Nello splendido contesto di Villa Saroli a Lugano, la sede della neonata Casa della Letteratura della Svizzera Italiana, si è tenuto ieri sera un interessante incontro con lo scrittore e sceneggiatore italiano Claudio Piersanti che, in dialogo con il giornalista ticinese Pierre Lepori, ha presentato in anteprima svizzera il suo ultimo romanzo: La forza di gravità (Feltrinelli, 2018).
L’avvertito Lepori – lo si ricorda, oltre che giornalista è scrittore, drammaturgo, regista e critico teatrale – ha giustamente presentato Piersanti come uno dei più innovativi scrittori dell’ultimo ventennio, capace, insieme ad autori a lui affini come Romano Bilenchi, Natalia Ginzburg e Goffredo Parise, di andare contro corrente e tracciare un solco significativo nella storia della letteratura italiana. La forza di gravità sembra andare in questa direzione: romanzo sociale, politico e realista, a tratti sfocia nel realismo magico (l’influenza, in questo caso, si rintraccia in José Saramago e Elias Canetti), e non mancano eruditi richiami letterari e celati riferimenti a persone realmente esistite.
Ambientato in una anonima metropoli – Piersanti pensava in particolare a Roma – vede protagonisti una giovane ragazza, indifesa ma ambiziosa, e un anziano professore, che ha una visione nichilista della vita. Serena, la ragazza di periferia, ritrova presto nel professore un maestro; questi le trasmette il suo metodo, volto ad approfondire ogni conoscenza, e le offre degli insegnamenti sulla vita: la prepara al dolore e all’abbandono. I due passano il loro tempo a leggere di scienza e neuropsichiatria, ma – avverte Piersanti – il romanzo «non è un libro neopositivista che esalta la cultura scientifica», piuttosto, si intende sottolineare l’importanza di essere informati e della conoscenza in generale, in ogni suo aspetto.
Il professore, lo si accennava, ha sì una visione disincantata della vita, ma è anche un rivoluzionario; arriverà persino a costruire una vera e propria ghigliottina per metterla davanti al Palazzo di Giustizia; un gesto simbolico, questo, che gli costerà però l’appellativo di folle e un trattamento sanitario all’interno di una struttura, dalla quale sarà Serena a salvarlo. È «un rivoluzionario con antidoti», commenta Piersanti, perché il professore conosce benissimo i rischi delle sue azioni e gli errori che andrà a compiere; tuttavia, la sensazione a lui più insopportabile è quella di non poter mutare le cose. La sua scelta di agire è dunque fine a sé stessa, non mira a un obiettivo particolare, ma semplicemente ad opporsi (lo stesso scrittore, che si sente distante dalla politica da 40 anni, nei suoi anni giovanili trascorsi a Bologna sentiva proprio questa necessità).
Nel romanzo figurano altri due personaggi, dai nomi “parlanti”, Maria Assenza e Ottavio Celeste. Quest’ultimo, insieme al folle e saggio professore e alla solitaria ragazza, è il “prodotto” della metropoli, spazio dove si sommano e riuniscono i fallimenti degli uomini e del mondo, ove impera una solitudine disumana e figurano sempre più alienati. Ottavio Celeste è uno schizofrenico, un folle che parla da solo, e che nonostante questo affascinerà la giovane Serena. L’unica storia d’amore del romanzo è però tra lei e Vittorio; liaison che resta piuttosto marginale e, confida lo stesso Piersanti, è nata da un’esigenza editoriale, più che da una sua precisa scelta.
Nel corso del romanzo la follia del professore prende sempre più il sopravvento, e la si coglie in particolare in quello splendido discorso che lo stesso intrattiene con Fox, uno dei cani che Serena era solita fare passeggiare. Il professore discorre sulla “forza di gravità”, quell’energia negativa che porta inesorabilmente verso il basso; per sfuggire a questa forza bisogna elevarsi e fregarsene delle leggi di natura. Il professore, forse per vincere tale forza, o perché in preda ai suoi tormenti, nel finale decide di darsi alla fuga, lasciando così il romanzo con un finale aperto.
Nel Magazine del 25 maggio Michele Fazioli, per la sua rubrica Millelibri, recensirà La forza di gravità di Claudio Piersanti.
Lucrezia Greppi