modo lo spettatore, ci vuole altro, come insegna l’esperienza di Zurigo. Manca coordinamento, manca una struttura che investa fin dalle primarie e non bastano certo gli spettacoli che le compagnie locali riescono a realizzare con poche repliche. Della sezione per piccoli si occupa oggi in particolare un’altra figura storia della compagnia Pan, Cinza Morandi che ha illustrato alcuni progetti, sostenuto dalla Confederazione, come Forum Teatro che coinvolge le scuole professionali, allievi e docenti.
Ma nel campo della scuola, in senso generale, è chiaro che dipende dalla direzione dei singoli istituti e dagli insegnanti. Ci sono quelli sensibili alla tematica del rapporto diretto, in questo caso, con il teatro, che può fare da ponte verso la società e le sue problematiche e coloro che non mostrano interesse.
Da parte sua, come voce locarnese, Stefania Mariani, artista indipendente (Stage Photography) ha parlato della sua esperienza con spettacoli piccoli offerti alle scuole, magari solo con 2 o 3 attori, anche se dietro c’è tutta una troupe di professionisti, o con progetti portati in luoghi “sensibili”, grazie ai buoni rapporti stabiliti con alcune istituzioni del territorio, come il Museo Hesse di Montagnola, il Monte Verità o il Teatro del Gatto. Non c’è un’apertura invece, da parte del Teatro di Locarno, che per le recite dedicate alle scuole preferisce coinvolgere compagnie italiane, con il pregiudizio che siano “migliori”. Si crea così una concorrenza discriminante che mette all’angolo gli artisti della regione (la stessa situazione è denunciata ad esempio dal Teatro Paravento, un’altra compagnia impegnata sul fronte educativo-artistico).
Non si tratta solo di far lavorare i nostri artisti ma di creare un legame con il luogo di riferimento che i gruppi esteri, in tournée, non possono assicurare, un legame che non consiste solo nel far vedere gli spettacoli, ma nel coinvolgere gli allievi nella creazione, dalla scrittura all’esperienza del palco. Artisti, docenti, studenti, istituzioni pubbliche che possano sostenere finanziariamente… Ma il nostro panorama offre una realtà discontinua, priva di una visione politica coerente e affidata piuttosto alla buona volontà dei singoli.
Un altro apporto alla discussione è stato proposto da Hans Henning Wulf, responsabile del settore Teatro Educazione dell’Accademia Teatro Dimitri. Ha raccontato dei molti progetti, a tutti i livelli, di spettacoli e laboratori, che si rivolgono sia agli allievi sia ai docenti e la visione di un insegnamento organico che mette in gioco tutti i sensi. Ma anche in questo caso ci si scontra con sensibilità diverse e scarsità di risorse economiche da parte delle scuole.
E poi c’è il LAC con la mediazione culturale che, con la sua struttura interdisciplinare, come ha spiegato Isabella Lenzo Massei, esprime di tutto, dalle visite guidate, a differenti tipi di laboratorio, alla fruizione in ogni settore, musica, arte, teatro, danza, offerta a prezzi ridotti. Coinvolgendo per progetti o coproduzioni anche compagnie locali. Contando anche sul sostegno di sponsor. La difficoltà resta nel coordinamento, nell’arrivare alle scuole (ci si rivolge a quelle di tutto il Cantone ma un problema, anche in ambito finanziario, resta il trasporto che è a carico dei partecipanti).
Ha concluso la serie di interventi Roland Hochstrasser per l’Osservatorio culturale del Canton Ticino che ha spiegato un po’ come funziona questa branchia del DECS, di creazione relativamente recente e che promuove iniziative volte ad approfondire la conoscenza del territorio o a scoprilo, ha compiti divulgativi, fa conoscere istituzioni culturali pubbliche come archivi, biblioteche o il Centro di dialettologia attraverso fisiche visite guidate, ma anche con il portale Sàmara, ha una banca dati degli operatori culturali, l’agenda culturale quotidiana che seleziona gli eventi tra le migliaia di proposte (circa 9000 all’anno!), ricerche statistiche, quella attualmente avviata riguarda la lettura.
Brillanti assenti gli insegnanti di cui sarebbe stato interessante sentire la voce, si spera in una prossima volta per una problematica che resta aperta, pur negli sforzi degli ultimi anni. E allora, come si dice, affaire à suivre…
Manuela Camponovo