Recensione

Conflitto di culture con drone

 

Anche la seconda rappresentazione della rassegna MAT, Ritratto di donna araba che guarda il mare, fa parte del progetto transfrontaliero Viavai+. Suggestiva la particolarità tecnica dello spettacolo che amplificando una sorta di plastico su un supporto girevole, attraverso una telecamera e la proiezione sullo schermo-fondale, crea la scenografia virtuale di ambienti, esterni, interni, in un bianco villaggio di un simbolico territorio dell’Africa settentrionale. In primo piano quattro personaggi, soprattutto il confronto tra l’uomo europeo, lo straniero e la donna indigena, un conflitto culturale che mette in luce i pregiudizi di ambo le parti, le differenze e le incomprensioni dovute non solo alla lingua, ma anche ai gesti, al modo di muoversi, oltre che di concepire il mondo. E questo comporta fraintendimenti continui voluti e non voluti, il mentire e riportare i fatti, mediati dalla traduzione di straniata terza persona, con versioni opposte. La donna è sulla difensiva, si sente attaccata, guardata, inseguita (o vuole esserlo), l’uomo nega, chiama coincidenze i loro continui incontri. Ma poi dividono una camera da letto e qui non siamo più tanto sicuri che si tratti solo di uno scontro interculturale, perché la donna pretende di più, di essere portata nel mondo dell’uomo, il quale d’altra parte non intende impegnarsi, ma solo soddisfare un’avventura. Allora entrano in gioco i fratelli di lei, il minore, il buono, che avverte lo straniero del pericolo, della minaccia da parte dei barbari e il maggiore, al quale la ragazza ha raccontato, vendicativa, un’altra versione, quella della vittima. La tensione sale fino all’esito tragico. Il potente, il dominante ucciderà il debole, ma è l’intera comunità che lo incastra e lo giudicherà.

Il testo di Davide Carnevali, adattato dal regista Claudio Autelli, mette in risalto un microcosmo per affrontare l’universalità dell’eterne tematiche Nord-Sud, uomo-donna, l’arrivo dello straniero che scompiglia le leggi e le abitudini del luogo, i divieti atavici, forse in maniera un po’ troppo schematica e non aiuta la recitazione di Alice Conti, Michele Di Giacomo, Giacomo Ferraù, Noemi Bresciani, non sempre calibrata. Ma è l’originalità tecnica che porta ad immergere lo spettatore nel luogo e negli ambienti, nel biancore di quella città antica, tra le piazze e i vicoli, nelle stanze o in riva al mare, in un tempo-non tempo dove a trionfare è l’impossibilità del dialogo, di un rapporto, non essendoci né lingua né pensiero comuni.
La pièce andrà in scena anche al Teatro Sociale di Bellinzona, giovedì 29 novembre. Questi rimandi di replica non sono ormai più una rarità. Si è capita la necessità di collaborazione tra le differenti stagioni, che è un arricchimento e un vantaggio, contando anche su una diversità di pubblico.

Manuela Camponovo

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