Il secondo tomo della trilogia su Franz Kafka di Reiner Stach – Kafka. Gli anni delle decisioni (il Saggiatore 2024) – ripercorre la luminosità del genio dello scrittore praghese nell’ombra dell’insuccesso. Il volume parte dal primo decennio del Novecento. L’attività nel negozio di famiglia non lo appassiona, mentre il lavoro d’ufficio risulta essere meccanico e privo di soddisfazione. Le circostanze esterne della vita gli sembrano solo incidenti di percorso che lo distraggono dal suo unico obiettivo: scrivere. Tra il 1910 e il 1915 emerge una consapevolezza letteraria di Kafka. Sono anche gli anni di una storia d’amore straziante, incompiuta come le sue opere, con Felice Bauer. Anni in cui si definisce il rapporto con la famiglia, l’ebraismo e la salute del corpo. La vita di Kafka è durata quarant’anni e undici mesi. Di questi, sedici anni li ha spesi tra scuola e università; quindici nella vita lavorativa.
Oltre ad alcune escursioni nel fine settimana, Kafka trascorse circa quarantacinque giorni all’estero. Ha visitato Berlino, Monaco, Zurigo, Parigi, Milano, Venezia, Verona, Vienna. Ha visto tre mari: quello del Nord, il Baltico e l’Adriatico. Non si è mai sposato. Non ha lasciato discendenti. Oggi, le opere che Kafka considerava complete ammontano a circa 350 pagine. Ma lo scrittore ha generato circa 3.400 pagine di appunti, diari e frammenti letterari. Non si contano gli innumerevoli quaderni che Kafka stesso ha distrutto o le lettere – che oggi sono circa 1.500. Le epistole di Kafka ruotano attorno ai parametri della felicità: salute, attività sessuale, vita familiare, divertimento, avventure, indipendenza e realizzazione professionale. Kafka non viveva ai margini della società, come si crede; non amava la sua professione. Tutto ciò che possedeva è stato consumato dalla malattia e dall’iperinflazione. Tutti i suoi progetti letterari che superavano la portata di una storia fallivano.
Il suo piano di scrivere un’autobiografia non è mai stato realizzato. Nei diari Kafka evoca spesso l’immagine di un abisso interiore. Ad oggi, non c’è approccio metodologico che non sia stato utilizzato per interpretare l’opera di Kafka. Le opere su di lui, decisamente oltre ogni ragionevole quantità, sembrano elementi di una industria fine a se stessa. Eppure, Kafka ricorda Stach, ci ha insegnato ad essere modesti ed empatici. Due caratteristiche che fece proprie sin dalla sua vita in famiglia. Stach inizia il volume con casa Kafka. La sua piccola stanza non riscaldata ed era mal posizionata. Era tra la camera da letto dei suoi genitori e il soggiorno. La voce tonante di Hermann Kafka risuonava in tutto l’appartamento. L’atmosfera poco ospitale della routine di casa lo faceva riflettere sempre di più su come porre fine a questa situazione. Apprezzava il lusso di avere il proprio bagno, rispettando rigorosi standard igienici.
A volte i suoi genitori viaggiavano a Franzensbad per una settimana. La sua abilità di scrittura si rivelò utile per l’Istituto dove lavorava. Quando le persone lo rimproveravano per condurre una vita irragionevole, ribatteva che era più salutare di quella di chiunque altro. Faceva passeggiate, nuoto ed escursioni, non fumava né beveva. Evitava tè, caffè e grassi animali. Quando tornava a casa da una passeggiata, la famiglia restava sbalordita nell’apprendere che era corso fino a villaggi così remoti che chiunque altro avrebbe preso il treno. Ottilie David, sua sorella più giovane, era l’unica che guadagnava la fiducia del fratello. Poco istruita, lavorava nel negozio del padre e Kafka cercava di sostenerla. Le raccomandava libri, le portava notizie sulla vita culturale a Praga. Grazie a Kafka, anche Ottilie divenne vegetariana. E trascorse le sue domeniche in un istituto per non vedenti, dove leggeva ad alta voce.
Ritorna, anche in questo volume, la tematica della sessualità di Kafka. Che non ebbe meno “incontri” rispetto agli altri uomini della sua età. La speranza era che la sua attività nei bordelli impedisse al desiderio sessuale di diventare un punto focale nel matrimonio, scrive Stach. L’amico Max Brod era apertamente promiscuo, mentre Felix Weltsch era celibe. «L’infelicità del celibe», annotò nel suo diario. Legato al sesso, anche la questione del corpo. «Non si può ottenere nulla con un corpo come questo». Kafka si considerava fragile, instabile e logorato dalle tensioni continue. Un giovane, ma vecchio celibe sotto forma di bambino incapace di affrontare i cambiamenti imposti dalla vita. La paura di rimanere solo fino alla fine si trasformò nella certezza che non sarebbe stato in grado di evitare questo destino. Estimatore di Gustave Flaubert, lo era di più per Wolfgang Goethe, di cui visitò con Brod la casa a Weimar.
La Palestina, che Brod non aveva mai seriamente contemplato di vedere con i propri occhi, era nei pensieri di Kafka, che solitamente era invece tormentato dai dubbi. Improvvisamente dichiarò di essere pronto ad andarci. E magari con Felice. Con cui non fu amore a prima vista. Talvolta si comportava come un liceale innamorato, scrive Stach. Felice incarnava la nuova categoria sociologica della donna in carriera. Pragmatica, diretta e sempre radicata nella realtà. Le lettere dello scrittore a Felice sono un documento importantissimo per capire l’uomo Kafka. La compattezza linguistica e l’intensità auto-riflessiva del volume non hanno paralleli in alcuna corrispondenza esistente, scrive Stach. Le lettere sono emerse tardi: Bauer le aveva vendute per ottomila dollari. Nel 1967, anni dopo la sua morte, fu pubblicata la prima edizione. Non ci sono le risposte di Bauer, che Kafka non ha conservato, conferendo al corpus il carattere di un monologo.
Kafka, che ha sempre cercato vicinanza, preferiva il medium lento e impegnativo dello scambio di lettere. Era riluttante ad usare il telefono, soprattutto con le donne, anche se questo mezzo offriva in maggior misura l’illusione della presenza fisica. Prese anche la precauzione di chiudere a chiave le lettere di Felice in un cassetto della scrivania e di portare con sé la chiave. Probabilmente Brod era l’unico con cui Kafka si sentiva a suo agio nel confidare le fantasie autodistruttive che lo tormentavano. La burocrazia, l’alienazione, l’anonimato sono parole d’ordine familiari della critica e facevano parte degli strumenti necessari per l’interpretazione di Kafka negli anni Sessanta. Le questioni che scatenavano accesi dibattiti ideologici all’epoca oggi sembrano stancanti ai lettori contemporanei. Stach scrive che oggi ci chiediamo se Kafka intendesse raffigurare l’erosione dell’individuo borghese sopraffatto dalle strutture sociali. Di interpretazioni sui messaggi dello scrittore ce ne sono molteplici.
L’ascetismo era una parola magica per Kafka, un intricato complesso di immagini, paradigmi culturali, idiosincrasie, paure e tecniche psicologiche che incorporava nei suoi pensieri e sentimenti e che gradualmente faceva diventare un punto focale della sua identità. Aveva una favolosa capacità innata di ascetismo. L’ascetismo non è austerità fine a se stessa. Un processo di auto-regolazione e auto-formazione basato sull’utopica idea di ottenere il completo controllo sul proprio corpo, sé e vita, scrive Stach. Tutti gli interessi, le abitudini e le inclinazioni di Kafka venivano modificati di conseguenza. Stach fa anche un parallelo con Robert Musil. Lui e Kafka erano entrambi impiegati pubblici, uno in una compagnia assicurativa a Praga, l’altro in una biblioteca universitaria a Vienna. Entrambi soffrivano di disturbi psicosomatici, entrambi erano annoiati e scoraggiati da quanto la noia potesse diventare uno stile di vita, scrive Stach.
Si parla anche della Grande Guerra. Egon Erwin Kisch venne mandato nelle trincee sul fronte serbo. L’amico d’infanzia di Kafka, Hugo Bergmann, fu mandato in Galizia. La tematica della guerra compare poco nei diari dello scrittore. Brod riferì che Kafka era l’unico dei suoi amici convinto che ci sarebbe stata una vittoria finale da parte dei tedeschi, impressionato dall’energia collettiva della popolazione. La fiducia nella superiorità tedesca era una delle ragioni per cui il governo asburgico si gettò nella guerra mondiale. La debole rete sociale che Kafka aveva stabilito si sgretolò con il conflitto. Gli incontri nei caffè letterari finirono nel dimenticatoio. Franz Werfel e Otto Pick dovettero passare alle armi, mentre a Praga rimasero il cieco Oskar Baum con Weltsch e Brod. “Nella colonia penale” rimane un testo rivoluzionario, perché diede espressione letteraria alla tortura. O era forse un retaggio della guerra?
Il secondo tomo della trilogia su Franz Kafka di Reiner Stach – Kafka. Gli anni delle decisioni (il Saggiatore 2024) – ripercorre la luminosità del genio dello scrittore praghese nell’ombra dell’insuccesso. Il volume parte dal primo decennio del Novecento. L’attività nel negozio di famiglia non lo appassiona, mentre il lavoro d’ufficio risulta essere meccanico e privo di soddisfazione. Le circostanze esterne della vita gli sembrano solo incidenti di percorso che lo distraggono dal suo unico obiettivo: scrivere. Tra il 1910 e il 1915 emerge una consapevolezza letteraria di Kafka. Sono anche gli anni di una storia d’amore straziante, incompiuta come le sue opere, con Felice Bauer. Anni in cui si definisce il rapporto con la famiglia, l’ebraismo e la salute del corpo. La vita di Kafka è durata quarant’anni e undici mesi. Di questi, sedici anni li ha spesi tra scuola e università; quindici nella vita lavorativa.
Oltre ad alcune escursioni nel fine settimana, Kafka trascorse circa quarantacinque giorni all’estero. Ha visitato Berlino, Monaco, Zurigo, Parigi, Milano, Venezia, Verona, Vienna. Ha visto tre mari: quello del Nord, il Baltico e l’Adriatico. Non si è mai sposato. Non ha lasciato discendenti. Oggi, le opere che Kafka considerava complete ammontano a circa 350 pagine. Ma lo scrittore ha generato circa 3.400 pagine di appunti, diari e frammenti letterari. Non si contano gli innumerevoli quaderni che Kafka stesso ha distrutto o le lettere – che oggi sono circa 1.500. Le epistole di Kafka ruotano attorno ai parametri della felicità: salute, attività sessuale, vita familiare, divertimento, avventure, indipendenza e realizzazione professionale. Kafka non viveva ai margini della società, come si crede; non amava la sua professione. Tutto ciò che possedeva è stato consumato dalla malattia e dall’iperinflazione. Tutti i suoi progetti letterari che superavano la portata di una storia fallivano.
Il suo piano di scrivere un’autobiografia non è mai stato realizzato. Nei diari Kafka evoca spesso l’immagine di un abisso interiore. Ad oggi, non c’è approccio metodologico che non sia stato utilizzato per interpretare l’opera di Kafka. Le opere su di lui, decisamente oltre ogni ragionevole quantità, sembrano elementi di una industria fine a se stessa. Eppure, Kafka ricorda Stach, ci ha insegnato ad essere modesti ed empatici. Due caratteristiche che fece proprie sin dalla sua vita in famiglia. Stach inizia il volume con casa Kafka. La sua piccola stanza non riscaldata ed era mal posizionata. Era tra la camera da letto dei suoi genitori e il soggiorno. La voce tonante di Hermann Kafka risuonava in tutto l’appartamento. L’atmosfera poco ospitale della routine di casa lo faceva riflettere sempre di più su come porre fine a questa situazione. Apprezzava il lusso di avere il proprio bagno, rispettando rigorosi standard igienici.
A volte i suoi genitori viaggiavano a Franzensbad per una settimana. La sua abilità di scrittura si rivelò utile per l’Istituto dove lavorava. Quando le persone lo rimproveravano per condurre una vita irragionevole, ribatteva che era più salutare di quella di chiunque altro. Faceva passeggiate, nuoto ed escursioni, non fumava né beveva. Evitava tè, caffè e grassi animali. Quando tornava a casa da una passeggiata, la famiglia restava sbalordita nell’apprendere che era corso fino a villaggi così remoti che chiunque altro avrebbe preso il treno. Ottilie David, sua sorella più giovane, era l’unica che guadagnava la fiducia del fratello. Poco istruita, lavorava nel negozio del padre e Kafka cercava di sostenerla. Le raccomandava libri, le portava notizie sulla vita culturale a Praga. Grazie a Kafka, anche Ottilie divenne vegetariana. E trascorse le sue domeniche in un istituto per non vedenti, dove leggeva ad alta voce.
Ritorna, anche in questo volume, la tematica della sessualità di Kafka. Che non ebbe meno “incontri” rispetto agli altri uomini della sua età. La speranza era che la sua attività nei bordelli impedisse al desiderio sessuale di diventare un punto focale nel matrimonio, scrive Stach. L’amico Max Brod era apertamente promiscuo, mentre Felix Weltsch era celibe. «L’infelicità del celibe», annotò nel suo diario. Legato al sesso, anche la questione del corpo. «Non si può ottenere nulla con un corpo come questo». Kafka si considerava fragile, instabile e logorato dalle tensioni continue. Un giovane, ma vecchio celibe sotto forma di bambino incapace di affrontare i cambiamenti imposti dalla vita. La paura di rimanere solo fino alla fine si trasformò nella certezza che non sarebbe stato in grado di evitare questo destino. Estimatore di Gustave Flaubert, lo era di più per Wolfgang Goethe, di cui visitò con Brod la casa a Weimar.
La Palestina, che Brod non aveva mai seriamente contemplato di vedere con i propri occhi, era nei pensieri di Kafka, che solitamente era invece tormentato dai dubbi. Improvvisamente dichiarò di essere pronto ad andarci. E magari con Felice. Con cui non fu amore a prima vista. Talvolta si comportava come un liceale innamorato, scrive Stach. Felice incarnava la nuova categoria sociologica della donna in carriera. Pragmatica, diretta e sempre radicata nella realtà. Le lettere dello scrittore a Felice sono un documento importantissimo per capire l’uomo Kafka. La compattezza linguistica e l’intensità auto-riflessiva del volume non hanno paralleli in alcuna corrispondenza esistente, scrive Stach. Le lettere sono emerse tardi: Bauer le aveva vendute per ottomila dollari. Nel 1967, anni dopo la sua morte, fu pubblicata la prima edizione. Non ci sono le risposte di Bauer, che Kafka non ha conservato, conferendo al corpus il carattere di un monologo.
Kafka, che ha sempre cercato vicinanza, preferiva il medium lento e impegnativo dello scambio di lettere. Era riluttante ad usare il telefono, soprattutto con le donne, anche se questo mezzo offriva in maggior misura l’illusione della presenza fisica. Prese anche la precauzione di chiudere a chiave le lettere di Felice in un cassetto della scrivania e di portare con sé la chiave. Probabilmente Brod era l’unico con cui Kafka si sentiva a suo agio nel confidare le fantasie autodistruttive che lo tormentavano. La burocrazia, l’alienazione, l’anonimato sono parole d’ordine familiari della critica e facevano parte degli strumenti necessari per l’interpretazione di Kafka negli anni Sessanta. Le questioni che scatenavano accesi dibattiti ideologici all’epoca oggi sembrano stancanti ai lettori contemporanei. Stach scrive che oggi ci chiediamo se Kafka intendesse raffigurare l’erosione dell’individuo borghese sopraffatto dalle strutture sociali. Di interpretazioni sui messaggi dello scrittore ce ne sono molteplici.
L’ascetismo era una parola magica per Kafka, un intricato complesso di immagini, paradigmi culturali, idiosincrasie, paure e tecniche psicologiche che incorporava nei suoi pensieri e sentimenti e che gradualmente faceva diventare un punto focale della sua identità. Aveva una favolosa capacità innata di ascetismo. L’ascetismo non è austerità fine a se stessa. Un processo di auto-regolazione e auto-formazione basato sull’utopica idea di ottenere il completo controllo sul proprio corpo, sé e vita, scrive Stach. Tutti gli interessi, le abitudini e le inclinazioni di Kafka venivano modificati di conseguenza. Stach fa anche un parallelo con Robert Musil. Lui e Kafka erano entrambi impiegati pubblici, uno in una compagnia assicurativa a Praga, l’altro in una biblioteca universitaria a Vienna. Entrambi soffrivano di disturbi psicosomatici, entrambi erano annoiati e scoraggiati da quanto la noia potesse diventare uno stile di vita, scrive Stach.
Si parla anche della Grande Guerra. Egon Erwin Kisch venne mandato nelle trincee sul fronte serbo. L’amico d’infanzia di Kafka, Hugo Bergmann, fu mandato in Galizia. La tematica della guerra compare poco nei diari dello scrittore. Brod riferì che Kafka era l’unico dei suoi amici convinto che ci sarebbe stata una vittoria finale da parte dei tedeschi, impressionato dall’energia collettiva della popolazione. La fiducia nella superiorità tedesca era una delle ragioni per cui il governo asburgico si gettò nella guerra mondiale. La debole rete sociale che Kafka aveva stabilito si sgretolò con il conflitto. Gli incontri nei caffè letterari finirono nel dimenticatoio. Franz Werfel e Otto Pick dovettero passare alle armi, mentre a Praga rimasero il cieco Oskar Baum con Weltsch e Brod. “Nella colonia penale” rimane un testo rivoluzionario, perché diede espressione letteraria alla tortura. O era forse un retaggio della guerra?