Si è svolto ieri nel tardo pomeriggio, nell’ambito del FIT Festival, la presentazione online di DancetheDistance, un progetto sui nuovi dispositivi per la creazione coreografica e per la presentazione di performance in realtà virtuale e aumentata: un’opportunità per esplorare come la tecnologia può cambiare la percezione del nostro ambiente e di noi stessi.
Ad aprire l’incontro sono stati Claudio Prati, direttore artistico, e Ariella Vidach, coreografa, danzatrice e direttrice, della compagnia di danza AIEP, i quali hanno immediatamente svelato l’obiettivo di DancetheDistance (Danza la Distanza), ovvero «creare i presupposti per la costituzione di una compagnia di danza virtuale e proporre una nuova tipologia di evento performativo immersivo off e on line».
L’iniziativa vuole esplorare il mondo VR con danzatori che interagiscono in uno spazio immersivo e danzano con altri in remoto. «È una vera e propria sperimentazione, quasi una sfida – spiega Airella Vidach – ma d’altronde sono anche i limiti che si incontrano nell’arte “tradizionale”». Il progetto prende piede a seguito del periodo pandemico, dove la condizione di rimanere distanti si trasforma in un’occasione di creare arte anche a distanza. A sostenere DancetheDistance ci sono vari partner, tra cui: Maria Grazia Mattei, direttrice del MEET di Milano (Centro per la cultura digitale); Serena Cangiano, ricercatrice e direttrice di FABlab della SUPSI a Lugano (Laboratorio di Cultura Visiva); Paola Tripoli, direttrice artistica del FIT Festival; Giovanni Landi, programmatore VR e Mozilla Hubs (ArchonVR Sagl).
Il mondo VR mette in moto vari processi, tra questi quello di fare della tecnologia un linguaggio, ed ecco perché sono in molti ad appoggiare il progetto, è «uno scambio di conoscenze per poter validare un’idea – spiega la ricercatrice Cangiano – Un passo nel creare qualcosa insieme anche se ci si trova in luoghi diversi del mondo». La componente chiave della trasformazione digitale è la cultura.
A fine presentazione è stato possibile visitare uno studio di danza in realtà virtuale creato ad hoc su Mozilla Hubs, dove la compagnia svolgerà l’attività di formazione, di training e prove per i nuovi formati performativi che il progetto coreografico proporrà alla fine del suo percorso di produzione. Imparare a “esistere” e muoversi in questo spazio richiede un po’ di tempo per abituarsi, ma una volta riusciti è facile concentrarsi su ciò che circonda e viene visualizzato: i corpi, i suoni, i simboli. Una tecnologia progettata per interrogarsi su come percepiamo il nostro mondo e su come percepiamo noi stessi. C’è chi come Carlo Infante (changemaker e docente di Performing Media e fondatore di Urban Experience), è fermamente convinto che il virtuale sia «erede del Teatro della ombre», mentre altri come Paola Tripoli, direttrice artistica del FIT Festival, è scettica che il futuro del teatro posso essere in qualche modo virtuale, anche se sostiene il progetto proprio perché non vuole escluderne la possibilità. Maria Grazie Mattei, invece, ha sottolineato che stiamo realmente solo adesso iniziando a «esplorare l’impatto culturale ed emotivo di questa nuova tecnologia». Il VR è un’opportunità narrativa molto diversa, e il suo utilizzo diventa parte integrante della forma d’arte. Probabilmente in futuro si assisterà a una proliferazione delle tecnologie della “realtà estesa” nella società: resta quindi una grande curiosità di come ciò cambierà la percezione di ognuno sul mondo che lo circonda.
DancetheDistance in programma dal 28 ottobre al 1 novembre nell’ambito dell’inaugurazione della nuova sede del MEET Digital Culture Center a Milano.
M.Elisa Altese