È un po’ populista il titolo (ma non lo avrà scelto l’autore): La pace è l’unica strada (Mondadori 2024) di David Grossman raccoglie alcuni interventi significativi dello scrittore israeliano, da sempre convinto sostenitore di una coesistenza tra Israele e Palestina, a partire dagli attacchi di Hamas il 7 ottobre 2023. Grossman mostra da anni un costante impegno nel discutere ed esaminare la intricata situazione in Medioriente. Alla luce dell’espansione del conflitto, le sue osservazioni appaiono piuttosto urgenti. In uno scritto, l’autore esplora l’evoluzione politica di Israele, scrutando criticamente le azioni del governo e dell’élite del paese. Riflette sulle forze dirette ed indirette che alimentano il ciclo della violenza. Ma continua a nutrire la speranza per un futuro di pace nella regione. Dove tutti i gruppi possano sentirsi sicuri e giustamente rappresentati. «E coltivare la storia e le tradizioni della propria comunità senza cancellare quelle degli altri».
Grossman sottolinea che sia Israele che Hamas sono intrappolati in un ciclo di violenza. Non risparmia critiche al suo paese, che tra i due è l’entità statale. E si chiede come sia possibile che Israele, paese noto per la sua creatività e audacia, non riesca a trasformare la propria potenza militare in uno strumento per “promuovere la pace” (virgolette d’obbligo) anziché alimentare conflitti periodici. D’altra parte, è chiaro che brandire bandiera della resa o della tolleranza di fronte a chi nega la tua esistenza appare impensabile. Dal 7 ottobre – e qui emerge lo scrittore politico – Grossman prevede che i politici sfrutteranno paure, diffidenza, razzismo e desiderio di vendetta per molto tempo. «La vera lotta oggi non è tra arabi ed ebrei, ma fra quanti – dalle due parti – anelano a vivere in pace in una convivenza equa e quanti – dalle due parti – si nutrono psicologicamente e ideologicamente di odio e violenza».
Attualmente Israele sta affrontando una delle sue crisi più severe nella storia. Sia i palestinesi che gli israeliani hanno compiuto gravi errori lungo una strada di (non-)coesistenza piena di ostacoli e pericoli. Ma soprattutto, senza effettive volontà di risoluzione, da parte di entrambi; chi più, chi meno. Però Israele è, nel bene e nel male, una democrazia. E la democrazia, argomenta Grossman, «scaturisce dalla profonda convinzione che tutti gli esseri umani nascono uguali e a nessuno è negato il diritto di decidere del proprio destino. Anni di occupazione e di umiliazione possono invece creare tra gli occupanti la sensazione che esista una sorta di gerarchia del valore della vita umana». Vero, Israele ha conosciuto periodi difficili, ma «lo spirito che lo ha quasi sempre pervaso era quello di un Paese dinamico, pieno di vita, che irradiava originalità. Un Paese imprevedibile che avrebbe potuto raggiungere nuovi traguardi in ogni campo».
Forse più ora che nel passato, i problemi di Israele non provengono solo dall’esterno, quanto incrementalmente dall’interno. È nota l’opinione dell’autore sugli ultimi governi di destra. E critica il tentativo di riformare il sistema giudiziario da parte del governo attuale. Parla, in uno scritto, di «un processo di sovvertimento, di sgretolamento del patto sociale e di indebolimento dell’esercito e dell’economia». Il che distoglie pure l’attenzione nei confronti di problemi oggettivi dello Stato ebraico – «dell’occupazione, dei rapporti distorti tra la maggioranza laica e la minoranza ultraortodossa e quella nazionalista e religiosa di destra […], delle relazioni esplosive fra lo Stato e la sua grande minoranza araba». Infine, secondo David Grossman, dopo la guerra Israele sarà molto più orientato verso la destra. Quello che rimane, nel presente, è una guerra che alimenta in ogni campo stereotipi e pregiudizi estremi e odiosi.
Amedeo Gasparini
www.amedeogasparini.com
È un po’ populista il titolo (ma non lo avrà scelto l’autore): La pace è l’unica strada (Mondadori 2024) di David Grossman raccoglie alcuni interventi significativi dello scrittore israeliano, da sempre convinto sostenitore di una coesistenza tra Israele e Palestina, a partire dagli attacchi di Hamas il 7 ottobre 2023. Grossman mostra da anni un costante impegno nel discutere ed esaminare la intricata situazione in Medioriente. Alla luce dell’espansione del conflitto, le sue osservazioni appaiono piuttosto urgenti. In uno scritto, l’autore esplora l’evoluzione politica di Israele, scrutando criticamente le azioni del governo e dell’élite del paese. Riflette sulle forze dirette ed indirette che alimentano il ciclo della violenza. Ma continua a nutrire la speranza per un futuro di pace nella regione. Dove tutti i gruppi possano sentirsi sicuri e giustamente rappresentati. «E coltivare la storia e le tradizioni della propria comunità senza cancellare quelle degli altri».
Grossman sottolinea che sia Israele che Hamas sono intrappolati in un ciclo di violenza. Non risparmia critiche al suo paese, che tra i due è l’entità statale. E si chiede come sia possibile che Israele, paese noto per la sua creatività e audacia, non riesca a trasformare la propria potenza militare in uno strumento per “promuovere la pace” (virgolette d’obbligo) anziché alimentare conflitti periodici. D’altra parte, è chiaro che brandire bandiera della resa o della tolleranza di fronte a chi nega la tua esistenza appare impensabile. Dal 7 ottobre – e qui emerge lo scrittore politico – Grossman prevede che i politici sfrutteranno paure, diffidenza, razzismo e desiderio di vendetta per molto tempo. «La vera lotta oggi non è tra arabi ed ebrei, ma fra quanti – dalle due parti – anelano a vivere in pace in una convivenza equa e quanti – dalle due parti – si nutrono psicologicamente e ideologicamente di odio e violenza».
Attualmente Israele sta affrontando una delle sue crisi più severe nella storia. Sia i palestinesi che gli israeliani hanno compiuto gravi errori lungo una strada di (non-)coesistenza piena di ostacoli e pericoli. Ma soprattutto, senza effettive volontà di risoluzione, da parte di entrambi; chi più, chi meno. Però Israele è, nel bene e nel male, una democrazia. E la democrazia, argomenta Grossman, «scaturisce dalla profonda convinzione che tutti gli esseri umani nascono uguali e a nessuno è negato il diritto di decidere del proprio destino. Anni di occupazione e di umiliazione possono invece creare tra gli occupanti la sensazione che esista una sorta di gerarchia del valore della vita umana». Vero, Israele ha conosciuto periodi difficili, ma «lo spirito che lo ha quasi sempre pervaso era quello di un Paese dinamico, pieno di vita, che irradiava originalità. Un Paese imprevedibile che avrebbe potuto raggiungere nuovi traguardi in ogni campo».
Forse più ora che nel passato, i problemi di Israele non provengono solo dall’esterno, quanto incrementalmente dall’interno. È nota l’opinione dell’autore sugli ultimi governi di destra. E critica il tentativo di riformare il sistema giudiziario da parte del governo attuale. Parla, in uno scritto, di «un processo di sovvertimento, di sgretolamento del patto sociale e di indebolimento dell’esercito e dell’economia». Il che distoglie pure l’attenzione nei confronti di problemi oggettivi dello Stato ebraico – «dell’occupazione, dei rapporti distorti tra la maggioranza laica e la minoranza ultraortodossa e quella nazionalista e religiosa di destra […], delle relazioni esplosive fra lo Stato e la sua grande minoranza araba». Infine, secondo David Grossman, dopo la guerra Israele sarà molto più orientato verso la destra. Quello che rimane, nel presente, è una guerra che alimenta in ogni campo stereotipi e pregiudizi estremi e odiosi.
Amedeo Gasparini
www.amedeogasparini.com