Commento

Corrispondenze di Cioran con i contemporanei

Sono lettere a contemporanei d’eccezione quelle in Il nulla per tutti (Mimesis 2024) a firma di Emil Cioran e curate da Vincenzo Fiore. Nel 1984 il pensatore di Rășinari scriveva: «La lettera, conversazione con un assente, rappresenta un evento capitale della solitudine. Cercate la verità su un autore nella sua corrispondenza piuttosto che nella sua opera. L’opera è perlopiù una maschera». Le lettere non sono in ordine cronologico e non hanno una tematica fissa. Il tono varia dal solenne del corpo centrale, all’apertura gentile e amichevole, fino alla chiusura talvolta apocalittica. Lettere essenzialmente da Parigi, anche se ci sono pure corrispondenze da Talamanca, Dieppe, Vichy, Jaca. Le prime lettere trattano la questione di una borsa di studio della Fondazione Bollingen, a cui Cioran si era rivolto nel 1958. Fa quasi tenerezza la maniera in cui il filosofo presentava i suoi progetti: oggi sarebbe di certo insufficiente per qualsiasi fondo.

L’argomento era sulle «caratteristiche che distinguono il pensiero utopico da quello religioso». Cioran proponeva di descrivere un’esperienza insieme psicologica e metafisica. Allegata anche la lettera di referenza di Mircea Eliade, che già negli anni Trenta bazzicava gli atenei romeni come assistente di Nae Ionescu. «Un artista ammirevole e un moralista molto originale», scriveva Eliade a proposito dell’amico. Talvolta ci sono alcuni tratti biografici di Cioran (l’amicizia e l’ammirazione per Paul Valéry). Alle volte si torna indietro ai primi anni in Romania, quando conosceva intellettuali come Anton Holban e Mihail Sebastian. Sono tante le figure con cui Cioran corrispondeva. Gli scrittori Octavio Armand, Józef Czapski, Ernst Jünger, Urlich Horstmann, Vincent La Soudière, François Mauriac, Marguerite Yourcenar, i drammaturghi Samuel Beckett e Jean-Pierre Chopin, i poeti Lucian Boz e Paul Celan, il chimico Erwin Chargaff, lo scultore Eduardo Chillida, lo storico Alphonse Dupront, l’islamista Henry Corbin.

Ma anche l’editore Claude Gallimard e la moglie Colette Rousselot Duhamel Gallimard, il germanista Jacques Le Rider, i filosofi Gabriel Marcel, David Rieff, Dolf Sternberger e María Zambrano, il giornalista Maxime Nemo, i docenti Riccardo Nirenberg, Roberto Pigniatiello, Leonard Schwartz, Juan Manuel Marín Torres, Ilinca Zarifopol-Johnston, il giurista Carl Schmitt, il monaco Nicolae Steinhardt, il fotografo Vasco Szinetar, l’attrice Sorana Țopa. Forse la lettera ad Alain de Benoist è la più politica. «Le vecchie categorie di destra e sinistra mi sembrano superate» (18 novembre 1979). E «più penso al futuro, meno capisco come si possa aderire a qualcosa» (ibid.). Non mancano i temi classici di Cioran: «sono venuto a mondo con una sfortunata tendenza allo scoraggiamento» (6 luglio 1959); «ho l’orrore di mettermi in mostra» (1984); «gli anni passano e non resta che la rassegnazione» (20 gennaio 1976), «invecchiando diventiamo più concilianti o, forse, più vigliacchi» (30 aprile 1980).

A Gérard Binda, medico di famiglia e amico intimo di Cioran, parla della fortuna di essere tradotti in Italia da Adelphi – definisce Roberto Calasso un direttore di prim’ordine. Al poeta Yves Bonnefoy: «Sono fatto così: non riesco a promettere né a mantenere» (8 novembre 1963). Allo scrittore Ben Amí Fihman: «Che idea chiedermi scusa per avermi parlato dei suoi problemi di salute! Come se non fossimo tutti malati! […] Un uomo è un uomo soltanto quando smette di stare bene. Di tutto quello che ho vissuto, solo i momenti in cui ho sofferto sono ancora presenti nella mia mente. Ne deduco che gli altri non mi sono serviti a nulla» (22 settembre 1979). A Jean-Paul Jacobs, poeta, un consiglio: «Se davvero vuole fare il poeta, la smetta di pensare sulla poesia […]. La poetica è la tomba della poesia» (24 marzo 1966).

Infine, l’auto-osservazione. A Jean Paulhan (sempre «caro Signore e Amico»), editore e critico: «La mia incompetenza letteraria non lascia nulla a desiderare» (5 ottobre 1953). Alla scrittrice Susan Sontag: «Non sono un modello, […] nemmeno per me stesso» (20 novembre 1975). A Elie Wiesel: «Ciò che amo di più di lei è il coraggio disperato con cui affronta ciò che conosce» (12 maggio 1977). Ed infine, a Maria Liliana Herrera, filosofa: «Per molti anni ho intrattenuto una corrispondenza molto attiva con amici e sconosciuti. Per me scrivere significava scrivere lettere, era una vera passione; ma purtroppo mi ha abbandonato e ora mi sento incapace di mantenere una corrispondenza regolare. Non dimentichi che ho una certa età […]. Stanco di me stesso, lo sono anche del mio … lavoro, se posso usare una parola così pomposa per descrivere dei tentativi più o meno falliti» (12 febbraio 1983).

Amedeo Gasparini

www.amedeogasparini.com

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